O Dio, che affidi alla nostra debolezza l’annunzio
profetico della tua parola, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché non
ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con tutta franchezza il
tuo nome davanti agli uomini, per essere riconosciuti da te nel giorno della
tua venuta. Per Cristo nostro Signore. Amen.
ascolto della Parola (Leggere)
abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà
svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi
dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio
voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che
uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura
piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il
corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure
nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino
i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque
paura: voi valete più di molti passeri!
chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al
Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli
uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
penetri in te e vi metta delle salde radici.
Dopo aver fatto il grande «discorso della montagna»
(Mt 5,1-7,29), Gesù adesso fa il suo «discorso apostolico» che prende quasi
tutto il capitolo 10. L’evangelista Matteo per questo discorso attinge da Marco
(nei cc. 3.6.13).
Gesù istruisce i suoi discepoli sul comportamento che
devono adottare nell’esercizio della loro missione e della persecuzione. Testimonianza
profetica e persecuzione sono realtà indissolubili nella vita del popolo di Dio
e nell’esperienza dei profeti: è propria del cristiano, in quanto Cristo stesso
è stato chiamato a vivere la persecuzione in prima persona per la salvezza
dell’uomo.
Nel suo discorso Gesù usa quattro immagini tratte dal
creato per poter vivere meglio e pienamente la missione.
Nel brano colpisce maggiormente due avvertenze: (1) la
frequenza con cui Gesù allude alle persecuzioni e alle sofferenze che dovranno
sopportare; (2) quattro volte è ripetuto al discepolo di non avere paura: paura
degli uomini; paura di chi uccide il corpo; paura di non valere abbastanza;
paura di perire nella eterna Geenna.
Fede e fiducia in Dio per impegnarsi come Gesù e con
Gesù per portare a compimento, pieni di fede e di amore, l’opera iniziata. Lì accade
il vero miracolo.
sulla Parola (Meditare)
v. 26: Non abbiate dunque
paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto
che non sarà conosciuto.
“Non abbiate paura”, “non temete”, sono inviti che
riscontriamo nelle pagine della Bibbia. Ricordiamo Abramo, Mosè, i Profeti,
Maria, la madre di Gesù, a tutti è risuonato nel cuore quest’invito. Anche per
la missione non occorre avere paura. Qui i discepoli appaiono paurosi, temono
qualcosa, diversamente, non avrebbero ricevuto quest’invito da Gesù.
Quindi, la paura, di cui qui si parla, non è la paura
naturale che ogni uomo avverte di fronte agli avvenimenti imprevisti della sua
vita ma quella che accompagna i cristiani nel corso della loro missione
evangelizzatrice.
Il tempo della missione, è il tempo dell’apocalisse.
Non nel senso catastrofico, ma nel senso di rivelazione. Una rivelazione fatta
in pieno giorno (cfr. Mt 13,35; Sal 78,2) in quella contingenza dell’agire e delle
strategie nascoste di chi si vuole sostituire alla potestà di Dio, di chi si
affida ai semplici poteri umani, inconsistenti e illimitati.
Il discepolo di Cristo immerso in queste realtà non
deve temere anche se la fatica della persecuzione e della missione lo possano
far apparire come perdente e sconfitto, perché la forza della sua parola e
della sua testimonianza viene dal Signore, dalla sua fedeltà e dal suo amore
misericordioso.
C’è un velo che verrà tolto e svelato. Quel velo tolto
è la rivelazione di Dio e Dio si rivela sulla Croce. Sulla Croce Egli mostra il
suo grande amore per l’umanità. Questa manifestazione divina legata al velo ci
rimanda a quel velo squarciato, dall’alto in basso, alla morte di Gesù (Mt
27,51) per indicare che sulla Croce Dio si rivela totalmente come amore e con
la sua Croce ha vinto non è sconfitto.
Allora “non temete” perché Gesù è il nuovo velo che
rivela l’amore.
v. 27: Quello che io vi
dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio
voi annunciatelo dalle terrazze.
Gesù sta istruendo i suoi discepoli e lo sta facendo
in privato, di nascosto, in quella tenebra che ognuno sta vivendo, sussurrando
all’orecchio del cuore il grande mistero del Regno. Ora, avvertendo l’esigenza
di annunciare a tutti il messaggio evangelico, invita a dirlo apertamente, alla
luce del sole, con molta trasparenza e rispetto umano perché il Vangelo entri
in ogni cuore.
v. 28: E non abbiate paura
di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;
abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e
l’anima e il corpo.
Aver paura della morte è puramente umano. Ma il
cristiano non è per la morte ma per la vita. Egli è il discepolo che deve far
risplendere la Parola con coraggio. Questa è una lotta continua, con la stessa
forza che viene da Dio, combattendo l’idolatria che lo seduce. E la parola che
proclama è dýnamis (cfr. Rm 1,16), è
forza che attraversa la storia umana senza impedimenti, in una sorta di corsa
(cfr. 2Ts 3,1). La vita terrena non è nulla in confronto alla vita imperitura
che il Padre darà loro in cielo.
Anche se la vita del cristiano è provata, faticosa,
pesante mai può sconvolgere la sua vita sino a togliere la speranza che viene
dal sentirsi amato e sostenuto dall’amore misericordioso di Dio.
vv. 29-31: Due passeri non
si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza
il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti
contati.
