O Padre, conforto dei poveri e
dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci
aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo,
per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra
vita solo quando avremo il coraggio di perderla. Per Cristo nostro Signore.
Amen.
discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada
interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed
essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei
profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente
di non parlare di lui ad alcuno. 31E cominciò a insegnare loro che
il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani,
dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni,
risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in
disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando
i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché
tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». 34Convocata la
folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a
me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi
vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per
causa mia e del Vangelo, la salverà.
metta delle salde radici.
il Testo
La nostra lettura di Marco ci
porta alla seconda metà del capitolo 8. Precedentemente a questo brano, Gesù si
trovava a Betsaida (8,22-30) dove guarì un cieco. Adesso prosegue il suo
cammino verso Cesarea di Filippo e per strada parla con i suoi discepoli.
Protagonisti di questo brano
sono i discepoli di Gesù che con lui sono in viaggio verso Gerusalemme.
Questo brano è considerato il
culmine del vangelo di Marco, il crinale. Qui Gesù viene riconosciuto da Pietro
come il Cristo, il messia atteso. Ora che i discepoli hanno capito questo, Gesù
può cominciare ad annunciare loro il futuro che lo aspetta: la passione e la
morte. Nonostante che Pietro abbia fatto la sua professione di fede, non sa accogliere un “Messia sofferente”, per
lui e per tanti rimane “follia” e “scandalo” e dà occasione a Gesù di un nuovo
insegnamento: cosa significa seguirlo.
sulla Parola (Meditare)
v. 27: Poi Gesù partì con i
suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada
interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?».
Gesù, con i suoi discepoli,
parte da Betsaida (8,22) e si dirige verso nord. Il termine «villaggi» si
riferisce ai piccoli centri abitati (come «sobborghi») intorno a una città più
grande.
Cesarea di Filippo, situata
sulle falde meridionali del monte Ermon e vicina ad una delle sorgenti del
fiume Giordano, rappresenta la punta settentrionale del territorio d’Israele.
Anticamente, si chiamava Panias, poiché vi si trovava un tempio dedicato al Dio
Pan (oggi la località si chiama Banias). Ai tempi di Gesù era stata ampliata
dal tetrarca Filippo e le era stato dato il nome di Cesarea in onore di
Augusto.
Questa è una località lontana
da Gerusalemme. Sembra Gesù l’abbia appositamente scelta per cominciare a
parlare della sua passione.
A partire da Cesarea (il
viaggio che Gesù farà sarà da Cesarea (8,27) a Gerusalemme (11,1)), Gesù chiede
informazioni sul proprio conto. La sua interrogazione significativa: a lui sta
a cuore ogni persona, sta a cuore il cammino di ogni persona e vuol capire a
che punto sono del loro cammino.
v. 28: Ed essi gli risposero:
«Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti».
I discepoli riportano le
opinioni della gente (cfr. 6,14). La gente diceva infatti che Gesù fosse il
Battista ritornato dai morti e che per questo motivo compiva miracoli. Altri
pensavano a Elia oppure Mosé, o Enoch, tutti personaggi scomparsi in
circostanze misteriose, il cui cadavere non è stato più ritrovato e che secondo
la tradizione sarebbero ritornati sulla terra in prossimità degli ultimi tempi.
Il fatto che i discepoli parlino in generale di uno dei profeti identifica Gesù
semplicemente come uno che parla in nome di Dio, come i profeti del passato.
Sembra una risposta
appartenente a una religiosità comune, come quella dei nostri giorni. Sappiamo
tutto, abbiamo addirittura la verità in tasca, definita! È tipico dell’uomo
religioso identificare con il passato, con la tradizione, il tradizionalismo
che è l’uccisione di Dio. Gesù fu ucciso perché rompeva le tradizioni. Anche
oggi, se uno vive il Vangelo rompe le tradizioni e viene ucciso apposta perché
è di inciampo.
v. 29: Ed egli domandava loro:
«Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo».
Gesù continua la sua
interrogazione e questa volta chiede ai discepoli chi pensino che egli sia.
Risponde Pietro come portavoce del gruppo dei discepoli e pronuncia la
professione di fede in Cristo. Davanti alle diverse opinioni della gente, Gesù
in quanto Cristo, è una personalità profetica che inaugura il tempo della
salvezza. Mentre nel giudaismo il Messia davidico era stato spesso definito
“l’Unto del Signore” o “il Messia di Israele” qui il Cristo si trova in forma
assoluta.
