Lectio divina su Gv 1,1-18
Invocare
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua
immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo
condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la
nostra natura umana.
Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello
Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
In ascolto della Parola (Leggere)
1In principio era il Verbo, e il
Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2Egli era, in principio,
presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui
nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita e la vita era la
luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non
l’hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era
Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla
luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la
luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera, quella
che illumina ogni uomo. 10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per
mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11Venne fra i
suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12A quanti però lo hanno
accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo
nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di
uomo, ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne e venne ad
abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come
del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli dà testimonianza e
proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me,
perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo
ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di
Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio,
nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del
Padre, è lui che lo ha rivelato.
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi
metta delle salde radici.
Dentro
il Testo
Giovanni scrive molti anni dopo rispetto ai Sinottici
e la sua opera è un cammino meditativo-fattivo della Parola per una comunità
matura nella fede. Un vangelo per quanti hanno fatto un bel percorso di fede
nel discepolato.
Questa sua meditazione fattiva della Parola, apre il
quarto Vangelo con questo straordinario brano poetico, che non è altro che un
inno alla Parola di Dio rivelatrice e operante nel mondo. È una sintesi
meditativa di tutto il mistero del natale, per capire chi è colui che nato e
chi siamo noi, perché il bambino di Betlemme è la rivelazione di Dio, la verità
di Dio e dell’uomo.
I primi tredici versetti, che costituiscono la prima
parte dell’inno, ci presentano il Verbo dalla sua origine: siamo nell’ambito della
relazione tra le Persone Divine. La Parola di Dio, ad un certo momento, entra
in contatto col mondo, con l’umanità, si fa Luce cioè si rende visibile a noi,
incarnandosi.
Tale evento viene cantato in una irruzione di gioia al
versetto 14, in cui comincia la seconda parte del Prologo (vv. 14 al 18), ove
viene evidenziata la possibile accoglienza del Verbo per diventare figli di
Dio: la «buona novella» della figliolanza divina si trova proprio al centro
dell’inno (vv. 12-13).
Tuttavia questo dono di Dio, totalmente gratuito,
molti non lo vedono o lo rifiutano. Ci sono però anche coloro che se ne
accorgono e lo accettano. È l’incarnazione per amore degli uomini fino alla
fine, senza tirarsi indietro, rispettando la libertà dell’uomo di crocifiggere
l’Autore della vita.
Riflettere
sulla Parola (Meditare)
v. 1: in
principio
Così inizia questa meditazione profonda. San Giovanni
ama iniziarlo riprendendo l’inizio del cammino biblico (Gen 1,1). Infatti, qui
troviamo i temi di creazione, di luce e tenebre. Il “principio” di cui parla
l’Evangelista non è uguale al principio della creazione, perché la creazione
viene nel v. 3. Giovanni si riferisce al periodo prima della creazione ed è una
designazione, più qualitativa che temporale, della sfera di Dio.
era il Verbo
Qui troviamo l’affermazione di un’esistenza che
precede questo inizio: fin da questo principio «esisteva» il Verbo. “Verbo” è
la Parola. La parola è il mezzo attraverso il quale ci si esprime. Il
testo afferma che in principio, al momento dell’atto creatore, c’era la
Parola, cioè la comunicazione che Dio fa di se stesso.
Nell’ambiente filosofico greco questo termine indica
la «parola che porta un senso», che lo svela pienamente. Mentre, nell’ambiente giudaico,
la parola, dabar, come tale appartiene alla sfera di Dio; essa rivela
l’essenza stessa di Dio.
Il verbo greco utilizzato: ‘en (essere,
esistere) è tradotto in italiano, per rendere l’idea, aggiungendo un già,
che possiamo dare l’idea di questa lettura: All’inizio (della creazione)
già c’era il Verbo che con il suo imperfetto esprime in modo particolare
l’esistenza.
Nel suo Prologo, Giovanni riformula l’identità del
Verbo alla luce di categorie veterotestamentarie.
Il Verbo era presso Dio
L’espressione verbale esprime l’idea di “innanzi”, “presso”, in “relazione a”
e viene usata per indicare l’esistenza del Logos in relazione a Dio. Si
può anche pensare che il Verbo era in compagnia di Dio; oppure: era
verso Dio, cioè in relazione con Dio. Nei testi originali Dio viene
specificato con il titolo di Padre.
Il Verbo, quindi, partecipa della sua vita come persona distinta orientata a
lui.
Il Verbo era Dio
Non si può indagare in che modo la Parola giunse all’esistenza.
Più avanti Gesù dirà: “Io Sono” un richiamo a Es 3,14-15 e che Giovanni
citerà più volte.
In queste pochissime parole Giovanni descrive un
accenno al mistero della relazione Padre-Figlio, nell’unicità di Dio che nel
testo greco Theòs én o’ logos: l’uso di theòs, senza articolo,
esprime meglio la partecipazione alla natura divina. Il Logos possiede la
natura divina pur non essendo il solo ad averla.
v. 2: Egli
era in principio presso Dio
Qui viene ripreso il v. 1 ponendo l’attenzione del
lettore nuovamente verso la creazione. Giovanni ripetendo che il Verbo era
presso Dio sembra voler sottolineare che l’atteggiamento fondamentale del
Verbo, il suo essere verso Dio, dovrà servire da modello rispetto a tutto ciò
che nascerà mediante la Parola.
v. 3: Tutto è
stato fatto per mezzo di lui
Dopo aver presentato il Verbo nella sua relazione
immediata con Dio, ora lo sguardo è concentrato sulla relazione del Verbo con
il mondo. Già l’AT collegava la creazione del mondo alla parola di Dio o alla
sapienza divina. Ora, affermando che tutto avviene per mezzo del Verbo, l’evangelista
vuole dire anche che tutto mediante il Verbo prende senso.