Il versetto assomiglia a quel proverbio: “Non si
muove foglia che Dio non voglia!”. Una lettura diversa del versetto, può
aiutarci ad entrare dentro: “Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il
Padre vostro”. Con il paragone dei passeri, Gesù mette in evidenza quanto
l’amore del Signore sia concreto e attento alla vita di ciascuno e in
particolare in chi soffre a causa del suo nome (cfr. Lc 21,17-18).
Dio è Colui che non abbandona nel momento del dolore,
della sofferenza, della catastrofe. Dio è lì, presente. Nel mondo creato ci
sono delle “imperfezioni”ma sono realtà, realtà spesso create da noi. Dio di tutto
questo non ha colpa. Tutto però è sotto il suo sguardo, persino quei capelli
che cadono senza che ce ne accorgiamo. Dio non abbandona chi ha fede in Lui: in
Cristo ci ha salvato dalla morte eterna.
Non abbiate dunque paura:
voi valete più di molti passeri!
I discepoli non sono chiamati a vivere nella
disperazione ma in quel santo timore e non quella paura che invade ogni giorno
il nostro cuore. Essi sono più preziosi dei passeri, più preziosi dei capelli.
Possono essere perseguitati e messi a morte, ma anche nella loro morte il Padre
è là; nelle loro tentazioni il Signore è là, nelle loro sofferenze è Cristo a
soffrire.
La paura è una cattiva consigliera: frena lo slancio
del cuore, toglie l’audacia e la razionalità.
Il discepolo è colui che rimane sempre ancorato a
Cristo, non teme la persecuzione, il dolore, la sofferenza, perché sa che Lui,
è solidale compagno di viaggio per quelle vie impervie e difficili.
Questo è il timore di Dio, sapere che Dio mi è Padre e
io gli sono figlio.
vv. 32-33: Perciò chiunque
mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio
che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò
davanti al Padre mio che è nei cieli.
Riconoscere il Signore, dice il v. 32. Ciò implica la
conoscenza, la testimonianza. Il discepolo è uno che lo testimonia in due modi:
il primo nella vita quotidiana mentre il secondo nella persecuzione.
Questa conoscenza di Lui parte dagli ultimi. Qui la
realizzazione piena della nostra vita in quanto figli, che è la nostra essenza:
riconoscere i fratelli e riconoscere nei fratelli il mio Signore. Sgorga,
allora, l’invito a prendere la croce e vivere la fedeltà a Cristo fino in
fondo, uscendo dalla mediocrità e dal compromesso, che svuotano di autenticità
la vita cristiana. Quindi l’orientamento pieno della nostra esistenza cristiana
è proprio il riconoscere il Signore presente nella carne dei fratelli, dei poveri,
dei piccoli, degli ultimi, degli esuli; è lì che si gioca la testimonianza e lì
è realmente presente il Signore, con la coscienza di averlo fatto a Lui (Mt
25,40). Da qui sgorga l’esortazione a vivere con coerenza la scelta di Cristo,
poiché dall’atteggiamento che avremo assunto nei suoi confronti durante la
nostra esistenza terrena, dipende l’eredità eterna.
Nei versetti troviamo anche il contrario di
riconoscere: “rinnegare”. Il termine ci riporta allo stesso dramma che visse
Gesù nella sua passione: trovare il discepolo che non si riconosce in lui.
In
questo la croce rimane il segno inimitabile della fedeltà di Dio a tutti coloro
che lo rinnegano; che nessuno lo ha accettato e lui resta fedele. (cfr. 2Tim
2,11-13). Quindi l’ultima parola spetta sempre alla Sua fedeltà.
silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio
sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
vita e la interpella
Mi sento prezioso/a agli occhi di Dio? Ho fiducia in
Lui?
Sono coerente nel proclamare la mia appartenenza alla
Chiesa? oppure vivo una situazione di comodo?
Testimonio con coraggio la Parola di Dio? Oppure ho
paura?
Sono perseguitato/a a causa dell’annuncio del Vangelo?
Cosa
significa per me oggi riconoscere o, al contrario, rinnegare il Signore?
sue stesse parole (Pregare)
e la vergogna mi copre la faccia;
sono diventato un estraneo ai miei fratelli,
uno straniero per i figli di mia madre.
Perché mi divora lo zelo per la tua casa,
gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me.
Signore, nel tempo della benevolenza.
O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi,
nella fedeltà della tua salvezza.
Rispondimi, Signore, perché buono è il tuo amore;
volgiti a me nella tua grande tenerezza.
voi che cercate Dio, fatevi coraggio,
perché il Signore ascolta i miseri
non disprezza i suoi che sono prigionieri.
A lui cantino lode i cieli e la terra,
i mari e quanto brùlica in essi. (Sal 68).
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Siamo ancora sulla strada giusta. Proseguiamo perciò a
testimoniarlo con coraggio anche in mezzo alle prove, anche a prezzo della
vita. La mèta che ci attende lo merita: è il Cielo, dove Gesù, che amiamo, ci
riconoscerà davanti al Padre suo per tutta l’eternità (Chiara Lubich).
Lectio divina su Gv 10,26-33