Dio paziente e misericordioso, che rinnovi nei secoli la tua alleanza con tutte le generazioni, disponi i nostri cuori all’ascolto della tua parola, perché in questo tempo che tu ci offri si compia in noi la vera conversione.
In ascolto della Parola (Leggere)
12E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto 13e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
Dentro il Testo
Il ciclo delle letture domenicali della quaresima si apre ogni anno con i testi delle tentazioni di Gesù nel deserto (I domenica).
Il racconto delle tentazioni non è un fatto storico, cioè che Gesù se ne stia stato quaranta giorni con il diavolo. Sono una riflessione haggadica. L’haggadà che sostanzialmente significa “racconto”, “narrazione”, era un commento di brani della Bibbia per la trasmissione di insegnamenti fondamentali. Matteo e Luca riportano i tre contenuti delle tentazioni, Marco invece non dice niente.
Le tentazioni esprimono con immagini non tanto un fatto storico ma una dimensione, una possibilità, qualcosa che Gesù ha vissuto durante la vita: la tentazione di usare in maniera diversa il suo potere (Gesù leader), la sua posizione (Gesù Figlio di Dio) e le sue conoscenze (Gesù conoscitore di Dio-Abbà).
L’evangelista Marco lega strettamente il brano all’episodio del battesimo, che lo precede immediatamente. È alla luce del battesimo di Gesù che possiamo cogliere un messaggio per noi: “Tu sei il Figlio, il diletto” dice il Padre a Gesù, immerso nel Giordano, affogando nelle acque del peccato di quanti accorrono alla predicazione del Battista. Un modo “scandaloso” ha trovato Dio per presentarsi a noi: fare la fila coi peccatori. Eppure, in quelle acque scaturisce la solidarietà che riscontreremo in ogni pagina evangelica. Gesù, infatti, conoscendo l’amore del Padre, vuole manifestarlo a tutti, lasciandolo crescere come un albero. Sarà quest’albero stesso che nuovamente sarà piantato, un giorno, perché tutti, non solo il centurione, possiamo riconoscerlo come Figlio di Dio. Dall’albero della croce, ogni discepolo, battezzato nel suo stesso battesimo, riceve il suo stesso Spirito di figlio che lo rende fratello tra fratelli.
In questa liturgia domenicale Marco ci presenta come Gesù ha vissuto le prove della vita: gioie, dolori, l’accoglienza, il rifiuto, l’amore, le amicizie, gli abbandoni, i tradimenti riassunti densamente in due versetti, per poi passare ad ascoltare le prime parole di Gesù all’inizio della sua missione: «convertitevi e credete nel Vangelo».
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 12: E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto
Il versetto va letto col brano precedente che riguarda il battesimo di Gesù. Infatti, la parola «subito» mette in relazione le tentazioni con l’episodio del battesimo quando Gesù ha ricevuto lo Spirito. Qui l’Evangelista sottolinea come sia lo stesso Spirito a “spingere”, a condurre Gesù nel deserto come a dire che tutto viene da Dio. Inoltre, descrive quest’azione con un verbo quasi violento, da “esorcismo”: ekbállei da ek-bállō (gettare fuori) e indica l’azione di “spingere qualcuno fuori da un ambiente”. Il verbo passivo indica che è lo Spirito che vuole questo. È lo stesso Dio di prima che lo manda qui. Questo dovrebbe farci capire quanto sia falsato il nostro pensare di Dio, come se da Lui provenisse solo ciò che è bello, buono. Qui non è così: è lo stesso Spirito-Dio che lo spinge nel deserto con i demoni.
Il deserto di cui si parla richiama all’essenziale e Gesù doveva pur fermarsi per capire se dare o meno inizio alla vita pubblica partendo dall’essenziale: una scelta che doveva essere fatta in sintonia con la volontà del Padre.