Senza di lui nulla è stato
fatto
Attraverso quest’espressione viene rafforzato il pensiero
precedente. Il mondo, sia fisico che umano, riflette Dio Padre in quanto è
fatto secondo il Figlio di Dio incarnato, che è l’immagine di Dio. Il
verbo egèneto esprime molto bene la creazione di ogni cosa dal nulla
(Viene usato in Gen 1 per descrivere la creazione). È sostanzialmente diverso
da ‘én, ed è tipico di tutto ciò che non è Dio.
v. 4: In lui era
la vita
Dopo aver dichiarato la presenza efficace del Verbo in
tutto ciò che è stato fatto, l’opera del Verbo viene ora caratterizzata dal
dono della vita.
Possiamo leggere questo versetto così: Ciò che
aveva avuto origine in lui (nel Verbo) era vita. La vita di cui
Giovanni parla nel suo vangelo non è semplicemente quella fisica, ma una vita
qualitativamente superiore e piena.
In altri passi del Vangelo viene anche identificata
con Gesù stesso. L’identificazione di questa vita con la luce degli uomini nella
riga seguente fa pensare che si intenda vita eterna.
La vita era la luce degli
uomini
Il Verbo, entrando in rapporto con gli uomini,
manifesta ciò che egli è per essi, cioè la luce. Il Verbo risplende come luce
di vita. Grazie al Verbo gli uomini vedono la luce che li guida alla pienezza
della vita. Giovanni riprenderà questo pensiero su Gesù al cap 8: «Io sono
la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce
della vita» (Gv 8,12).
v. 5: la luce
splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
Qui viene sintetizzato l’opera del Verbo e dei suoi
avversari. Giovanni medita sulla luce che è il Verbo nella sua funzione
d’illuminare tutta l’umanità che giace nelle tenebre.
La luce splende nelle
tenebre
La frase si presta a diverse interpretazioni. Possiamo
leggervi un’allusione alle infedeltà d’Israele che i profeti hanno denunciato
ripetutamente e sulle quali Dio trionfava sempre nuovamente. Inoltre abbiamo
un’anticipazione degli eventi accaduti durante la vita di Gesù fino alla sua
vittoria finale con la risurrezione.
Con il termine “tenebra” s’intende anzitutto
quanti sono lontano da Dio, cioè non ancora illuminati dalla luce divina. Questa
parola possiamo intenderla come il disorientamento interiore, cioè quando si è
confusi e non si sa dove e come andare. Tale disorientamento può diventare un
sistema di vita, fino ad arrivare a non sapere più il vero perché delle cose,
lasciandosi così trascinare dagli impulsi e dalle situazioni.
Giovanni con queste poche parole, ci consegna un
messaggio fondamentale: il non riconoscere Gesù fatto uomo fra noi, come senso
ultimo della realtà, che dà valore ad ogni cosa è a tutti gli effetti un essere
nelle tenebre, senza alcun punto di riferimento.
Le tenebre non l’hanno
vinta
Il verbo greco katalambànein è una parola un
po’ complessa e difficile da tradurre. Ci si può orientare su quattro
significati: “afferrare”,
“comprendere”, “accogliere”, “ricevere”,
“accettare”, “sorprendere”,
“vincere”, “dominare”. Una
lettura che possiamo dare è che gli uomini non hanno compreso la prima
manifestazione del Verbo avvenuta nella creazione, ma anche che la Luce sfugge
ai loro tentativi di conquistarla e di dominarla.
vv. 6-7: Venne
un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone
Letteralmente: ci fu. Questo non è l’’én
usato per la creazione nei vv. 3-4: Giovanni Battista è una creatura. Qui viene
introdotta la testimonianza di Giovanni. Forse è tardivo questo versetto ma è
necessario per non confondere, fin dall’inizio, il Battista col Messia. Tra i
due c’è una differenza radicale che separa “colui che era fin dal principio,
rivolto verso Dio” da quest’uomo, che è venuto da parte di Dio per essere
testimone. Giovanni rende solo testimonianza alla luce davanti alle autorità
giudaiche (1,19-34), davanti al popolo d’Israele (1,31-34) e davanti ai propri
discepoli (1,35-37).
L’ultima volta che Giovanni è menzionato nel vangelo,
è quando viene elogiato per essere stato un testimone fedele: “Tutto ciò che
egli disse di Gesù era vero” (Gv 10,41). Giovanni diventa «figura» di tutti
i testimoni che nel corso della storia hanno ricevuto la missione di
testimoniare nel mondo la presenza della luce divina: la sua figura e il suo messaggio
assumono una portata universale.
v. 8: Egli
non era la luce
Il Battista è un testimone della luce, ma non la luce.
In 5,35 Gesù chiama Giovanni Battista “lampada che arde e risplende”; ma
Gesù stesso è luce. L’Evangelista stima così tanto il Battista che parla di lui
come l’intermediario autorizzato fra il Verbo e l’umanità. Giovanni Battista
deve testimoniare che colui che Israele attendeva era presente. Giovanni sa che
Costui gli è superiore in dignità (1,27).
v. 9: Veniva
nel mondo la luce vera
Il v. 9 segna l’inizio di un nuovo quadro della storia
di Dio che si comunica, attraverso la rivelazione del Verbo, nella concretezza
dell’incontro fra il Verbo-Luce e gli uomini. Viene usato l’aggettivo “vero”
che tornerà spesso nel vangelo: vero pane (6,32), vera bevanda (6,55),
vera vita (15,1). Quest’aggettivo in ebraico caratterizza “un
timbro divino” (cfr. 7,28; 17,3). In questo modo, Giovanni afferma che
soltanto nella rivelazione avvenuta in Gesù, attraverso la sua Parola e il suo
operare, viene data a tutti gli uomini l’autentica comprensione della loro
esistenza.
