divina su Mc 12, 38-44
Invocare
O
Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio agli stranieri, giustizia agli
oppressi, sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai
venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi, e tutti impariamo a
donare sull’esempio di colui che ha donato se stesso, Gesù Cristo nostro
Signore.
Egli
è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli
dei secoli. Amen.
loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in
lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi
nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case
delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna
più severa». 41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla
vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una
vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora,
chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa
vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti
infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria,
vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
metta delle salde radici.
il Testo
Il
brano del Vangelo di Marco di questa domenica è la conclusione di un lungo
capitolo nel quale Gesù, dopo il suo ingresso trionfale a Gerusalemme (c. 11),
è ormai nel Tempio, centro religioso del popolo d’Israele e il cuore di tutta
la sua vita. Esso è il luogo del culto pubblico e solenne, ma anche del
pellegrinaggio, dei riti tradizionali, e delle dispute rabbiniche, come quelle
riportate nel Vangelo tra Gesù e i rabbini di quel tempo, nelle quali, però,
Gesù insegna con una singolare autorevolezza, quella del Figlio di Dio.
In
questa città, dove hanno deciso di catturarlo e metterlo a morte, è sottoposto
ad una serie di domande da parte di diversi gruppi di persone autorevoli:
farisei ed erodiani, sadducei, farisei, uno degli scribi, mandati a lui per
cercare di coglierlo in fallo e metterlo a morte.
Gesù,
avendo una disputa con gli scribi, rivolge a tutti ancora un insegnamento per
rispondere alla fedeltà a Dio: i criteri di discernimento tra i veri e i falsi
maestri attraverso due categorie sociali: gli scribi e una vedova
contrapponendo due tipi di comportamento religioso: quelli che si pavoneggiano
ed usano la religione per farsi valere.
Quello
della vedova povera che, agli occhi degli uomini, compie un gesto irrisorio,
ma, per lei, carico di conseguenze, in quanto si priva di ciò di cui ha
assolutamente bisogno.
sulla Parola (Meditare)
vv. 38-40: Diceva
loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in
lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe
e i primi posti nei banchetti.
L’evangelista
Marco continua a presentare Gesù nell’atto di insegnare e lo presenta nella
qualità di Maestro.
“Nel
suo insegnamento” Gesù invita i discepoli a “guardarsi” dagli scribi, cioè a
stare attenti dalla condotta degli scribi, cioè da coloro che tenevano il
magistero religioso dell’epoca e ostentano atteggiamenti religiosi che non sono
autentici, guardano più all’esteriorità che al contenuto. Gesù invita a stare
con gli occhi aperti, in guardia dagli scribi, perché teme che il loro
comportamento sia ripreso dai discepoli. E guardando a noi stessi dice che la
salvezza non è una questione di successo, e ancor meno di parvenze.
L’amore
che hanno gli scribi e quanti come loro non è per Dio, ma per il proprio io, si
servono di tutto e di tutti, anche del Signore e della sua parola per
primeggiare. Scrive san Paolo: “Non vi fate illusioni; non ci si può prendere
gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato” (Gal 6,7).
Divorano le case
delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna
più severa.
Il
loro è un atteggiamento ipocrita, sfruttano i beni della povera gente imponendo
obblighi che loro stessi non osservano: sono gente che procurano morte
(“divorano”).
A
questi Gesù parla di “condanna più severa” che sarà quella di togliere la vigna
che Dio ha loro affidato (12,1-12).
Attenzione:
essere scriba non è un reato, non è un male. Tanto è vero che Gesù descriverà
uno scriba ideale ripreso molto bene da Ben Sira in Sir 38,24-39,11 e trova
conferma nel NT, in ciò che spesso viene chiamato l’autoritratto di Matteo:
“ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di
casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Inoltre,
ricordiamo che in Mc 12,34 Gesù riconosce saggio proprio uno scriba.
vv. 41-42: Seduto di
fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne
gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno
un soldo.
Gesù
è seduto. È il Maestro per eccellenza. Egli fa parlare i fatti. Da qui inizia
la parabola dell’obolo della vedova. Nel Tempio si trovava la stanza del tesoro
che serviva alla raccolta delle offerte fatte dal popolo per la manutenzione
del Tempio di Gerusalemme e non solo: serviva particolarmente per i poveri. Ciò
avveniva in pubblico e quindi un osservatore poteva farsi un’idea di quanto
ciascuno offriva.
Commenta
il secondo Libro dei Maccabei: “il tesoro di Gerusalemme era colmo di ricchezze
immense tanto che l’ammontare delle somme era incalcolabile” (3,6). Ecco il vero
Dio del tempio, ecco il vero Dio degli scribi.
