Lectio divina su Gv 9,1-41

 


Invocare
O
Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione,
concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno
verso la Pasqua ormai vicina.
Per
Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1 Passando,
vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo
interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato
cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è
perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi
compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la
notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la
luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con
la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’
a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò
e tornò che ci vedeva.
8Allora
i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante,
dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni
dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli
diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono
stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù
ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va’ a Sìloe e
làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli
dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
13Condussero
dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno
in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche
i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli
disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora
alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva
il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di
questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di
nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli
occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
18Ma i
Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la
vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista.
19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite
essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui
risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma
come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo
sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo
dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei
avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo,
venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori
dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
24Allora
chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a
Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose:
«Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora
gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose
loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo?
Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono
e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi
sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose
loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia,
eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i
peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da
che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a
un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto
far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni
a noi?». E lo cacciarono fuori.
35Gesù
seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel
Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io
creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla
con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a
lui.
39Gesù
allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché
coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40Alcuni
dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo
ciechi anche noi?». 41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non
avreste alcun peccato; ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato
rimane».
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola
di Dio
 
Dentro il Testo
Dopo
la catechesi sull’acqua viva, questa domenica viene proposta quella della luce,
del vedere. La pericope si trova nel contesto dei cc. 7-10 dove il Rivelatore è
in lotta con il “mondo”. Ha una certa analogia con Gv 5,1-47 e con lo stesso
schema: racconto della guarigione, discussione sul miracolo e disputa.
Il cap.
9 si apre con Gesù che esce dal tempio, dove ebbe un dialogo un po’ acceso con
i Giudei, tanto acceso che essi avevano deciso già prima di lapidarlo (cfr.
8,59). Ma Gesù si nascose e ne andò. Uscendo dal tempio trova il cieco, gli
ridona la vista e sparisce nuovamente. Nei primi sette versetti di questo
capitolo abbiamo la guarigione del cieco nato, da cui scaturisce una disputa
fra i farisei a motivo della guarigione operata da Gesù. I racconti di
guarigioni di ciechi nei vangeli hanno la funzione di mostrare che con Gesù i
tempi messianici sono arrivati.
Ai
discepoli del Battista, venuti ad accertarsi chi fosse veramente, Gesù ha
risposto citando Isaia “i ciechi vedono”. In questo brano si aggiunge
un altro significato: il cieco miracolato rappresenta la figura del credente
illuminato dalla fede. Giovanni racconta il miracolo facendolo precedere dalla
sua spiegazione: Gesù è la luce del mondo. Una luce che purtroppo può anche non
essere accolta: i farisei non lo vogliono riconoscere come proveniente da Dio e
diventano “ciechi”. Questa affermazione introduce il discorso del
buon Pastore, che occuperà gran parte del capitolo 10 e che si può considerare
una conseguenza dell’episodio del cieco nato. Tra le pecore che ascoltano la
voce del pastore vi è anche il cieco guarito. Negli intrusi che sono penetrati
nell’ovile si possono riconoscere i capi della sinagoga che hanno cacciato
l’ex-cieco.
La
prospettiva giovannea abbraccia il mistero nella sua totalità: venendo nel
mondo la luce illumina oppure abbaglia, secondo la capacità del singolo di
accoglierla.
 
Riflettere
sulla Parola
(Meditare)
v. 1: passando vide un uomo cieco dalla nascita
Gesù si
trova nelle vicinanze del tempio e mentre passa il suo sguardo si posa su un
cieco. Egli rappresenta l’umanità che è cieca. La scena è chiara: Gesù va
incontro alla cecità umana e non viceversa. Questo passare e vedere di Gesù, in
realtà, non è altro che il modo di rivelarsi di Dio, il suo irrompere nella
storia dell’uomo come salvatore. Nel suo “passare” Gesù posa il suo sguardo,
“vide un uomo cieco dalla nascita”. Questo episodio è particolare. Solo
Giovanni ne parla. Forse per rendere più eccezionale il miracolo e per
accentuare la sua portata simbolica.