Il Verbo è qui qualificato come luce vera. La
posizione del Verbo è precisata non solo nei confronti di Giovanni, che era soltanto
il testimone della luce, ma anche nei confronti di tutte le false luci che
sarebbero apparse nel mondo: esse non sono altro che ingannevoli idoli, mentre
solo il Dio vivente è veritiero.
quella che illumina ogni
uomo
Con questa espressione Giovanni si riferisce a ciascuno
uomo nella sua singolarità: il Verbo viene incontro a ciascun uomo nello
scorrere del tempo.
v. 10: Egli
era nel mondo
Mondo, «kosmos»: è un termine molto importante;
per tre volte viene ripetuto nei versetti 10-11, ma con sfumature diverse. Inizialmente
Giovanni parla del mondo nel senso di universo creato da Dio, come era
nel pensiero dei greci. Nella citazione successiva, il termine allude non
solo all’universo fisico ma include il mondo umano. Giovanni non fa
altro, quasi a riprendere lo stile del Salmista, di far riflettere ogni singola
persona se accettare o meno la Luce.
L’accoglienza della luce, mediante la fede, porta la
vita divina e la salvezza. Il mondo diventa peccatore soltanto dal momento in
cui rifiuta la rivelazione di Cristo e non riconosce la gratuità del dono di
Dio. Non viene data nessuna giustificazione del rifiuto di questa luce: c’è
solo la costatazione del suo rigetto.
L’affermazione del fallimento dell’incontro fra il
Verbo e gli uomini non contraddice ciò che è stato dichiarato precedentemente,
cioè che le tenebre non hanno arrestato la luce: all’Evangelista interessa sottolineare
il paradosso del rifiuto che la creatura oppone al suo Creatore.
v. 11: Venne
fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto
La TOB traduce: È venuto nella sua proprietà, in
casa propria… Verosimilmente Israele rappresenta storicamente l’umanità che
tutta intera appartiene al Creatore (cfr. Es 19,5; Dt 7,6; 14,2; 26,18; Sal 135
[134], 4). Il versetto vuole precisare ulteriormente la natura del rifiuto
opposto al Verbo. “I suoi”
sottolinea l’insieme degli uomini.
“Venne fra i suoi”. Quest’affermazione
richiama la presenza del Verbo nel mondo che egli ha creato. Il Verbo è venuto
nella “sua proprietà”. Il termine sottolinea una relazione speciale fra
due persone o fra una persona e un gruppo. Possiamo richiamare alla mente le
allusioni di Gesù circa la relazione che unisce il pastore alle sue pecore, per
indicare il rapporto generato tra Lui stesso e i suoi discepoli.
Dopo aver accennato al “mondo” in
generale, Giovanni sembra che qui voglia ricordare il comportamento speciale di
Dio verso il suo popolo eletto, che si mostra infedele.
v. 12: A
quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio
Diventare figli di Dio implica una capacità che viene
da Dio. È riferito agli uomini che hanno riconosciuto nel Verbo il principio
della loro esistenza e il senso della loro storia, lasciandosi illuminare da
lui.
A quelli che credono nel
suo nome
La formula è stata applicata frequentemente a Gesù Cristo
nel Nuovo Testamento; è un’espressione tipica dell’Antico Testamento che si
riferisce a Dio. Credere nel suo nome è lo stesso che credere in lui come Messia
e Figlio di Dio.
Egli ha dato il potere di
diventare figli di Dio
Abbiamo anzitutto un dono, un dono del
Verbo all’uomo. Quale? Un potere: il potere che dona a coloro che credono
evidentemente non può trattarsi di una facoltà autonoma, sottolinea, invece, la
dignità che comporta il divenire figli di Dio.
Nell’Antico Testamento l’espressione figlio di Dio
è usata normalmente al singolare. Da principio viene applicata esclusivamente
al re oppure a Israele, in quanto popolo eletto, per indicare il legame
particolare di protezione e di benevolenza che unisce a Dio chi è designato
come suo figlio. In questo passo i figli di Dio sono tutti gli uomini
che credono in Dio, Israeliti o no.
v. 13: Non da
sangue
L’uomo non diviene figlio di Dio con la procreazione
carnale, come ci ricordano le parole del Battista: “Dio può suscitare
da queste pietre dei figli ad Abramo” (Gv 8,37-39). E non avviene
neppure in forza di un «volere della carne», cioè in forza del desiderio che ha
la creatura mortale di sopravvivere alla morte attraverso la propria discendenza.
Possiamo pensare che c’è coincidenza tra l’azione
dell’uomo che accoglie il Verbo e quella di Dio che genera.
Queste due azioni formano una cosa sola, nella diversità dei rispettivi ruoli.
È importante tenere presente il passo precedente dove si diceva che il Verbo illumina
ogni uomo. Ora infatti sappiamo che questa illuminazione, nella misura in cui
viene accolta, produce la filiazione divina.
Da Dio sono stati generati
Il senso fondamentale è che la figliolanza divina è
opera esclusiva di Dio. Attraverso le espressioni seguenti il ritmo dell’inno
si costruisce in un crescendo. Giovanni qui distingue la generazione che nasce
secondo lo spirito in opposizione alla nascita carnale. Più tardi, sarà nel
colloquio con Nicodemo che sarà chiarificato (3,1-11).
v. 14: E il
Verbo si fece carne
Questa è una delle affermazioni più incisive di
tutto il vangelo. La parola “carne” designa la natura umana nella sua debolezza
e fragilità. Il Verbo entra nel tempo. Colui che esisteva da tutta l’eternità è
entrato nel tempo e nella storia umana.
Questo è il mistero dell’Incarnazione per cui la
Parola eterna assunse la nostra identica natura umana, divenendo in tutto simile
a noi, fatta eccezione per il peccato (Eb 4,15). Cioè in tutto, escluso ciò che
era incomprensibile con la divinità.
e venne ad abitare
Letteralmente “Ha posto (piantato) la sua tenda”.
Per esprimere questo mistero, Giovanni ha deliberatamente scelto l’immagine
biblica della tenda. Il vocabolo evoca la tenda (skenè) del deserto (Es
25, 8-9) costruita perché Dio potesse “abitare in mezzo a loro”.