La domanda, però risuona nella
nostra vita, oggi, ora, in questo preciso istante. Nella vita di ogni giorno,
nel modo di pensare, nel modo di agire, nel modo di vivere chi è Gesù per me?
Forse a metà del cammino ancora
non siamo in grado di rispondere. Per questo Pietro prende l’iniziativa e da
una risposta, che è quella giusta. Qui è la prima volta che viene nominato “Cristo”.
Lo avevano detto anche i diavoli e Gesù disse loro: “tacete!” Ora è Pietro a
dirlo: Cristo è il Messia promesso.
v. 30: E ordinò loro
severamente di non parlare di lui ad alcuno.
Dopo una brevissima confessione
di fede abbiamo l’ordine di tacere, che è rivolto a tutti i discepoli. Perché?
Essa non svaluta la professione di fede nel Cristo, anzi rimanda all’evento
della Croce, nel quale la messianicità di Gesù conoscerà la sua spiegazione
vera. Tale spiegazione comincerà con l’annuncio della passione: Gesù è un Messia
sofferente e va riconosciuto crocifisso e non trionfale sul suo cavallo di
battaglia. Pietro stesso dovrà ancora fare del cammino “dietro” a Gesù e
seguirlo fedelmente, per comprendere pienamente le sue stesse parole.
v. 31: E cominciò a insegnare
loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli
anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre
giorni, risorgere.
L’evangelista Marco usa il
verbo «cominciare» ventisei volte in tutto l’evangelo: due volte qui in due
versetti successivi e poi a Gerusalemme si compirà quanto Gesù insegna.
Preso atto della confessione di
Pietro che lui è il Messia, Gesù adesso comincia a spiegare la vera natura
della sua messianicità e ciò che essa comporta per i suoi seguaci.
Al destino di sofferenza e di
morte del Figlio dell’uomo è dedicato spazio maggiore che alla sua vittoria.
Questa però è collocata al termine del suo cammino. L’essere ucciso era la
sorte speciale dei profeti; anche in altri contesti del Nuovo Testamento il
destino di Gesù viene paragonato a quella sorte.
C’è però una novità: la
risurrezione, che non ha nessun prototipo nel destino del giusto. Essa non va
vista come atto di Dio compiuto su Gesù , ma come atto di potenza del Figlio
dell’uomo che vince la morte per forza propria. Il dopo tre giorni si rifà
all’esperienza dell’AT: dopo tre giorni il giusto (o Israele) viene salvato.
v. 32: Faceva questo discorso
apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo.
Gesù parla apertamente, con
franchezza. Anche in altri passi di Marco si ricorda questa franchezza.
Qui Gesù comincia a parlare di
passione e risurrezione. I discepoli, che un giorno dovranno diffondere il
vangelo, devono scorgere in
Gesù la sorgente della parola che bisogna portare agli altri.
Anche l’evangelista dice in che
cosa consiste l’insegnamento di Gesù. Finora diceva che Gesù insegnava, adesso
dicendo che cominciò a insegnar loro, dice in che cosa consiste l’insegnamento:
è Lui.
In questo breve episodio Pietro
torna in primo piano. Poco prima aveva riconosciuto Gesù come il Cristo, adesso
l’idea della passione lo spinge alla protesta. Questo ci rivela che si possono
dire delle grandi parole a Gesù, ma dentro queste parole ci sono dei contenuti
che non hanno nulla a che vedere con Gesù. Per questo motivo, Pietro prendendo
in disparte Gesù, facendo l’opera del diavolo, lo rimprovera.
v. 33: Ma egli, voltatosi e
guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me,
Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Ma Gesù che ha già intrapreso
con decisione la strada di Gerusalemme si volta verso i discepoli e a Pietro
dice: “vai dietro a me”. Non metterti davanti, ma mettiti dietro tu sei satana,
ma non perché sei cattivo, ma perché pensi secondo gli uomini e satana è molto
umano. Non è diabolico satana, anzi, pensa come pensano tutti, i ben pensanti,
come Pietro, come gli apostoli.
Il Figlio dell’uomo non può più
essere distolto dal suo cammino. Satana non solo si oppone, ma distorce la
verità e dice la menzogna. Il pericolo più grave per i discepoli è rifiutare il
Crocifisso.