Il
verbo greco usato per esprimere il “vedere” di Gesù non definisce il semplice
vedere come lo intendiamo noi, ma esprime in pienezza i significati del verbo: “vedere
in profondità”, “conoscere”, “prestare attenzione”.
Inoltre,
l’Evangelista, pone nel cieco la sua attenzione come l’immagine dell’Israele
cieco o accecato. Anche noi siamo come questo cieco, dalla nascita, anche noi viviamo
la cecità, la tenebra, perché tutti viviamo in qualche modo una cecità.
La
tenebra che è il contrario della luce è sinonimo di non senso, è sinonimo anche
di morte, perché l’uomo senza senso ha perso la sua identità e invece di agire
per la vita agisce per la morte.
v. 2: e i suoi discepoli lo interrogarono:
“Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato
cieco?”.
Gesù
non vede in quel momento un malato, ma un uomo. I discepoli non solo non vedono
un uomo, ma in un certo senso nemmeno un cieco, bensì solo il problema che la
cecità pone loro. Non rivolgono nemmeno la parola a quell’uomo. Ora la
situazione di cecità, di morte, davanti a Dio provoca una domanda. La domanda
rispecchia una credenza giudaica che ogni disgrazia fosse il castigo del
peccato, e che i peccati dei genitori potessero essere puniti nei loro figli
(cfr. Es 20,5; Dt 5,9). Questa mentalità aveva avuto dei critici autorevoli già
nei profeti Geremia ed Ezechiele, ma continuava ad avere un certo successo popolare.
Il
ragionamento rasentava l’assurdo quando si trattava di malattie presenti sin
dalla nascita, come nel caso di questo cieco. In tal caso sarebbe stata la
punizione per un peccato compiuto dai suoi genitori, oppure si pensava che un
bambino già nel grembo di sua madre potesse peccare. L’intervento dei discepoli
permette a Gesù di precisare.
L’Antico
Testamento esclude che il peccato dei padri potesse ricadere sui figli, ed
Ezechiele ribadisce e sottolinea questo con fermezza (Ez 18,1-32), ribadendo la
Volontà del Signore: «Avrò forse Io piacere della morte dell’iniquo – parla
il Signore Dio! – o piuttosto che egli si converta e viva?»
.
In
altro contesto, Gesù stesso avverte che gli uccisi dalla strage fatta da Pilato
nel tempio, o i travolti dalla torre di Siloe, non erano più colpevoli di altri
(Lc 13,1-5), richiamando però alla conversione.
La
domanda assomiglia più o meno alla nostra: che colpa c’è, che colpa ho, perché
avviene questo male? Cosa ho fatto?
v. 3: Rispose Gesù: Né lui ha peccato né i suoi
genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.
Gesù non
mette il problema sul peccato, anzi lo respinge escludendo anche la teoria
popolare e dà una risposta lapidaria. È improprio parlare di peccato sulla
disgrazia altrui, non esiste nessuna colpa in coloro che sono nati così. Il
male dell’uomo viene realisticamente assunto come luogo in cui Gesù può narrare
lo sguardo di Dio sull’uomo e compiere l’azione di Dio.
Gesù,
dicendo che non ha peccato né lui né i suoi genitori, fa una grande
affermazione e dice addirittura che in questa situazione di male si manifesta
l’opera di Dio in lui. E qual è l’opera di Dio? Liberare l’uomo dal male,
dall’oppressione, dall’ingiustizia.
vv. 4-5: Bisogna che noi compiamo le opere di colui
che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire.
Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo
Qui
viene usato il plurale. Un primo pensiero rievoca quanto Gesù ha già espresso: «Il
Padre mio opera sempre e anch’io opero»
(5,17), viene così giustificato
anticipatamente il suo lavorare in giorno di sabato.
Un
secondo pensiero, è che evidentemente il discorso è allargato ai discepoli,
incaricati di continuare l’opera di Gesù sulla terra (cfr. 14,12). Gesù precisa
che deve agire “finché è giorno”, cioè per quanto dura la sua vita
terrena, in cui deve compiere la missione affidatagli dal Padre. Egli, infatti,
è la luce del mondo.