Il tempio di pietra di Sion (come si dirà
esplicitamente in Gv 2, 18-22) è ora sostituito dalla “carne” di Gesù, cioè
dalla sua corporeità e dalla sua esistenza storica che condivide con noi.
A partire dal versetto 14 la parola Verbo sparisce
dal Vangelo. Il Vangelo è una testimonianza non alla Parola eterna ma alla
Parola fatta carne, Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
v. 15: Giovanni
gli dà testimonianza e proclama
Questo versetto riprende la testimonianza di Giovanni Battista,
la cui missione nei confronti della luce è stata descritta nella prima parte
del prologo. Adesso la sua testimonianza viene proclamata.
La missione della Parola nel mondo fu precisamente
quella di porre gli uomini in grado di divenire figli di Dio, partecipi cioè
della vita divina e di esserne testimoni.
Avanti a me
Gesù Cristo è al di sopra di Giovanni. L’espressione
ha una sfumatura qualitativa. La testimonianza del Battista ribadisce il
primato di Cristo che è “prima” di lui, anche se venuto cronologicamente
“dopo” di lui.
Prima di me egli era
Giovanni Battista, personaggio storico e ispirato, ha
qui la funzione di confermare a tutti che quest’uomo venuto «tra noi» (1,14)
era precisamente il Verbo di cui si è parlato fin dall’inizio del prologo.
v. 16: Noi
tutti abbiamo ricevuto
Tutti noi partecipiamo alla pienezza di grazia,
propria dell’Unigenito di Dio. L’Evangelista non vuole escludere nessuno. La
comunità confessa la sua fede. Questa è un’affermazione giubilante di tutti
quelli che hanno creduto in Cristo e perciò hanno la capacità di crescere nella
loro realtà di figli di Dio. Il Figlio di Dio offre all’uomo “la grazia e la
verità”.
Grazia su grazia
Quest’espressione
viene anche tradotta con: “Amore in
luogo di amore”; questa idea di sostituzione, come è stata sostenuta dai
Padri greci, significa implicitamente la hesed di una nuova alleanza in
luogo della hesed del Sinai.
Indica un’esperienza vissuta e cioè la capacità di
ricevere dalla sovrabbondanza di Dio benevolenza-amore. Si vuole sottolineare
non tanto un succedersi nel tempo cioè “grazia dopo grazia” quanto piuttosto un
aumento in intensità: si tratterebbe di un accumulo di grazie, che rivela la
continuità dell’azione di Dio nella storia.
Paolo ai Colossesi svilupperà quest’abbondanza di
grazia (cfr. Col 2,9-10).
v. 17: Perché
la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di
Gesù Cristo
La “Legge”, come parte integrante
dell’alleanza, è tutto il complesso di istruzioni che Dio ha consegnato al suo
popolo per mezzo di Mosè. Gesù, che è il Figlio di Dio, viene a proporre
un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull’accoglienza e la
somiglianza del suo amore.
Questa espressione “grazia e verità” significa un
amore generoso che si dona. Esse vengono abbinate come dono proprio
dell’unigenito del Padre. Quest’amore non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo
precede, un amore addirittura che precede la creazione stessa e ne è la
conseguenza.
Per Giovanni la Legge è già un dono di Dio, una grazia
che si espande al mondo intero, tuttavia egli sottolinea la profondità della
verità rivelata da Cristo: “in” e “mediante” Gesù Cristo, Figlio unico, Dio si
rivela come Padre.
v. 18: Dio,
nessuno lo ha mai visto
In tutte le esperienze religiose anche dell’Antico Testamento,
troviamo il desiderio di vedere Dio faccia a faccia, ma, salvo eccezioni,
quest’aspirazione deve attendere il Cielo per potersi realizzare. Giovanni
evidenzia che Cristo permette di superare l’impossibilità di vedere Dio.
Il Figlio unigenito
Il mediatore di questo accesso alla gloria è Gesù
Cristo. Unigenito non soltanto per sottolineare che Gesù è lo stesso Figlio
unico di Dio, ma anche che è lo stesso Verbo incarnato (1,1). Giovanni aggiunge
che l’Unigenito è lui stesso Dio: Dio solo può rivelare Dio.
Nel seno del Padre
L’espressione sottolinea non solo la tenerezza e
l’intimità dell’amore tra il Padre e il Figlio, ma anche la finalità del
rapporto: il Figlio unico è rivolto verso il cuore del Padre. Possiamo
notare che, come nel v. 14, il termine Dio viene sostituito da quello di Padre.
è lui che lo ha rivelato
Soltanto il Figlio unigenito, che condivide senza
limiti la vita del Padre, può condurre gli uomini alla conoscenza e alla vita.
Con tutto ciò che è, che fa e che dice, Gesù sarà il rivelatore e l’espressione
di Dio e si rivolgerà ai discepoli dicendo: Il Padre mio e il Padre vostro, il
Dio mio e il Dio vostro (20,17).
Ci
fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il
Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
La
Parola illumina la vita e la interpella
Quali
reazioni da parte nostra al mistero del Natale?
Ci
riscopriamo veramente felici perché il Salvatore è nato anche per me / per noi?
Come Cristo
occupa un posto nella mia vita personale?
Il Natale
esprime la gioia e la bellezza dell’accoglienza? Come vivo questo dono?
Come non
riamare Colui che ci ha amato tanto?
Rispondi
a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al
Signore un canto nuovo,
perché ha
compiuto meraviglie.
Gli ha dato
vittoria la sua destra
e il suo
braccio santo.
Il Signore
ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi
delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è
ricordato del suo amore,
della sua
fedeltà alla casa d’Israele.
Tutti i confini
della terra hanno veduto
la vittoria
del nostro Dio.
Acclami il
Signore tutta la terra,
gridate,
esultate, cantate inni!