Inoltre, Marco, da buon israelita, parlando del deserto, fa un richiamo alla storia dell’Israele dell’Esodo, alla prova che esso contiene per quanti l’attraversano. Ricorda anche il re Davide, modello del futuro Messia, che si nascose nel deserto prima di impossessarsi del trono di re Saul.
Gesù, per tutta la sua vita, dovette combattere contro la grande tentazione di essere il Messia, “figlio di Davide” (Mt 22,42-45), colui cioè che restaurerà con la forza l’antico regno di Israele. Era nel desiderio di tutti: la gente, i discepoli. E quando entrò in Gerusalemme tutti acclamavano: «Osanna al figlio di Davide» (Mt 21,9): tutti volevano un re di forza ma nessuno volle un re di pace (Mt 27,22: «Sia crocifisso»).
Il deserto esprime anche il tempo dell’attesa, della purificazione, della libertà e della tentazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse ma anche del dubbio. Dell’amore e della contesa. Del cammino e della caduta. È il luogo del tradimento, del pericolo. Però è anche il luogo dell’innamoramento con Dio (Os 2,16). Quest’innamoramento consiste anzitutto in un discernimento, un capire le proprie forze in base alla missione che Dio affida: il deserto diventa così il tempo delle decisioni mature.
Anche noi col battesimo che abbiamo ricevuto, dal suo Spirito siamo spinti fuori dall’Egitto e condotti per il deserto, in cammino verso la piena libertà dei figli.
v. 13: e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana.
Marco sottolinea con una immagine biblica che Gesù rimase quaranta giorni. Il numero 40 è simbolico. Nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, lo troviamo frequentemente. Non vuole indicare un tempo cronologico ma tutta la vita, un’esperienza di fede del popolo di Dio e anche del singolo credente. Ricordiamo qui in particolare la rivelazione di Mosè e il cammino di Elia (Es 34,28; 1Re 19,1-8).
Marco narra brevemente tutta la vita di Gesù raccontando ciò gli è accaduto; la stessa esperienza la fece il popolo, la stessa esperienza la facciamo noi ancora oggi.
In questo deserto, Gesù è tentato da Satana (trascrizione di un vocabolo ebraico che significa «avversario» e che è presente solo 27 volte, meno che nel Nuovo Testamento ove appare 36 volte, oltre al greco diàbolos, il «Divisore», citato 37 volte). Satana, per definizione, é «colui che accusa», mentre Gesù e «Colui che giustifica» e si fa «nostro avvocato presso il Padre». Satana è «il nemico», «l’avversario» (cfr. 1 Re 11,14.23), l’accusatore dell’uomo per rovinarlo e rovinare il Disegno divino.
La presenza del tentatore si prolunga per tutto il tempo (a differenza di Mt 4,1-11 e Lc 4,1-13 che la collocano al termine della quarantena) come a indicare che tutta la vicenda di Gesù, come Messia, è sottoposta alla tentazione intesa sia come prova dolorosa (come nella vicenda di Giobbe) sia come istigazione al peccato.
L’evangelista Marco non parla del digiuno di Gesù e neppure specifica quali siano le tentazioni. Le lascia emergere nel corso del racconto, come pericolo costante di anticipare la gloria del Figlio evitando la croce del servo. Per questo Gesù impone il silenzio ai miracolati e ai demoni.
La tentazione in Marco ha un chiaro riferimento Cristologico: Gesù deve scegliere quale tipo di messia vuole essere e si rivelerà Figlio obbediente, che vince ogni tentazione con la forza dello Spirito.
Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
L’Evangelista annota un’altra immagine presa dal libro di Daniele (cap. 7): la presenza delle fiere, delle bestie selvatiche. Il profeta Daniele vide quattro fiere spaventose, un’immagine che rappresenta i regni di questo mondo fondati sulla forza, sulla violenza, sul potere. Il valore era definito dalla capacità di dominare sui più deboli, proprio come fanno le belve. Chi erano queste quattro fiere? Il leone simbolo dei Babilonesi, popolo sanguinario. Poi l’orso che ha sbranato il leone che ha sostituito al potere e raffigurava l’impero dei Medi. Dopo l’orso è arrivato il leopardo che raffigurava il regno dei Persiani e poi la bestia peggiore di tutte: Alessandro Magno che schiacciava sotto i suoi piedi tutti i popoli. Questi sono i poteri del mondo. Gesù posto con le fiere che vogliono perpetuare la violenza e il potere si scontra contro di essi, lui che è l’agnello in mezzo alle fiere: «come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,7). E chi sono le fiere con cui ha avuto a che fare Gesù? Sono i detentori del potere politico, economico, religioso: i sadducei, i ricchi, i sacerdoti del tempio, gli scribi, i farisei con coloro che tiranneggiavano sul popolo. Gesù è l’agnello che sostiene tutte queste prove per essere purificato, per “dimostrare” ancora una volta di essere Figlio di Dio. Per noi sostenere queste prove dimostra che siamo figli di Dio. Per questo, nonostante la sofferenza, ci vien detto che siamo pieni di gioia e di letizia indicibile (Gc 1,2; 1Pt 1,6).
Marco annota ancora un’altra immagine: «gli angeli che lo servivano». Questa è un’immagine che fa riferimento alla realtà escatologica della pace messianica tra uomini, bestie e le creature celesti.
Chi sono gli angeli? Nell’Antico Testamento 213 volte e 104 volte nel Nuovo Testamento. Non designa un essere spirituale ma il mediatore della salvezza, della tenerezza di Dio. La Sacra Scrittura, da Mosè al Battista ma anche i genitori di Gesù e quanto hanno collaborato alla sua opera di salvezza vengono chiamati angeli, cioè, quanti costruiscono il regno di Dio.
Ora, la corte celeste, che sta al servizio di Dio, ora sta al servizio di Gesù (cfr. 13,27). La presenza angelica rivela la sua identità: egli è il Figlio di Dio e per questo mantiene la sua scelta di servo. In questa identità mantiene la sua scelta di servo. Servire nel Nuovo Testamento è espressione concreta dell’amore. Chi serve e ama Dio e i fratelli, è amato e servito dagli angeli, anzi, da Dio stesso, che è amore e servizio. Inoltre, la presenza degli angeli sta ad indicare la presenza di Dio nel deserto della vita: non siamo mai soli (cfr Sal 91,11). In questo contesto si realizza il sogno di Giacobbe: Gesù è quella scala che congiunge stabilmente Dio e l’uomo (Gen 28,12).
v. 14: Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea,
Da questo versetto, pur rimanendo in linea, cambia scena partendo dal Precursore, da colui che doveva “diminuire” davanti al Cristo (Gv3,30). Giovanni era un profeta scomodo, aveva invitato a un cambiamento e quindi viene arrestato. Ebbene il Signore suscita una voce, una forza ancora più potente del Battista, quella stessa di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Gesù lascia il deserto e inizia la sua missione di predicatore nella Galilea, nel luogo dove è cresciuto, dove ha lavorato. Il suo cammino sarà dal basso verso l’alto.
La Galilea è il luogo della quotidianità dove la parola di Dio risuona più che mai e l’evangelista Marco lo sottolinea riprendendolo nuovamente in Mc 16,7 per incontrarci con il Risorto.
proclamando il vangelo di Dio
Nella Galilea Gesù annuncia il Vangelo di Dio, cioè, parla del grande amore e infinito di Dio come nessuno l’aveva mai fatto; il Dio di Gesù è un Dio di un amore completamente nuovo, che andrà scoperto ogni giorno dimorando nella Parola, perché è un amore che non guarda, non è attratto dai meriti delle persone, ma dai loro bisogni. Questo proclama Gesù. Egli proclama sé stesso, predica la «Parola viva ed efficace» (Eb 4,12). Per l’evangelista Marco solo Gesù predica la buona novella, che è lui stesso. I discepoli, predicano la conversione (cfr. Mc 1,4; 6,12). Non perché gli altri non debbano annunciare la buona novella ma perché Gesù è l’unico vero Maestro che si dona e si comunica nella Parola annunciata.