Nel
Tempio entra una vedova. Con gli orfani e gli stranieri le vedove vivevano,
all’epoca di Gesù, in una condizione di grande miseria (cfr. Lc 20,47; 21,2-4;
At 6,1; Gc 1,27). Qui la vedova, da il suo obolo: una miseria che consiste in
due monetine dal valore più basso. Marco si premura di tradurre per i suoi
ascoltatori romani il loro valore in termini per loro comprensibili: Kodràntes
(quadrante, quattrino). Oggi corrisponderebbe a meno di 10 centesimi di euro.
L’osservare
di Gesù è l’osservare di Dio: “l’uomo guarda le apparenze, Dio guarda il cuore”
(1Sam 16,7).
vv. 43-44: Allora,
chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa
vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.
L’inizio
del v. 43 è solenne, Marco lo usa 12 volte. Gesù Maestro, prima di morire,
chiama per l’ultima volta i discepoli. Ciò indica che siamo di fronte ad un
insegnamento diretto ed inizia con la formula in verità che indica la capacità
di Gesù di valutare il valore del comportamento delle persone.
Già
il giudaismo sosteneva che il valore dell’offerta (che deve essere
proporzionata ai beni che ciascuno possiede) non era dato dall’entità
materiale, ma qui Gesù sottolinea la grande generosità di questa donna, che se
pur povera, non esita a dare quanto aveva per vivere.
Possiamo
vedere in questa donna uno degli anawim (poveri) descritti nelle beatitudini di
Mt 5,3.
Presentare
la vedova una “anaw” è sinonimo di “cercare” il Signore così come sottolinea il
profeta: “cercate l’anawah” (Sof 2,3; cfr. Sal 27,28; 105,104; Mt 6,33 [il
cercare Dio è molte volte citato sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento]),
quasi ad indicare di cercare Dio nel povero, quello stesso Dio di cui siamo
creati ad immagine e somiglianza (Gen 1,27), perché “dove è il tuo tesoro, lì è
il tuo cuore” (Mt 6,21).
Tutti infatti hanno
gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato
tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
L’atteggiamento
della vedova è interiore, al contrario degli scribi citati poco sopra, è
animata da una grande fede e da un autentico spirito di sacrificio. In linea
generale, nei vangeli, troviamo i poveri che domandano qualcosa anche
supplicando. La vedova, il povero presentato in questi versetti, non chiede
nulla per sé, ma è capace di dare tutto se stessa.
Gesù
descrive la vedova come colei che dona se stessa. Nella versione greca si dice:
«tutta la sua vita (bios)» ; la donna ha espresso il dono totale di sé, togliendosi
il “pane di bocca” per darlo al tesoro del tempio.
Le
parole di Gesù più che di lode sembrano un lamento; poco dopo, nel racconto di
Marco, mentre i discepoli lo invitavano ad ammirare le belle costruzioni del
tempio, egli esplode in una tremenda profezia: “Non rimarrà qui pietra su
pietra, che non sia distrutta” (13,2).
Il
vero Dio del Tempio era diventato il denaro. Non regnava Dio e il suo amore per
la creatura. Ecco perché di tutto questo non rimarrà pietra su pietra. L’amore
non si prostituisce.
Non
è questo il Tempio che desidera Gesù. Il Tempio ha un senso più profondo dal
mondo del denaro, del cellulare (diremmo oggi, visto che disturba ogni
istante). Il Tempio è casa di preghiera ed è legato al compimento del mistero
della sua morte e risurrezione, nella quale Egli stesso diventa il nuovo e
definitivo Tempio, il luogo dove si incontrano Dio e l’uomo, il creatore e la
sua creatura.
Ognuno
deve dare se stesso a Dio: questo è il vero Dio del Tempio.
fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il
Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
Parola illumina la vita e la interpella
Il
mio atteggiamento religioso è autentico e sincero? oppure è falso come quello degli
scribi?
Come
guardo i poveri che incontro nel quotidiano? Sono attento alle varie
situazioni, anche nuove, di disagio delle persone vicine a me? Mi rendo
solidale o rimango spettatore distratto o giudice degli altri?
Spezzo
il pane quotidiano che chiedo nella preghiera? Partecipo alla provvidenza di
Dio verso i suoi figli, e miei fratelli?
Cosa
posso imparare dalla vedova indicata da Gesù nel testo evangelico?
Come
vivo il Tempio?
a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Signore rimane fedele per sempre
rende
giustizia agli oppressi,
dà
il pane agli affamati.
Il
Signore libera i prigionieri.
Signore ridona la vista ai ciechi,
il
Signore rialza chi è caduto,
il
Signore ama i giusti,
il
Signore protegge i forestieri.
sostiene l’orfano e la vedova,
ma
sconvolge le vie dei malvagi.
Il
Signore regna per sempre,
il
tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. (Sal 145).
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
gesto umano compiuto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio. Ogni
atto umano “totale” contiene in sé e consegna qualcosa di divino (Ermes Ronchi).