Cantate inni
al Signore con la cetra,
con la cetra
e al suono di strumenti a corde;
con le
trombe e al suono del corno
acclamate
davanti al re, il Signore. (Sal
97).
L’incontro
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Nel silenzio del cuore incontra il Signore. Nel
mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce
nuova del tuo fulgore, perché, conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo
rapiti all’amore delle realtà invisibili.
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua
immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo
condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la
nostra natura umana.
Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello
Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2Egli era, in principio,
presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui
nulla è stato fatto di ciò che esiste.
luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non
l’hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era
Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla
luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la
luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
che illumina ogni uomo. 10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per
mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11Venne fra i
suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12A quanti però lo hanno
accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo
nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di
uomo, ma da Dio sono stati generati.
abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come
del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me,
perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo
ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di
Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio,
nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del
Padre, è lui che lo ha rivelato.
metta delle salde radici.
il Testo
Giovanni scrive molti anni dopo rispetto ai Sinottici
e la sua opera è un cammino meditativo-fattivo della Parola per una comunità
matura nella fede. Un vangelo per quanti hanno fatto un bel percorso di fede
nel discepolato.
Questa sua meditazione fattiva della Parola, apre il
quarto Vangelo con questo straordinario brano poetico, che non è altro che un
inno alla Parola di Dio rivelatrice e operante nel mondo. È una sintesi
meditativa di tutto il mistero del natale, per capire chi è colui che nato e
chi siamo noi, perché il bambino di Betlemme è la rivelazione di Dio, la verità
di Dio e dell’uomo.
I primi tredici versetti, che costituiscono la prima
parte dell’inno, ci presentano il Verbo dalla sua origine: siamo nell’ambito della
relazione tra le Persone Divine. La Parola di Dio, ad un certo momento, entra
in contatto col mondo, con l’umanità, si fa Luce cioè si rende visibile a noi,
incarnandosi.
Tale evento viene cantato in una irruzione di gioia al
versetto 14, in cui comincia la seconda parte del Prologo (vv. 14 al 18), ove
viene evidenziata la possibile accoglienza del Verbo per diventare figli di
Dio: la «buona novella» della figliolanza divina si trova proprio al centro
dell’inno (vv. 12-13).
Tuttavia questo dono di Dio, totalmente gratuito,
molti non lo vedono o lo rifiutano. Ci sono però anche coloro che se ne
accorgono e lo accettano. È l’incarnazione per amore degli uomini fino alla
fine, senza tirarsi indietro, rispettando la libertà dell’uomo di crocifiggere
l’Autore della vita.
sulla Parola (Meditare)
v. 1: in
principio
Così inizia questa meditazione profonda. San Giovanni
ama iniziarlo riprendendo l’inizio del cammino biblico (Gen 1,1). Infatti, qui
troviamo i temi di creazione, di luce e tenebre. Il “principio” di cui parla
l’Evangelista non è uguale al principio della creazione, perché la creazione
viene nel v. 3. Giovanni si riferisce al periodo prima della creazione ed è una
designazione, più qualitativa che temporale, della sfera di Dio.
era il Verbo
Qui troviamo l’affermazione di un’esistenza che
precede questo inizio: fin da questo principio «esisteva» il Verbo. “Verbo” è
la Parola. La parola è il mezzo attraverso il quale ci si esprime. Il
testo afferma che in principio, al momento dell’atto creatore, c’era la
Parola, cioè la comunicazione che Dio fa di se stesso.
Nell’ambiente filosofico greco questo termine indica
la «parola che porta un senso», che lo svela pienamente. Mentre, nell’ambiente giudaico,
la parola, dabar, come tale appartiene alla sfera di Dio; essa rivela
l’essenza stessa di Dio.
Il verbo greco utilizzato: ‘en (essere,
esistere) è tradotto in italiano, per rendere l’idea, aggiungendo un già,
che possiamo dare l’idea di questa lettura: All’inizio (della creazione)
già c’era il Verbo che con il suo imperfetto esprime in modo particolare
l’esistenza.
Nel suo Prologo, Giovanni riformula l’identità del
Verbo alla luce di categorie veterotestamentarie.
Il Verbo era presso Dio
L’espressione verbale esprime l’idea di “innanzi”, “presso”, in “relazione a”
e viene usata per indicare l’esistenza del Logos in relazione a Dio. Si
può anche pensare che il Verbo era in compagnia di Dio; oppure: era
verso Dio, cioè in relazione con Dio. Nei testi originali Dio viene
specificato con il titolo di Padre.
Il Verbo, quindi, partecipa della sua vita come persona distinta orientata a
lui.
Il Verbo era Dio
Non si può indagare in che modo la Parola giunse all’esistenza.
Più avanti Gesù dirà: “Io Sono” un richiamo a Es 3,14-15 e che Giovanni
citerà più volte.
In queste pochissime parole Giovanni descrive un
accenno al mistero della relazione Padre-Figlio, nell’unicità di Dio che nel
testo greco Theòs én o’ logos: l’uso di theòs, senza articolo,
esprime meglio la partecipazione alla natura divina. Il Logos possiede la
natura divina pur non essendo il solo ad averla.
v. 2: Egli
era in principio presso Dio
Qui viene ripreso il v. 1 ponendo l’attenzione del
lettore nuovamente verso la creazione. Giovanni ripetendo che il Verbo era
presso Dio sembra voler sottolineare che l’atteggiamento fondamentale del
Verbo, il suo essere verso Dio, dovrà servire da modello rispetto a tutto ciò
che nascerà mediante la Parola.
v. 3: Tutto è
stato fatto per mezzo di lui
Dopo aver presentato il Verbo nella sua relazione
immediata con Dio, ora lo sguardo è concentrato sulla relazione del Verbo con
il mondo. Già l’AT collegava la creazione del mondo alla parola di Dio o alla
sapienza divina. Ora, affermando che tutto avviene per mezzo del Verbo, l’evangelista
vuole dire anche che tutto mediante il Verbo prende senso.
