Lectio divina su Mt 16,13-19
Invocare
O Dio, che allieti la tua Chiesa con la solennità dei santi Pietro e Paolo, fa’ che la tua Chiesa segua sempre l’insegnamento degli apostoli dai quali ha ricevuto il primo annunzio della fede.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14 Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Silenzio meditativo: Il Signore mi ha liberato da ogni paura
Capire
Nella sezione che intercorre tra il terzo e il quarto dei discorsi di Gesù tipici del suo vangelo (cc. 14-17), Matteo riporta la sezione marciana che va dalla visita di Gesù a Nazareth fino al secondo annunzio della passione (Mc 6,1-9,32).
Dalla terza parte della sezione di Matteo (16,13-17,27), di carattere più esplicitamente ecclesiologico, la liturgia odierna riprende del cap 16 i versetti 13-19 per “farci scoprire ciò che è la fede alla prova decisiva della rivelazione del Padre” (Jean Radermakers).
In Matteo, diversamente da Marco, questo brano occupa un posto centrale, in quanto egli ha scritto il suo vangelo appunto con lo scopo di proclamare la messianicità di Gesù. Per sottolineare l’importanza della professione di Pietro (vv. 13-16) l’evangelista aggiunge subito dopo un brano in cui Gesù lo elogia per quanto ha appena affermato (vv. 17-19); la conclusione (v. 20) è ripresa nuovamente da Marco.
Dalla terza parte della sezione di Matteo (16,13-17,27), di carattere più esplicitamente ecclesiologico, la liturgia odierna riprende del cap 16 i versetti 13-19 per “farci scoprire ciò che è la fede alla prova decisiva della rivelazione del Padre” (Jean Radermakers).
In Matteo, diversamente da Marco, questo brano occupa un posto centrale, in quanto egli ha scritto il suo vangelo appunto con lo scopo di proclamare la messianicità di Gesù. Per sottolineare l’importanza della professione di Pietro (vv. 13-16) l’evangelista aggiunge subito dopo un brano in cui Gesù lo elogia per quanto ha appena affermato (vv. 17-19); la conclusione (v. 20) è ripresa nuovamente da Marco.
Meditare
v. 13: Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo
C’è un momento particolare in cui Gesù giunge presso una regione non solo geografica ma anche spirituale. Matteo parla di una regione pagana (la regione possiamo leggerla come luogo del rifiuto), dalle parti di Cesarea che Filippo (per distinguerla dall’altra Cesarea situata sul mare), figlio di Erode I il Grande, ha fatto edificare a nord, tra i monti dell’Ermon.
Nei pressi della città si trovava una delle tre sorgenti del fiume Giordano, che era anche ritenuta l’ingresso del regno dei morti.
Il giungere di Gesù indica che questa è l”ora in cui la fede deve svegliarsi. “Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Mt 24, 44). Scrivendo ai Corinti, Paolo raccomandò “Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate forti.” (1Cor 16,13). Stare svegli ha dunque relazione col rimanere fermi nella fede cristiana.
domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?».
Ora, una domanda si colloca tra fede e rifiuto o tra vigilanza e sonno. La folla è facile agli entusiasmi, ma la loro adesione di fede è minacciata dalla superficialità. Ecco che nasce la domanda. Gesù prende l’iniziativa. In questa domanda, un po’ diversa da quella dell’evangelista Marco, si gioca la vita con le sue conseguenze, di ogni uomo e donna. La risposta infatti, dovrebbe essere di fede perché colloca la propria vita su un terreno solido: Gesù.
L’espressione “Figlio dell’uomo” è una circonlocuzione aramaica che sta anche per “uomo”. L’evangelista contrappone gli uomini al Figlio dell’uomo, l’uomo che ha la condizione
divina, quindi l’uomo che ha lo spirito e quelli che non ce l’hanno.
Successivamente questo appellativo è utilizzato da Gesù in chiave cristologica, con esplicito riferimento alla funzione di giudice escatologico assegnata al figlio dell’uomo danielico (cfr. Dn 7,13; Mt 24,30; 26,64).
v. 14: Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
La risposta dei discepoli viene espressa con le stesse parole riportate da Marco (cfr. Mc 8,28). Gesù viene identificato, oltre che con il Battista, opinione condivisa da Erode Antipa (cfr. 14,2), con Elia, atteso come precursore del Messia (cfr. 3,23) rapito, poi, al cielo in modo miracoloso e sarebbe ritornato all’arrivo del futuro messia. Geremia era in grande considerazione per il suo carattere forte e nascosto al tempo stesso, contestatore e contestato (cfr. 2Mac 15,13-16) oppure con uno degli antichi profeti ritornato in vita (cfr. Lc 9,19). Questa descrizione riporta una grandezza graduale sulla persona di Gesù, originata da una rilettura in chiave escatologica di Dt 18,15-18, ma nessuno considera Gesù come Colui che adempie la promessa o che è la promessa del Padre. Nessuno accoglie (o coglie) la sua originalità!
vv. 15-16: Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Se prima la domanda era fatta alla terza persona, adesso è posta alla seconda persona.