Questo
versetto ripete 8,12 e allude al Cantico di Is 42,6 e 49,6 dove il “servo di
Javhè” si proclama luce delle nazioni, cioè del mondo intero.
Gesù
inizia a rivelarsi e rivela la sua divinità, il suo essere da Dio e con Dio, la
sua origine e il suo mandato. Egli trasmette l’essenza della vita divina (la
luce) e la comunica –illuminazione- a coloro che, credendo in lui, ricevono la
vita eterna, la vita divina. Egli è la luce del mondo (1,4.9; 8,12; 12,35). Il
Padre interviene per mezzo del Figlio. Egli è Colui che rischiara le tenebre
manifestando l’efficacia della luce.
La
presenza di Gesù trionfa sulla tenebra (cfr. Gv 1,5) in cui si trova il cieco
nato. La sua tenebra è la situazione di ognuno prima del vero incontro con
Cristo. Il cieco non chiede la guarigione, è un cieco nato, non può domandare
ciò che ignora. Così l’umanità avvolta nelle tenebre non ha invocato Dio. È stato
Lui stesso a venirle incontro.
v. 6: Detto questo, sputò per terra, fece del fango
con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco.
Un
gesto insolito per poter guarire dalla cecità. In quel tempo la saliva era il
concentrato dell’Alto, del soffio. Un richiamo alla creazione. Il soffio di Dio
che ha donato vita all’uomo impastato col fango della terra. Si ripete il gesto
della creazione. Il Creatore prende del fango e lo modella a corpo umano, cui
dà poi vita con il suo alito vitale (cfr. Gen 2,7).
Gesù
porta a compimento la creazione primitiva in vista della nascita dell’uomo
perfetto: plasma l’uomo (l’Adamo, il terroso) nuovo con la terra e lo sputo. Lo
sputo è qualcosa di intimo che viene dal di dentro, è simbolo dello Spirito.
Gesù aveva detto di essere la sorgente dell’acqua viva, dello Spirito, ora ne
fa dono, lo mette davanti ai nostri occhi perché potessimo vivere secondo il
progetto originario di Dio.
v. 7: e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di
Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
È il
primo atto battesimale posto negli occhi. La piscina di Siloe, a sud-ovest
della città vecchia di Gerusalemme, si trovava allo sbocco di un tunnel fatto
costruire da Ezechia (verso il 704 a.C.) per portare le acque del torrente
Ghicon all’interno di Gerusalemme.
Dice
Paolo ai Galati: «io ho dipinto davanti ai vostri occhi Gesù Cristo Crocifisso»
(Gal 3,1). Il cieco è guarito solo per la sua Parola: «Va e lavati», che richiede
una fede obbediente che permette i movimenti di guarigione: “andare”; “lavarsi”;
“tornare”.
“Siloe”
significa “inviato”. Ora chi è l’inviato? Sì il cieco è l’inviato di quel
momento ma il vero inviato è Cristo (cfr. 5,36-37). Quindi l’uomo cieco è
inviato a Cristo stesso. Gesù manifesta che la sua missione è quella di
liberare l’uomo dalle tenebre. Solo a Siloe il fango cade e il cieco nato
acquista la vista. Il cieco obbedisce senza discutere agli ordini di Gesù. Poi
torna “vedendoci”. Altre spiegazioni sul miracolo avvenuto non ne
abbiamo.
Ora il
cieco nato vede, anche lui ha, come san Paolo, questo “dipinto” che è
chiamato per sempre a tener davanti agli occhi. Perché ciò che tieni davanti
agli occhi ti entra nel cuore e diventa la tua vita. Questo vuol dire diventare
illuminati.
vv. 8-10: Allora i vicini e quelli che lo avevano
visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava
seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No,
ma è uno che gli assomiglia».