Senza di lui nulla è stato
fatto
Attraverso quest’espressione viene rafforzato il pensiero
precedente. Il mondo, sia fisico che umano, riflette Dio Padre in quanto è
fatto secondo il Figlio di Dio incarnato, che è l’immagine di Dio. Il
verbo egèneto esprime molto bene la creazione di ogni cosa dal nulla
(Viene usato in Gen 1 per descrivere la creazione). È sostanzialmente diverso
da ‘én, ed è tipico di tutto ciò che non è Dio.
v. 4: In lui era
la vita
Dopo aver dichiarato la presenza efficace del Verbo in
tutto ciò che è stato fatto, l’opera del Verbo viene ora caratterizzata dal
dono della vita.
Possiamo leggere questo versetto così: Ciò che
aveva avuto origine in lui (nel Verbo) era vita. La vita di cui
Giovanni parla nel suo vangelo non è semplicemente quella fisica, ma una vita
qualitativamente superiore e piena.
In altri passi del Vangelo viene anche identificata
con Gesù stesso. L’identificazione di questa vita con la luce degli uomini nella
riga seguente fa pensare che si intenda vita eterna.
La vita era la luce degli
uomini
Il Verbo, entrando in rapporto con gli uomini,
manifesta ciò che egli è per essi, cioè la luce. Il Verbo risplende come luce
di vita. Grazie al Verbo gli uomini vedono la luce che li guida alla pienezza
della vita. Giovanni riprenderà questo pensiero su Gesù al cap 8: «Io sono
la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce
della vita» (Gv 8,12).
v. 5: la luce
splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
avversari. Giovanni medita sulla luce che è il Verbo nella sua funzione
d’illuminare tutta l’umanità che giace nelle tenebre.
La luce splende nelle
tenebre
La frase si presta a diverse interpretazioni. Possiamo
leggervi un’allusione alle infedeltà d’Israele che i profeti hanno denunciato
ripetutamente e sulle quali Dio trionfava sempre nuovamente. Inoltre abbiamo
un’anticipazione degli eventi accaduti durante la vita di Gesù fino alla sua
vittoria finale con la risurrezione.
Con il termine “tenebra” s’intende anzitutto
quanti sono lontano da Dio, cioè non ancora illuminati dalla luce divina. Questa
parola possiamo intenderla come il disorientamento interiore, cioè quando si è
confusi e non si sa dove e come andare. Tale disorientamento può diventare un
sistema di vita, fino ad arrivare a non sapere più il vero perché delle cose,
lasciandosi così trascinare dagli impulsi e dalle situazioni.
Giovanni con queste poche parole, ci consegna un
messaggio fondamentale: il non riconoscere Gesù fatto uomo fra noi, come senso
ultimo della realtà, che dà valore ad ogni cosa è a tutti gli effetti un essere
nelle tenebre, senza alcun punto di riferimento.
Le tenebre non l’hanno
vinta
Il verbo greco katalambànein è una parola un
po’ complessa e difficile da tradurre. Ci si può orientare su quattro
significati: “afferrare”,
“comprendere”, “accogliere”, “ricevere”,
“accettare”, “sorprendere”,
“vincere”, “dominare”. Una
lettura che possiamo dare è che gli uomini non hanno compreso la prima
manifestazione del Verbo avvenuta nella creazione, ma anche che la Luce sfugge
ai loro tentativi di conquistarla e di dominarla.
vv. 6-7: Venne
un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone
Letteralmente: ci fu. Questo non è l’’én
usato per la creazione nei vv. 3-4: Giovanni Battista è una creatura. Qui viene
introdotta la testimonianza di Giovanni. Forse è tardivo questo versetto ma è
necessario per non confondere, fin dall’inizio, il Battista col Messia. Tra i
due c’è una differenza radicale che separa “colui che era fin dal principio,
rivolto verso Dio” da quest’uomo, che è venuto da parte di Dio per essere
testimone. Giovanni rende solo testimonianza alla luce davanti alle autorità
giudaiche (1,19-34), davanti al popolo d’Israele (1,31-34) e davanti ai propri
discepoli (1,35-37).
L’ultima volta che Giovanni è menzionato nel vangelo,
è quando viene elogiato per essere stato un testimone fedele: “Tutto ciò che
egli disse di Gesù era vero” (Gv 10,41). Giovanni diventa «figura» di tutti
i testimoni che nel corso della storia hanno ricevuto la missione di
testimoniare nel mondo la presenza della luce divina: la sua figura e il suo messaggio
assumono una portata universale.
v. 8: Egli
non era la luce
Il Battista è un testimone della luce, ma non la luce.
In 5,35 Gesù chiama Giovanni Battista “lampada che arde e risplende”; ma
Gesù stesso è luce. L’Evangelista stima così tanto il Battista che parla di lui
come l’intermediario autorizzato fra il Verbo e l’umanità. Giovanni Battista
deve testimoniare che colui che Israele attendeva era presente. Giovanni sa che
Costui gli è superiore in dignità (1,27).
v. 9: Veniva
nel mondo la luce vera
Il v. 9 segna l’inizio di un nuovo quadro della storia
di Dio che si comunica, attraverso la rivelazione del Verbo, nella concretezza
dell’incontro fra il Verbo-Luce e gli uomini. Viene usato l’aggettivo “vero”
che tornerà spesso nel vangelo: vero pane (6,32), vera bevanda (6,55),
vera vita (15,1). Quest’aggettivo in ebraico caratterizza “un
timbro divino” (cfr. 7,28; 17,3). In questo modo, Giovanni afferma che
soltanto nella rivelazione avvenuta in Gesù, attraverso la sua Parola e il suo
operare, viene data a tutti gli uomini l’autentica comprensione della loro
esistenza.