Gesù senza rispondere sollecita invece tutto il gruppo a dire che cosa pensa di lui: lo scopo è quello di far emergere un’opinione alternativa che possa esprimere esattamente la sua identità.
Un particolare linguistico è da sottolineare. Il verbo “dire” in una concezione semita significa più del nostro semplice dire; è anche “fare”. Quindi un verbo la cui portata è talmente grande perché realizzi ciò che dice.
Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Pietro si fa portavoce degli altri con una risposta che è comune nei Sinottici: Gesù è il Messia (Mc 8,29; Lc 9,20) cioè l’Unto inviato da Dio dopo tutti i profeti. La sua parola è l’ultima parola di Dio, la quale, secondo la credenza dei rabbini, è la spiegazione definitiva della Torah. Il segno grande e conclusivo che Dio pone nel mondo.
L’Evangelista Matteo però a questa messianicità di Gesù aggiunge una sottolineatura che non è quella di Figlio di Davide ma “il Figlio del Dio vivente” (cfr. 14,33).
Ora rispondendo così, Pietro riconosce la divinità di Gesù (cfr. Mt 26,63), accetta che Gesù sia, nella sua vita, Messia e Figlio di Dio. Nella risposta di Pietro l’Evangelista indica, nel testo greco, per quattro volte l’articolo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio il vivente”.
vv. 17-19: E Gesù gli disse: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
Questi versetti sono la risposta che Gesù da a Pietro e che non troviamo negli altri Sinottici. Essa si apre con una “beatitudine” in seconda persona. Pietro ha parlato in nome di tutti. Gesù, quanto dirà, vale solo per lui.
Al cap. 5 abbiamo ascoltato una serie di makarios. Ora a Pietro solo viene detto beato per la sua testimonianza di fede, frutto di un lungo discernimento e dell’azione dello Spirito Santo. Pietro è beato perché conosce l’intimo mistero del regno di Dio (cfr. Mt 13,11).
Gesù chiama Simone figlio di Giona. Nella cultura ebraica, il termine “figlio”, non indica soltanto chi è nato da qualcuno, ma chi gli assomiglia nel comportamento. Gesù dicendo a Simone figlio di Giona, richiama il profeta Giona che fece tutto il contrario di quanto Dio gli aveva detto di fare, e che, nella sua infedeltà riscopre la Parola di Dio attraverso il naufragio del mare.
Gesù applica a se stesso il segno di Giona come passaggio attraverso la morte. A sua volta, anche Simone dovrà fare il suo passaggio attraverso la morte per risorgere con Cristo (cfr. Mt 14,30-31), essere consacrato discepolo e divenire con Gesù figlio del Padre.
E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa
Il nome per un ebreo, esprime la realtà più fondamentale del suo essere: Simone ora viene chiamato e costituito col nome di Petros (aramaico Kepha) che significa roccia (un termine che nella Sacra Scrittura suona almeno 80 volte r.p.c.). Ciò significa che egli è e deve essere roccia del popolo da Dio convocato. L’AT chiama roccia Dio stesso (cfr 2Sam 22,2.32; Sal 18,3.32; Dt 32,4). Il NT vedrà in Gesù la roccia d’Israele in cammino verso il regno.
Segue anche la motivazione del suo essere roccia. La Sacra Scrittura testimonia che Dio aveva scelto fra tutte una roccia e una costruzione: il monte Sion e il suo santo tempio, per porvi la sua abitazione e stare vicino al suo popolo (Cfr. Am 9,11; Sal 127,1; 68,17).
Gesù edificherà la sua chiesa (ekklêsia). Questo termine deriva dal verbo ekkaleô (convocare): nei LXX traduce 70 volte il termine ebraico qahal (convocazione, adunanza, assemblea), mentre il sinonimo ‘edah di solito viene tradotto con synagôgê.