L’uomo
è nuovo, cambiato ma non è riconosciuto dai vicini e da quanti lo conoscevano. Inizia,
quindi, un primo processo all’uomo con i vicini e i conoscenti. Ciò ci dice che
siamo relazione e soggetto a quanto l’altro sa di noi. Il richiamo al passato
“era seduto e mendicava”, dà ulteriore rilievo al cambiamento
avvenuto. Spesso, come accade nel brano, restiamo rilegati, prigionieri del
passato.
Il
problema degli astanti è questo: come mai quest’uomo ha cambiato totalmente vita?
Cosa gli è successo?
Allora gli domandarono: “In che modo ti sono
stati aperti gli occhi?”.
Anche
in questo versetto abbiamo una certa insistenza e questa volta sul “come” il
fatto sia accaduto. È una domanda che provoca una molteplice ripetizione della
risposta creando un effetto letterario di insistenza, che si addice alla
straordinarietà dell’evento.
v. 11: Egli rispose: “L’uomo che si chiama Gesù ha
fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va’ a Sìloe e làvati!».
Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista”.
Il neo-vedente
risponde alla domanda. Trascurando la saliva e conoscendo il nome di Gesù,
l’uomo per dire che ci vede, usa il verbo anablépo
(vedi anche Gv 9,15.18). Questo verbo indica in Mt 14,19 che “gli occhi sono
alzati verso il cielo” e in At 22,13 significa che “gli occhi sono alzati verso
qualcuno”. In questi termini, il verbo descrive che il miracolato guarda verso
Colui che egli “vede” (heoraka) con una fede perfetta (9,37).
Il
profeta Isaia ha espresso bene quanto ha fatto l’uomo: «Alzati, rivestiti di
luce, perché viene a te la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te…
cammineranno i popoli alla tua luce, al tuo sorgere»
(Is 60,1); «Il sole
non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore di luna,
ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore»

(Is 60,19).
vv. 12-13: Gli dissero: “Dov’è costui?”.
Rispose: “Non lo so”. Condussero dai farisei quello che era stato
cieco:
Questa
domanda percorre il Vangelo. “Dove” o “Dov’è” è la stessa cosa. La prima
domanda che fanno i discepoli a Gesù è: dove dimori? Il “dove” dell’uomo è il
luogo dove abita, la sua casa, le sue relazioni; è la sua identità; dove sei
vuol dire “chi sei”? Quindi il “dove” è l’identità di una persona.
Ai
discepoli di Giovanni che chiesero a Gesù dove dimorasse, Gesù disse: “venite e
vedete”. Per l’uomo che ora ci vede è diverso. Lui si deve mettere alla ricerca
di Gesù per poter dimorare con Lui
L’ex
cieco pur conoscendo il nome, ignora dov’è l’uomo che l’ha guarito. Lui anche
se ha acquistato la vista, dovrà fare un cammino alla scoperta di Gesù, verso
la vera Siloe, verso il vero inviato e verso la sua professione di fede.
Al suo
“non so”, l’uomo è condotto dai maestri della legge: i farisei. Questi
realizzano una regolare inchiesta: interrogano il miracolato due volte,
convocano anche i suoi genitori.
vv. 14-16: era un sabato, il giorno in cui Gesù
aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei, dunque,
gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi
ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei
farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato».
Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?».
E c’era dissenso tra loro.
L’Evangelista
aggiunge il particolare del “sabato” per evidenziare il dibattito
teologico tra i farisei sulla trasgressione di Gesù. La perplessità dei farisei
è reale. Dt 13,1-6 esigeva che chi compisse prodigi fosse condannato nel caso
in cui incitasse il popolo a disprezzare la legge divina. Purtroppo, ieri come
oggi, vi è la pretesa del sapere, di conoscere leggi e tradizioni a cui restare
legati, fedeli. Tante volte le persone religiose si attaccano a delle norme, a
delle leggi, come i farisei, dimenticando la cosa principale: la legge è per
l’uomo, non l’uomo per la legge! (cfr. Mc 2,23-28).