v. 15: e diceva: Il tempo è compiuto
Gesù con le sue prime parole mette fine al tempo dell’attesa. Il momento presente è quello che Dio ha stabilito per la nostra salvezza: il tempo (kairos) è giunto al suo termine alla pienezza, ossia è giunto il momento fissato da Dio per l’avvento della sua signoria (regno – basileia), che si è fatta vicina. È un tempo da prendere al volo perché non si ripresenterà e si rischia di restare fuori dalla storia di Dio.
Questo kairos è per me ogni qualvolta che leggo o ascolto la Parola di Dio, perché proprio in quel momento il Signore vuole compiere per me ciò che è raccontato, ma solo se chiedo e accolgo il dono.
il regno di Dio è vicino
Qui abbiamo tutte le aspettative di Israele. Si realizza la grande promessa di Dio, che sarebbe avvenuta per opera del messia, il Cristo annunciato a Davide come suo successore (cfr. 2Sam 7).
La forma verbale di engízō per indicare che il Regno si è avvicinato, non significa che è un po’ più vicino di prima, ma afferma che è proprio qui, è arrivato! Lo stesso verbo ritorna nuovamente sulle labbra di Gesù, quando nel Getsemani sveglia gli apostoli per dire loro che il traditore «è qui» (Mc 14,42) e, mentre ancora sta parlando, Giuda gli si accosta. Dunque, Gesù dice che «il regno di Dio è qui!».
Il regno vicino è il regno presente in quanto suscita le nostre speranze, interpella il nostro essere uomini e donne liberi. Ogni qualvolta leggiamo il Vangelo, un aspetto si rivela. Noi ne accogliamo il dono.
convertitevi e credete nel Vangelo
Nell’Antico Testamento la conversione era una proposta di “ritorno” fatta al popolo che si era allontanato da Dio per seguire gli idoli. Qui la voce dei profeti: “ritornate al Signore!” (Gl 2,12).
Nel Nuovo Testamento non abbiamo lo stesso verbo. Per entrare nel regno di Dio, Gesù propone di “cambiare modo di pensare” (metanoia) ma soprattutto una conversione difficile: il modo di concepire Dio.
Il Dio che presenta Gesù è Colui che ama in modo incondizionato rispetto al Dio pagano che abbiamo nella nostra mente e che abbiamo modellato secondo il nostro modo di pensare e di fare. Gesù invita a convertirsi a Dio amore. Convertirsi vuol dire ripudiare la scala di valori del mondo vecchio e accogliere la nuova scala di valori proposta dal Vangelo ove al centro ci sta l’amore per Dio proposto da Gesù.
Gesù aggiunge: “credere nel Vangelo” significa volgersi a Lui, accogliere e fare mia la proposta di Gesù andando dietro a Lui, ripercorrendo i suoi passi. Questa è una risposta libera e responsabile ma che crea un rapporto personale e di fiducia del credente con Gesù.
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
La Parola illumina la vita e la interpella
Qual è il mio deserto a cui sono chiamato ad attraversare? Cosa sono disposto a rischiare?
Vedo la tentazione come purificazione per potermi nuovamente alzare con la forza che viene da Dio? Oppure sono frenato dalle mie paure?
Sono cieco al passaggio di Gesù? Apro, spalanco la porta del mio cuore a Lui?
Quali atteggiamenti di cambiamento, di direzione del cuore? Faccio il giusto silenzio per scoprirlo?
In quale Dio credo?
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via. (Sal 24).
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Anche la nostra vita è attraversata dalle tentazioni. Combattiamo come Gesù contro quella tentazione, anche “piccola”, nella quale cadiamo più spesso.