Pietro sarà quel “mattone” sulla roccia che è Gesù che viene per costruire una nuova realtà, la sua ekklêsia.
e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.
Si diceva all’inizio che la scena avviene in un luogo definito come l’ingresso del regno dei morti. Il testo greco evoca le porte dell’Ade, immagine giustamente tradotta con “le potenze degli inferi” che personificano le potenze del male. Tuttavia ha un esito già certo, anche se non immediatamente visibile: “le potenze degli inferi”, scatenate per travolgere nella logica della ribellione a Dio, nel peccato, gli uomini, arrecando loro la morte eterna, “non prevarranno su di essa”; non avranno il sopravvento; etimologicamente: la forza di cui dispone la città, roccaforte, di satana non riuscirà a mettere sotto i suoi piedi, come un vinto, la Chiesa di Cristo.
L’ingresso nella Città di Dio dipende dalla responsabilità dell’uomo che, nell’umiltà, accoglie in sé il dono divino della fede petrina. Gesù alla conclusione del discorso del monte dice: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile ad un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 24). Come il Padre, anche Gesù è Roccia. E anche Pietro, per divina disposizione, è roccia, pietra, in Cristo pietra viva.
A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Gesù promette a Pietro di dargli le “chiavi del regno dei cieli” e di “legare e sciogliere”. L’argomento è il Regno di Dio che viene figurato come una città chiusa e che per aprire e chiudere necessitano le chiavi. Si pensi che alcuni alludono alle chiavi della “casa di Davide” (Is 22,22). Concedere le chiavi a qualcuno significava ritenerlo responsabile della sicurezza di quelli che stavano dentro. Nel vangelo di Matteo l’espressione “regno dei cieli” non vuol dire un regno nei cieli, ma il regno di Dio. Quindi Gesù non dà a Pietro le chiavi per l’accesso all’aldilà, non lo incarica di aprire o chiudere il Paradiso, ma lo ritiene amministratore responsabile di quelli che sono all’interno di questo regno.
L’espressioni legare e sciogliere sono proprie del linguaggio rabbinico e significano che uno ha l’autorità di dichiarare giusta o falsa una dottrina (cfr. Mt 23,4.13). A Pietro viene dunque conferito il potere di interpretare in modo autorevole l’insegnamento di Gesù e la volontà di Dio da lui rivelata. Ciò che egli proibirà o permetterà sarà ratificato in cielo, cioè le sue decisioni in campo dottrinale o disciplinare verranno confermate da Dio. Un analogo compito sarà riconosciuto però anche a tutta la comunità (cfr. 18,18). Mentre le chiavi per il Paradiso sono di Colui che è chiamato «il Santo, il Verace, colui che ha la chiave di David» (Ap 3,7), che ha «le chiavi della morte e degli inferi» (Ap 1,18).
La Parola illumina la vita
Il Vangelo meditato è esperienza di fede nella storia e nella quotidianità attuale. Che esperienza di fede percorro ogni giorno?
Chi è per me Cristo?
Riscopro quella beatitudine nell’apprezzare il dono di Dio che è la Chiesa? Verifico l’autenticità della mia fede: la mia capacità di accogliere Gesù nel suo prescelto, il Papa? Mi lascio illuminare da lei, attraverso la persona del Papa?
La mia vita è costruita sulla Roccia che è Cristo oppure è un dire “Signore, Signore”?
Pregare
Nei pressi della città si trovava una delle tre sorgenti del fiume Giordano, che era anche ritenuta l’ingresso del regno dei morti.
Il giungere di Gesù indica che questa è l”ora in cui la fede deve svegliarsi. “Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Mt 24, 44). Scrivendo ai Corinti, Paolo raccomandò “Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate forti.” (1Cor 16,13). Stare svegli ha dunque relazione col rimanere fermi nella fede cristiana.
domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?».
Ora, una domanda si colloca tra fede e rifiuto o tra vigilanza e sonno. La folla è facile agli entusiasmi, ma la loro adesione di fede è minacciata dalla superficialità. Ecco che nasce la domanda. Gesù prende l’iniziativa. In questa domanda, un po’ diversa da quella dell’evangelista Marco, si gioca la vita con le sue conseguenze, di ogni uomo e donna. La risposta infatti, dovrebbe essere di fede perché colloca la propria vita su un terreno solido: Gesù.
L’espressione “Figlio dell’uomo” è una circonlocuzione aramaica che sta anche per “uomo”. L’evangelista contrappone gli uomini al Figlio dell’uomo, l’uomo che ha la condizione
divina, quindi l’uomo che ha lo spirito e quelli che non ce l’hanno.