Il
grande peso che si pensa di addossarsi nel seguire la sequela di Cristo non sta
nel Cristo stesso, ma nella Legge di Mosè. Quando non conoscevamo il Signore ma
solo i precetti della Legge, avevamo sulla spalla non il peso del Cristo, ma
soltanto quello della Legge che opprimeva, pesante come un mondo, lasciando
nella cecità e il bene non emerge mai.
v. 17: Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che
cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un
profeta!».
Purtroppo,
chi rimane cieco non sa accogliere una possibile guarigione e guarda l’altro
come l’eterno cieco, non pensando che in quel momento il vero cieco è lui.
Allora qualsiasi tentativo dei farisei per spiazzare il tutto è vano. Il neo-vedente
non ha fatto ancora la vera e reale conoscenza del Messia. Come la Samaritana,
riconosce Gesù come un profeta. Popolarmente la figura del profeta–simboleggiata
nella tradizione ebraica dal grande e potente Elia- identifica un uomo vicino a
Dio, con speciale sapere e forza eccezionale. 
In
questa risposta ci sta un crescendo: Gesù è uno che fa semplicemente dei
miracoli (cfr. v.15), poi un «profeta» (cfr. v.17), «uno che fa la volontà di
Dio» (v.31), che è «da Dio» (v.33).
vv. 18-23: Ma i Giudei non credettero di lui che
fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i
genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il
vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I
genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato
cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi,
noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé».
L’interrogatorio
questa volta è fatto dai Giudei, dai capi religiosi. I Giudei avevano già
stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso
dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero che non c’entrano con questa
nuova realtà. Gesù ricorderà a Nicodemo: “ciò che nasce dalla carne è carne,
ciò che nasce dallo Spirito è Spirito” (Gv 3,6).
Questo dissero i suoi genitori, perché avevano
paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse
riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi
genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
I
genitori hanno paura di questa nuova visione della vita, c’è una scoperta
nuova. Seguire il Vangelo comporta dei rischi. Loro rischiavano anche
l’espulsione dalla sinagoga e quanto ne conseguiva. I genitori confermano che
il loro figlio era cieco ed adesso è guarito; sul modo della guarigione non si
pronunciano, e rimandano, pieni di paura per essere espulsi dalla comunità
(cfr. 7,13; 12,42; 19,38), ad interrogare direttamente il figlio, ha l’età
sufficiente per rispondere.
L’età
per testimoniare era tredici anni e un giorno. Ciò significa che è maggiorenne
e per la legge giudaica la sua parola ha dunque valore giuridico.
Il
termine “confessare che Gesù è il Cristo” è un a formulazione propria del
linguaggio della Chiesa (cfr. Rm 10,9).
v. 24: Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era
stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un
peccatore».
È un
ulteriore interrogatorio. L’uomo è chiamato a riconoscere il Dio della vecchia
alleanza e non il nuovo. Gesù è solo un peccatore che ha infranto la Legge e va
punito.
vv. 25-30: Quello rispose: «Se sia un peccatore,
non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che
cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già
detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse
diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo
sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma
costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: Proprio questo
stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.
Quei
farisei chiamano nuovamente l’uomo guarito e lo invitano ad ascoltare la solidità
della loro dottrina. Cercano di convincerlo, perché loro “sanno”, hanno
l’autorità di discernere che Gesù è un peccatore; dunque, non può fare nulla di
buono. Ma l’uomo guarito conferma. Ciò non basta. C’è la fatica di credere
nell’uomo. Però, più i farisei faticano, più l’uomo cresce nella fede in
Cristo, si sente un uomo libero e vede chiaramente il mistero.
Alla
fine, il miracolato non si sorprende più del miracolo di cui è stato
protagonista, ma del fatto che le autorità non sappiano da dove venga Gesù.
 vv. 31-32:
Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua
volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che
uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.