Il Verbo è qui qualificato come luce vera. La
posizione del Verbo è precisata non solo nei confronti di Giovanni, che era soltanto
il testimone della luce, ma anche nei confronti di tutte le false luci che
sarebbero apparse nel mondo: esse non sono altro che ingannevoli idoli, mentre
solo il Dio vivente è veritiero.
quella che illumina ogni
uomo
Con questa espressione Giovanni si riferisce a ciascuno
uomo nella sua singolarità: il Verbo viene incontro a ciascun uomo nello
scorrere del tempo.
v. 10: Egli
era nel mondo
Mondo, «kosmos»: è un termine molto importante;
per tre volte viene ripetuto nei versetti 10-11, ma con sfumature diverse. Inizialmente
Giovanni parla del mondo nel senso di universo creato da Dio, come era
nel pensiero dei greci. Nella citazione successiva, il termine allude non
solo all’universo fisico ma include il mondo umano. Giovanni non fa
altro, quasi a riprendere lo stile del Salmista, di far riflettere ogni singola
persona se accettare o meno la Luce.
L’accoglienza della luce, mediante la fede, porta la
vita divina e la salvezza. Il mondo diventa peccatore soltanto dal momento in
cui rifiuta la rivelazione di Cristo e non riconosce la gratuità del dono di
Dio. Non viene data nessuna giustificazione del rifiuto di questa luce: c’è
solo la costatazione del suo rigetto.
L’affermazione del fallimento dell’incontro fra il
Verbo e gli uomini non contraddice ciò che è stato dichiarato precedentemente,
cioè che le tenebre non hanno arrestato la luce: all’Evangelista interessa sottolineare
il paradosso del rifiuto che la creatura oppone al suo Creatore.
v. 11: Venne
fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto
La TOB traduce: È venuto nella sua proprietà, in
casa propria… Verosimilmente Israele rappresenta storicamente l’umanità che
tutta intera appartiene al Creatore (cfr. Es 19,5; Dt 7,6; 14,2; 26,18; Sal 135
[134], 4). Il versetto vuole precisare ulteriormente la natura del rifiuto
opposto al Verbo. “I suoi”
sottolinea l’insieme degli uomini.
“Venne fra i suoi”. Quest’affermazione
richiama la presenza del Verbo nel mondo che egli ha creato. Il Verbo è venuto
nella “sua proprietà”. Il termine sottolinea una relazione speciale fra
due persone o fra una persona e un gruppo. Possiamo richiamare alla mente le
allusioni di Gesù circa la relazione che unisce il pastore alle sue pecore, per
indicare il rapporto generato tra Lui stesso e i suoi discepoli.
generale, Giovanni sembra che qui voglia ricordare il comportamento speciale di
Dio verso il suo popolo eletto, che si mostra infedele.
v. 12: A
quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio
Diventare figli di Dio implica una capacità che viene
da Dio. È riferito agli uomini che hanno riconosciuto nel Verbo il principio
della loro esistenza e il senso della loro storia, lasciandosi illuminare da
lui.
A quelli che credono nel
suo nome
La formula è stata applicata frequentemente a Gesù Cristo
nel Nuovo Testamento; è un’espressione tipica dell’Antico Testamento che si
riferisce a Dio. Credere nel suo nome è lo stesso che credere in lui come Messia
e Figlio di Dio.
Egli ha dato il potere di
diventare figli di Dio
Abbiamo anzitutto un dono, un dono del
Verbo all’uomo. Quale? Un potere: il potere che dona a coloro che credono
evidentemente non può trattarsi di una facoltà autonoma, sottolinea, invece, la
dignità che comporta il divenire figli di Dio.
Nell’Antico Testamento l’espressione figlio di Dio
è usata normalmente al singolare. Da principio viene applicata esclusivamente
al re oppure a Israele, in quanto popolo eletto, per indicare il legame
particolare di protezione e di benevolenza che unisce a Dio chi è designato
come suo figlio. In questo passo i figli di Dio sono tutti gli uomini
che credono in Dio, Israeliti o no.
v. 13: Non da
sangue
L’uomo non diviene figlio di Dio con la procreazione
carnale, come ci ricordano le parole del Battista: “Dio può suscitare
da queste pietre dei figli ad Abramo” (Gv 8,37-39). E non avviene
neppure in forza di un «volere della carne», cioè in forza del desiderio che ha
la creatura mortale di sopravvivere alla morte attraverso la propria discendenza.
Possiamo pensare che c’è coincidenza tra l’azione
dell’uomo che accoglie il Verbo e quella di Dio che genera.
Queste due azioni formano una cosa sola, nella diversità dei rispettivi ruoli.
È importante tenere presente il passo precedente dove si diceva che il Verbo illumina
ogni uomo. Ora infatti sappiamo che questa illuminazione, nella misura in cui
viene accolta, produce la filiazione divina.
Da Dio sono stati generati
Il senso fondamentale è che la figliolanza divina è
opera esclusiva di Dio. Attraverso le espressioni seguenti il ritmo dell’inno
si costruisce in un crescendo. Giovanni qui distingue la generazione che nasce
secondo lo spirito in opposizione alla nascita carnale. Più tardi, sarà nel
colloquio con Nicodemo che sarà chiarificato (3,1-11).
v. 14: E il
Verbo si fece carne
Questa è una delle affermazioni più incisive di
tutto il vangelo. La parola “carne” designa la natura umana nella sua debolezza
e fragilità. Il Verbo entra nel tempo. Colui che esisteva da tutta l’eternità è
entrato nel tempo e nella storia umana.
Questo è il mistero dell’Incarnazione per cui la
Parola eterna assunse la nostra identica natura umana, divenendo in tutto simile
a noi, fatta eccezione per il peccato (Eb 4,15). Cioè in tutto, escluso ciò che
era incomprensibile con la divinità.
e venne ad abitare
Letteralmente “Ha posto (piantato) la sua tenda”.
Per esprimere questo mistero, Giovanni ha deliberatamente scelto l’immagine
biblica della tenda. Il vocabolo evoca la tenda (skenè) del deserto (Es
25, 8-9) costruita perché Dio potesse “abitare in mezzo a loro”.