Successivamente questo appellativo è utilizzato da Gesù in chiave cristologica, con esplicito riferimento alla funzione di giudice escatologico assegnata al figlio dell’uomo danielico (cfr. Dn 7,13; Mt 24,30; 26,64).
v. 14: Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
La risposta dei discepoli viene espressa con le stesse parole riportate da Marco (cfr. Mc 8,28). Gesù viene identificato, oltre che con il Battista, opinione condivisa da Erode Antipa (cfr. 14,2), con Elia, atteso come precursore del Messia (cfr. 3,23) rapito, poi, al cielo in modo miracoloso e sarebbe ritornato all’arrivo del futuro messia. Geremia era in grande considerazione per il suo carattere forte e nascosto al tempo stesso, contestatore e contestato (cfr. 2Mac 15,13-16) oppure con uno degli antichi profeti ritornato in vita (cfr. Lc 9,19). Questa descrizione riporta una grandezza graduale sulla persona di Gesù, originata da una rilettura in chiave escatologica di Dt 18,15-18, ma nessuno considera Gesù come Colui che adempie la promessa o che è la promessa del Padre. Nessuno accoglie (o coglie) la sua originalità!
vv. 15-16: Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Se prima la domanda era fatta alla terza persona, adesso è posta alla seconda persona.
Gesù senza rispondere sollecita invece tutto il gruppo a dire che cosa pensa di lui: lo scopo è quello di far emergere un’opinione alternativa che possa esprimere esattamente la sua identità.
Un particolare linguistico è da sottolineare. Il verbo “dire” in una concezione semita significa più del nostro semplice dire; è anche “fare”. Quindi un verbo la cui portata è talmente grande perché realizzi ciò che dice.
Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Pietro si fa portavoce degli altri con una risposta che è comune nei Sinottici: Gesù è il Messia (Mc 8,29; Lc 9,20) cioè l’Unto inviato da Dio dopo tutti i profeti. La sua parola è l’ultima parola di Dio, la quale, secondo la credenza dei rabbini, è la spiegazione definitiva della Torah. Il segno grande e conclusivo che Dio pone nel mondo.
L’Evangelista Matteo però a questa messianicità di Gesù aggiunge una sottolineatura che non è quella di Figlio di Davide ma “il Figlio del Dio vivente” (cfr. 14,33).
Ora rispondendo così, Pietro riconosce la divinità di Gesù (cfr. Mt 26,63), accetta che Gesù sia, nella sua vita, Messia e Figlio di Dio. Nella risposta di Pietro l’Evangelista indica, nel testo greco, per quattro volte l’articolo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio il vivente”.
vv. 17-19: E Gesù gli disse: Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
Questi versetti sono la risposta che Gesù da a Pietro e che non troviamo negli altri Sinottici. Essa si apre con una “beatitudine” in seconda persona. Pietro ha parlato in nome di tutti. Gesù, quanto dirà, vale solo per lui.
Al cap. 5 abbiamo ascoltato una serie di makarios. Ora a Pietro solo viene detto beato per la sua testimonianza di fede, frutto di un lungo discernimento e dell’azione dello Spirito Santo. Pietro è beato perché conosce l’intimo mistero del regno di Dio (cfr. Mt 13,11).
Gesù chiama Simone figlio di Giona. Nella cultura ebraica, il termine “figlio”, non indica soltanto chi è nato da qualcuno, ma chi gli assomiglia nel comportamento. Gesù dicendo a Simone figlio di Giona, richiama il profeta Giona che fece tutto il contrario di quanto Dio gli aveva detto di fare, e che, nella sua infedeltà riscopre la Parola di Dio attraverso il naufragio del mare.
Gesù applica a se stesso il segno di Giona come passaggio attraverso la morte. A sua volta, anche Simone dovrà fare il suo passaggio attraverso la morte per risorgere con Cristo (cfr. Mt 14,30-31), essere consacrato discepolo e divenire con Gesù figlio del Padre.
E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa
Il nome per un ebreo, esprime la realtà più fondamentale del suo essere: Simone ora viene chiamato e costituito col nome di Petros (aramaico Kepha) che significa roccia (un termine che nella Sacra Scrittura suona almeno 80 volte r.p.c.). Ciò significa che egli è e deve essere roccia del popolo da Dio convocato. L’AT chiama roccia Dio stesso (cfr 2Sam 22,2.32; Sal 18,3.32; Dt 32,4). Il NT vedrà in Gesù la roccia d’Israele in cammino verso il regno.