In questo modo Gesù non lascia
che l’ultima parola sia quella dell’incomprensione del discepolo e continua a
dire “va’ dietro a me”. Questa Parola che dice a Pietro è la Parola che Gesù
gli ha rivolto quando l’ha incontrato la prima volta, quando l’ha chiamato sul
mare di Galilea e gli ha detto: “Venite dietro a me”, a lui e ad Andrea (Mt 4,18-19).
v. 34: Convocata la folla
insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
La prima cosa che Gesù fa è
chiamare (e continua sempre a farlo). Dopo la protesta di Pietro i discepoli
sono chiamati nuovamente e messi di fronte a una decisione nuova. Ma chiama
anche la folla. Sia i discepoli, sia la folla sono invitati a seguire Gesù buon
pastore.
Gesù rivolgendosi a queste due
categorie di persone, discepoli e folla, ci interpella. Anche di fronte
all’incomprensione, Gesù chiama sempre. Infatti, ogni ascoltatore del Vangelo,
folla e discepoli, è chiamato a mettersi dietro a Gesù per ascoltare le Sue parole.
Chi si decide per la sequela deve rispondere a due esigenze precise. La prima è
rinnegare se stessi, rinunciare a se stessi, porre l’esistenza del discepolo al
di sopra dei propri desideri e dei propri progetti. La seconda è la
disponibilità ad accettare la croce. Questo rende coscienti i discepoli della
serietà della loro appartenenza a Gesù. Il supplizio della croce (con tutti i
suoi corollari) era già tristemente noto in Palestina e l’espressione non lasciava
il campo a dubbi.
v. 35: Perché chi vuole salvare
la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del
Vangelo, la salverà.
Segue qui un detto sapienziale
paradossale. La vita da ora in poi dipende dall’adesione o meno a Gesù.
Il termine greco psychḗ può significare o «vita» o
«anima». Ciò di cui si parla è la sostanza intima della persona, ciò che
costituisce l’«io», forse nel contesto marciano in una situazione di potenziale
martirio.
caso è la «psiche», non la vita terrena, ma quella che oltrepassa ogni limite e
che è dono di Dio. La terminologia del «salvare» e del «perdere» suggerisce che
c’è anche una dimensione escatologica o dell’«aldilà» nel detto (vedi 9,1) e
che è in palio qualcosa di più della felicità terrena e della pace del cuore al
presente.
I due verbi indicano una vita
da riempire d’amore e non a perdere, a lasciarla priva di senso. Don Primo
Mazzolari diceva: “Che io lo voglia o no,
la mia vita è legata al mio perdermi per coloro che amo”. Una vita persa per
Gesù significa una vita persa per amore, non una vita gettata via, una vita
senza senso. O viviamo una vita nella consegna di noi stessi o la giocheremo
sempre nel privilegio di noi stessi. Queste sono le due logiche: con la seconda
ce la guasteremo e la guasteremo anche agli altri. Con la prima la godremo noi
e renderemo felici anche gli altri.
Discepolo non è chi riconosce
Gesù come il Cristo, ma chi con lui e per lui sa far dono della sua vita.
fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il
Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
Parola illumina la vita e la interpella
La domanda che mi interroga nel
profondo: “voi chi dite che io sia?” Mi porta a scoprire il mio essere cristiano/a
oppure mi lascia come prima?
La mia è una fede solo a
parole, imparate a memoria e recitate nella celebrazione? O una fede vissuta,
tradotta in scelte concrete, capaci anche di andare controcorrente?
La Pasqua, mistero di morte e
di vittoria, è al centro della fede, stimola la mia vita? Mi sostiene
soprattutto quando sperimento anch’io l’opposizione al Vangelo? Mi sento
chiamato a vivere ripercorrendo le orme del Cristo, sofferente e vittorioso?
Quanto mi fido di Dio? Arrivo a
giocare la mia esistenza su questa scommessa di salvezza attraverso la
donazione totale di me stesso?
a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
il grido della mia preghiera.
Verso di me ha teso l’orecchio
nel giorno in cui lo invocavo.
ero preso nei lacci degli
inferi,
ero preso da tristezza e
angoscia.
Allora ho invocato il nome del
Signore:
«Ti prego, liberami, Signore».
il nostro Dio è misericordioso.
Il Signore protegge i piccoli:
ero misero ed egli mi ha
salvato.
dalla morte,
i miei occhi dalle lacrime,
i miei piedi dalla caduta.
Io camminerò alla presenza del
Signore
nella terra dei viventi. (Sal
114).
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
mi fermo ai piedi della croce per capire se cerco la fonte viva o quella
stagna. Se voglio vivere oppure morire. Mi accompagneranno queste ultime
parole: “chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la
propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
Lectio divina su Mc 8,27-35