Rimanendo
nelle proprie convinzioni si cerca di cogliere in fallo, di dimostrare che Gesù
ha violato il sabato, di stare nella linea farisaica (noi sappiamo). Il
miracolato, invece, dimostra di aver colto il cuore della Legge, esprimendo un
principio della Sacra Scrittura: Dio non esaudisce i peccatori ma ascolta i
veri adoratori (Sal 33,16; Prov 15,29; At 10,35; Gc 5,16). Quegli stessi veri
adoratori di cui Gesù parlava alla Samaritana.
vv. 33-34: Se costui non venisse da Dio, non
avrebbe potuto far nulla.
I
versetti dimostrano chi è il vero cieco nato. C’è una ostilità e abuso di
potere nonostante tutto. I Farisei sono chiusi, serrati nella loro verità su
Dio e Mosè. Questo atteggiamento li condanna (9,39-41) “Chi non crede è stato
condannato, perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio E il
giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le
tenebre, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia
la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le loro opere” (Gv 3,19-20).
e retrocedono nel cammino verso il Messia.
Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e
insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
La
cecità dei Farisei è nello stile della favola di Esopo: le due bisacce, dove
non si vedono i difetti che vengono da se stessi ma solo quelli che provengono
dagli altri.
Per
questo si ostinano a dire senza “ombra di dubbio”: è nato nei peccati e meglio
che ritorni ad essere cieco per dare loro ragione. E viene espulso dalla
sinagoga come un comune appestato.
Per il
miracolato questo non è un problema perché si sente nel cuore di Dio e non
scomunicato. In realtà, i veri scomunicati, sono i farisei e i giudei.
v. 35: Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori;
quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?».
Tutto ciò
arriva all’orecchio di Gesù che si mise a cercarlo. È la seconda volta che Gesù
cerca l’uomo. Questa volta l’interrogatorio è da parte di Gesù, ma non è la
stessa cosa. Nel primo loro incontro non c’era stato dialogo, ma un gesto e un
ordine, al quale il cieco nato aveva risposto eseguendolo.
Ora
Gesù gli pone una domanda che grammaticalmente richiede una risposta positiva.
Infatti, qui vi è un invito a fare professione di fede nel Figlio dell’uomo.
Secondo la tradizione giudaica di Daniele, la figura del Figlio dell’uomo è
quella del giudice escatologico (Dn 7,13). L’espressione è la prima volta che
nel NT appare con questo tono.
vv. 36-37: Egli rispose: «E chi è, Signore, perché
io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te».
Gesù
si rivela come Figlio dell’uomo. L’ex-cieco aveva riconosciuto attraverso il
segno Gesù come un profeta e un uomo che veniva da Dio; ora è chiamato a credere
all’uomo che ha davanti. La domanda dell’ex cieco è tra la conoscenza
(identità) e desiderio (scoperta). Egli intuisce che Gesù dopo avergli aperto
gli occhi, gli propone un’adesione a lui che è sorgente di vita. È l’intento di
portare l’uomo al progetto originario di Dio. Lo ha fatto con la donna
samaritana, ora lo fa con il cieco nato. Anche qui la visione è abbinata alla
parola.
Nel
vangelo di Giovanni, il racconto è strutturato dal rapporto di due elementi:
parlare/vedere, dei quali il principale è la parola. Infatti, il verbo vedere è
legato alla fede e la fede nasce dall’ascolto. Infatti, se il cieco non avesse
ascoltato Gesù non avrebbe compiuto gli atti che ne hanno segnato la guarigione.
È la Parola il dono per eccellenza, quello che permette all’uomo di passare
dalla tenebra originaria alla luce divina.
v. 38: Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si
prostrò dinanzi a lui.
Il
miracolato riconosce chi è il suo Salvatore grazie al dialogo in cui Gesù si
rivela e fa la sua professione di fede. È la stessa professione che farà Marta
(11,27).
L’ex
cieco, divenuto credente, illuminato, percepisce il Signore nella sua fede.
Egli compie un gesto con cui rende gloria a Dio in un altro senso rispetto a
quello che gli avevano chiesto i farisei (v.24).
Il
verbo prostrarsi acquista il senso forte di adorare Dio stesso. La professione
di fede e la prostrazione esprimono la convinzione che Dio è presente nella
persona di Gesù.