Il tempio di pietra di Sion (come si dirà
esplicitamente in Gv 2, 18-22) è ora sostituito dalla “carne” di Gesù, cioè
dalla sua corporeità e dalla sua esistenza storica che condivide con noi.
A partire dal versetto 14 la parola Verbo sparisce
dal Vangelo. Il Vangelo è una testimonianza non alla Parola eterna ma alla
Parola fatta carne, Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
v. 15: Giovanni
gli dà testimonianza e proclama
la cui missione nei confronti della luce è stata descritta nella prima parte
del prologo. Adesso la sua testimonianza viene proclamata.
La missione della Parola nel mondo fu precisamente
quella di porre gli uomini in grado di divenire figli di Dio, partecipi cioè
della vita divina e di esserne testimoni.
Avanti a me
Gesù Cristo è al di sopra di Giovanni. L’espressione
ha una sfumatura qualitativa. La testimonianza del Battista ribadisce il
primato di Cristo che è “prima” di lui, anche se venuto cronologicamente
“dopo” di lui.
Prima di me egli era
Giovanni Battista, personaggio storico e ispirato, ha
qui la funzione di confermare a tutti che quest’uomo venuto «tra noi» (1,14)
era precisamente il Verbo di cui si è parlato fin dall’inizio del prologo.
v. 16: Noi
tutti abbiamo ricevuto
propria dell’Unigenito di Dio. L’Evangelista non vuole escludere nessuno. La
comunità confessa la sua fede. Questa è un’affermazione giubilante di tutti
quelli che hanno creduto in Cristo e perciò hanno la capacità di crescere nella
loro realtà di figli di Dio. Il Figlio di Dio offre all’uomo “la grazia e la
verità”.
Grazia su grazia
Quest’espressione
viene anche tradotta con: “Amore in
luogo di amore”; questa idea di sostituzione, come è stata sostenuta dai
Padri greci, significa implicitamente la hesed di una nuova alleanza in
luogo della hesed del Sinai.
Indica un’esperienza vissuta e cioè la capacità di
ricevere dalla sovrabbondanza di Dio benevolenza-amore. Si vuole sottolineare
non tanto un succedersi nel tempo cioè “grazia dopo grazia” quanto piuttosto un
aumento in intensità: si tratterebbe di un accumulo di grazie, che rivela la
continuità dell’azione di Dio nella storia.
Paolo ai Colossesi svilupperà quest’abbondanza di
grazia (cfr. Col 2,9-10).
v. 17: Perché
la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di
Gesù Cristo
La “Legge”, come parte integrante
dell’alleanza, è tutto il complesso di istruzioni che Dio ha consegnato al suo
popolo per mezzo di Mosè. Gesù, che è il Figlio di Dio, viene a proporre
un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull’accoglienza e la
somiglianza del suo amore.
Questa espressione “grazia e verità” significa un
amore generoso che si dona. Esse vengono abbinate come dono proprio
dell’unigenito del Padre. Quest’amore non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo
precede, un amore addirittura che precede la creazione stessa e ne è la
conseguenza.
Per Giovanni la Legge è già un dono di Dio, una grazia
che si espande al mondo intero, tuttavia egli sottolinea la profondità della
verità rivelata da Cristo: “in” e “mediante” Gesù Cristo, Figlio unico, Dio si
rivela come Padre.
v. 18: Dio,
nessuno lo ha mai visto
troviamo il desiderio di vedere Dio faccia a faccia, ma, salvo eccezioni,
quest’aspirazione deve attendere il Cielo per potersi realizzare. Giovanni
evidenzia che Cristo permette di superare l’impossibilità di vedere Dio.
Il Figlio unigenito
Il mediatore di questo accesso alla gloria è Gesù
Cristo. Unigenito non soltanto per sottolineare che Gesù è lo stesso Figlio
unico di Dio, ma anche che è lo stesso Verbo incarnato (1,1). Giovanni aggiunge
che l’Unigenito è lui stesso Dio: Dio solo può rivelare Dio.
Nel seno del Padre
L’espressione sottolinea non solo la tenerezza e
l’intimità dell’amore tra il Padre e il Figlio, ma anche la finalità del
rapporto: il Figlio unico è rivolto verso il cuore del Padre. Possiamo
notare che, come nel v. 14, il termine Dio viene sostituito da quello di Padre.
è lui che lo ha rivelato
Soltanto il Figlio unigenito, che condivide senza
limiti la vita del Padre, può condurre gli uomini alla conoscenza e alla vita.
Con tutto ciò che è, che fa e che dice, Gesù sarà il rivelatore e l’espressione
di Dio e si rivolgerà ai discepoli dicendo: Il Padre mio e il Padre vostro, il
Dio mio e il Dio vostro (20,17).
fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il
Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
Parola illumina la vita e la interpella
Quali
reazioni da parte nostra al mistero del Natale?
Ci
riscopriamo veramente felici perché il Salvatore è nato anche per me / per noi?
Come Cristo
occupa un posto nella mia vita personale?
Il Natale
esprime la gioia e la bellezza dell’accoglienza? Come vivo questo dono?
Come non
riamare Colui che ci ha amato tanto?
a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Signore un canto nuovo,
perché ha
compiuto meraviglie.
Gli ha dato
vittoria la sua destra
e il suo
braccio santo.
ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi
delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è
ricordato del suo amore,
della sua
fedeltà alla casa d’Israele.
della terra hanno veduto
la vittoria
del nostro Dio.
Acclami il
Signore tutta la terra,
gridate,
esultate, cantate inni!
al Signore con la cetra,
con la cetra
e al suono di strumenti a corde;
con le
trombe e al suono del corno
acclamate
davanti al re, il Signore. (Sal
97).
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce
nuova del tuo fulgore, perché, conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo
rapiti all’amore delle realtà invisibili.