Segue anche la motivazione del suo essere roccia. La Sacra Scrittura testimonia che Dio aveva scelto fra tutte una roccia e una costruzione: il monte Sion e il suo santo tempio, per porvi la sua abitazione e stare vicino al suo popolo (Cfr. Am 9,11; Sal 127,1; 68,17).
Gesù edificherà la sua chiesa (ekklêsia). Questo termine deriva dal verbo ekkaleô (convocare): nei LXX traduce 70 volte il termine ebraico qahal (convocazione, adunanza, assemblea), mentre il sinonimo ‘edah di solito viene tradotto con synagôgê.
Pietro sarà quel “mattone” sulla roccia che è Gesù che viene per costruire una nuova realtà, la sua ekklêsia.
e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.
Si diceva all’inizio che la scena avviene in un luogo definito come l’ingresso del regno dei morti. Il testo greco evoca le porte dell’Ade, immagine giustamente tradotta con “le potenze degli inferi” che personificano le potenze del male. Tuttavia ha un esito già certo, anche se non immediatamente visibile: “le potenze degli inferi”, scatenate per travolgere nella logica della ribellione a Dio, nel peccato, gli uomini, arrecando loro la morte eterna, “non prevarranno su di essa”; non avranno il sopravvento; etimologicamente: la forza di cui dispone la città, roccaforte, di satana non riuscirà a mettere sotto i suoi piedi, come un vinto, la Chiesa di Cristo.
L’ingresso nella Città di Dio dipende dalla responsabilità dell’uomo che, nell’umiltà, accoglie in sé il dono divino della fede petrina. Gesù alla conclusione del discorso del monte dice: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile ad un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 24). Come il Padre, anche Gesù è Roccia. E anche Pietro, per divina disposizione, è roccia, pietra, in Cristo pietra viva.
A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Gesù promette a Pietro di dargli le “chiavi del regno dei cieli” e di “legare e sciogliere”. L’argomento è il Regno di Dio che viene figurato come una città chiusa e che per aprire e chiudere necessitano le chiavi. Si pensi che alcuni alludono alle chiavi della “casa di Davide” (Is 22,22). Concedere le chiavi a qualcuno significava ritenerlo responsabile della sicurezza di quelli che stavano dentro. Nel vangelo di Matteo l’espressione “regno dei cieli” non vuol dire un regno nei cieli, ma il regno di Dio. Quindi Gesù non dà a Pietro le chiavi per l’accesso all’aldilà, non lo incarica di aprire o chiudere il Paradiso, ma lo ritiene amministratore responsabile di quelli che sono all’interno di questo regno.
L’espressioni legare e sciogliere sono proprie del linguaggio rabbinico e significano che uno ha l’autorità di dichiarare giusta o falsa una dottrina (cfr. Mt 23,4.13). A Pietro viene dunque conferito il potere di interpretare in modo autorevole l’insegnamento di Gesù e la volontà di Dio da lui rivelata. Ciò che egli proibirà o permetterà sarà ratificato in cielo, cioè le sue decisioni in campo dottrinale o disciplinare verranno confermate da Dio. Un analogo compito sarà riconosciuto però anche a tutta la comunità (cfr. 18,18). Mentre le chiavi per il Paradiso sono di Colui che è chiamato «il Santo, il Verace, colui che ha la chiave di David» (Ap 3,7), che ha «le chiavi della morte e degli inferi» (Ap 1,18).
La Parola illumina la vita
Il Vangelo meditato è esperienza di fede nella storia e nella quotidianità attuale. Che esperienza di fede percorro ogni giorno?
Chi è per me Cristo?
Riscopro quella beatitudine nell’apprezzare il dono di Dio che è la Chiesa? Verifico l’autenticità della mia fede: la mia capacità di accogliere Gesù nel suo prescelto, il Papa? Mi lascio illuminare da lei, attraverso la persona del Papa?
La mia vita è costruita sulla Roccia che è Cristo oppure è un dire “Signore, Signore”?
Pregare
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. (Sal 33)
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. (Sal 33)
Contemplare-agire
Riscoprire Cristo come Colui che vuol darmi continuamente novità di impegno per un cammino nella luce e nella pratica del Vangelo.
Riscoprire Cristo come Colui che vuol darmi continuamente novità di impegno per un cammino nella luce e nella pratica del Vangelo.