Questo
è stato appurato nel cammino del catecumenato. Un cammino completato dopo una
serie di domande e risposte (cfr. vv. 35-38) che delineano le tappe della fede.
Queste
tappe sono la pedagogia progressiva da parte di Dio, che rispetta ritmi e
capacità dell’uomo nell’attirarlo a sé.
v. 39: Gesù allora disse: «È per un giudizio che io
sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che
vedono, diventino ciechi».
In
questo versetto Gesù inizia a pronunciare una condanna verso coloro che sono
gonfi del loro sapere avevano escluso ogni eventualità che Gesù potesse essere
l’Inviato di Dio.
La
guarigione del cieco indica il ricupero pieno della vista fisica e di quella
spirituale, mentre coloro che presumono di vedere, sono diventati ciechi; hanno
perso la capacità di percepire le realtà divine e spirituali. Tra i vedenti che
diventano ciechi ci sono i farisei. Ovviamente ci si riferisce al vedere
spirituale, come già negli scritti dei profeti.
vv. 40-41: Alcuni dei farisei che erano con lui
udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose
loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi
vediamo”, il vostro peccato rimane».
Gesù
precisa il suo messaggio ai farisei che si sentivano chiamati in causa, ribadendo
che l’essere nati ciechi non è un peccato. Voi siete in stato di peccato perché
con il vostro sapere del tutto irrigidito che vi impedisce di vedere, non lasciate
il minimo spiraglio all’iniziativa di Dio e al suo dono.
Anche
noi, come i farisei, dobbiamo porci l’interrogativo. Si è nel peccato quando si
rifiuta la luce, questo è il peccato: rinunciare a incarnare in noi l’uomo
vero, essere veri figli, autentici, di Dio.
La
fede inizia, opera ed esige il riconoscimento della realtà quale essa è in rapporto
a Dio e all’uomo: Dio è misericordia, l’uomo è miseria e peccato. Non possiamo
rivolgere la nostra attenzione a Dio se non rivolgiamo la nostra attenzione all’essere
umano impedendogli di spalancare le porte del cuore alla vita, alla meraviglia
dell’amore e di Dio.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere
la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro
con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la
vita e la interpella

Quali
sono gli atteggiamenti del cieco nato che lo hanno portato a vedere e a
credere?
Sono
anche io come i farisei?
Mi è
mai capitato di rendermi conto che il mio atteggiamento era quello di un cieco,
che non si rendeva conto di determinate situazioni?
Nella
mia vita, nella mia storia, cerco di scoprire il piano di Dio o mi fermo a
motivazioni superficiali?
Mi lascio
aprire gli occhi da Cristo? In cosa la parola e l’esempio di Gesù mi possono rendere
vedente?
 
Rispondi a Dio con le
sue stesse parole
(Pregare)
Il
Signore è il mio pastore:
non
manco di nulla.
Su
pascoli erbosi mi fa riposare,
ad
acque tranquille mi conduce.
Rinfranca
l’anima mia. 
 
Mi
guida per il giusto cammino
a
motivo del suo nome.
Anche
se vado per una valle oscura,
non
temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo
bastone e il tuo vincastro
mi
danno sicurezza.
 
Davanti
a me tu prepari una mensa
sotto
gli occhi dei miei nemici.
Ungi
di olio il mio capo;
il mio
calice trabocca.   
 
Sì,
bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti
i giorni della mia vita,
abiterò
ancora nella casa del Signore
per
lunghi giorni. (Sal 22).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è
impegno concreto nella quotidianità
(Contemplare-agire)
Il
cieco nato “vide e credette”: anche noi vediamo con lui e crediamo. Se vediamo
e non crediamo, è perché siamo distratti. Siamo ancora nelle tenebre. Siamo
ciechi o dormienti: «per questo sta scritto: svegliati, o tu che dormi, destati
dai morti e Cristo ti illuminerà» (IV Domenica di Quaresima, Liturgia della
Parola, II lettura, v. 14).

Write a Reply or Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.