Lectio divina su Gv 2,1-11
Invocare
O Dio, che nell’ora della croce hai
chiamato l’umanità a unirsi in Cristo, sposo e Signore, fa’ che in questo
convito domenicale la santa Chiesa sperimenti la forza trasformare del suo
amore, e pregusti nella speranza la gioia delle nozze eterne. Per il nostro
Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità
dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen!
Leggere
1 Il terzo giorno vi fu una festa di
nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2 Fu invitato alle nozze
anche Gesù con i suoi discepoli. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù
gli disse: «Non hanno vino». 4 E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è
ancora giunta la mia ora». 5 Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi
dica, fatela».
6 Vi erano là sei anfore di pietra per
la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a
centoventi litri. 7 E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le
riempirono fino all’orlo. 8 Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a
colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9 Come ebbe
assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale
non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso
l’acqua – chiamò lo sposo 10 e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino
buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece
hai tenuto da parte il vino buono finora».
11 Questo, a Cana di Galilea, fu
l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi
discepoli credettero in lui.
Silenzio meditativo: Annunciate a tutti i popoli le
meraviglie del Signore.
Capire
L’evangelista Giovanni è l’unico che
narra le nozze di Cana. Il brano ha un ruolo importantissimo nella struttura del
quarto vangelo e offre una chiave di lettura per capire il piano narrativo
dell’evangelista.
San Giovanni, raccontando le nozze di
Cana, ha detto esplicitamente quale sia il significato di questo racconto,
perché l’ultimo versetto dice che Gesù fece questo inizio dei segni in Cana di
Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Quindi
al centro del racconto c’è Gesù; è un segno che Gesù ha compiuto, e in questo
segno viene rivelata la gloria di Gesù; e questo segno è fatto perché coloro
che lo vedono possano credere in lui. È questo il motivo per cui il racconto
delle nozze di Cana fa in realtà parte della festa dell’Epifania.
Le tre domeniche che abbiamo passato –
l’Epifania, la Domenica del Battesimo del Signore, e la Domenica, II del Tempo Ordinario,
– costituiscono tutte un elemento dell’Epifania del Signore: i Magi che vanno a
Betlemme e portano i doni al Re dei Giudei, Gesù che viene battezzato nel
Giordano e viene rivelato dal Padre come il suo Figlio, Gesù che a Cana compie
il primo dei suoi segni. L’Epifania, cioè la manifestazione di Gesù, è lì.
Ricordiamo che il brano odierno non è
così facile come sembra; inoltre, nel vangelo di Giovanni, ha un’importanza
notevole: non per niente Giovanni lo ha messo come primo dei segni di Gesù. E
“primo” non si riferisce solo all’ordine cronologico, ma vuol dire l’inizio, il
modello; tutti gli altri segni che Gesù farà saranno simili a questo e se uno
capisce questo potrà capire il mistero stesso di Gesù.
Meditare
vv.
1-2: Il terzo giorno
Il capitolo con il suo versetto inizia
con una indicazione di tempo: “il terzo giorno” denota la completezza, indica
la perfezione e completezza di Dio. Il Terzo giorno completa l’opera della
creazione (cfr. Gen 1). Senza dimenticare che il terzo giorno la terra risorse
dalle acque (cfr. Gen  8-9) e Cristo Gesù
risorse dalla morte.
vi
fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato
alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Nell’AT, la festa delle nozze era un
simbolo dell’amore di Dio verso il suo popolo. Il tema delle nozze richiama
subito alla mente un’immagine biblica, divenuta tradizionale a partire
dall’esperienza coniugale di Osea fino al Cantico dei Cantici e a Gesù stesso,
che ha presentato il regno dei cieli come un banchetto di nozze.
La festa umana per eccellenza, quella
che dice l’amore dell’uomo e della donna, destinati a divenire uno in
conformità con l’immagine divina, è servita da metafora per esprimere
l’alleanza di Dio con il suo popolo, e più particolarmente la sua realizzazione
escatologica, allorché Dio la stringerà non solo con Israele ma col mondo
intero. Cana è il segno delle nozze di Dio con Israele, con il suo popolo.
La Madre di Gesù si trovava alla festa.
Gesù ed i suoi discepoli erano invitati. Cioè, la Madre di Gesù fa parte della
festa. Ella simbolizza il Vecchio Testamento. Anche Gesù è presente, ma in
veste di invitato. Lui non fa parte del Vecchio Testamento. Insieme ai suoi
discepoli lui è il NT che sta arrivando. La Madre di Gesù aiuterà al passaggio
dal Vecchio al Nuovo Testamento.
v.
3: Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino».
Il vino accompagnava normalmente un
banchetto di nozze ed era offerto con abbondanza. Con il grano e l’olio, il
vino è uno dei tre raccolti essenziali per la vita dell’uomo; è un dono di Dio,
creato per la gioia degli uomini come segno di prosperità. Ecco perché scorrerà
abbondante alle nozze escatologiche, come annuncia il profeta Amos.
Gesù richiama alla simbologia del
banchetto celeste quando annuncia che non berrà più del frutto della vite fino
a quando lo berrà nuovo nel regno del Padre (Mc 14,25).
A Cana, in attesa che si realizzi il
regno del Padre, Gesù dona un vino superiore che, nel linguaggio simbolico, dà
compimento al primo vino già servito. Vi è continuità tra i due vini, poiché
l’uno e l’altro sono vino di nozze. L’Alleanza Antica raggiunge il suo
compimento grazie all’azione di Gesù.
L’espressione “non hanno più vino”, è
l’esposizione di un fatto; che abbia chiesto in questo modo un miracolo o che
Gesù provvedesse era un invito a darsi da fare.
v.
4: E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me?».
È una frase dura e decisa, sottolinea
una distanza trai due interlocutori (Mc 1,24; Mt 8,29; Lc 4,34; 8,28). Dice una
seccatura e un pericolo, qualcosa che si vuole assolutamente evitare. Gesù non
vuole saperne del problema, sembra che non gli interessi, che non lo tocchi. Ma
questo non è strano del tutto perché è un atteggiamento che nei Vangeli lo ritroviamo
alcune volte. Gesù ormai non è più semplicemente il figlio di Maria; ma ha
iniziato la sua rivelazione pubblica come Messia.
Gesù era un uomo libero, sottratto
dalle pressioni e dai condizionamenti della gente e dei cari. Agiva in nome di
Dio e in nome di nessun altro, chiunque fosse. Con questa risposta Gesù mette
in chiaro con sua madre, ma con ogni persona, che lui non farà mai niente di
dettato dall’esterno perché lui è venuto per compiere la volontà del Padre e
solo a Lui è dovuta l’obbedienza.
I. de la Potterie commenta che “non vi
è alcuna traccia di ostilità in queste poche parole, nemmeno alcun rimprovero,
contrariamente a quanto hanno pensato talvolta i Padri Greci (Per esempio,
Ireneo e Crisostomo). Dicendo a sua madre «Donna, che vuoi da me?», Gesù lascia
intendere che egli si pone su un piano diverso da quello di Maria e in un’altra
prospettiva: questa pensa ancora al vino della festa, Gesù pensa ormai alla sua
missione messianica che inizia. Quindi tra loro c’è una certa incomprensione,
un equivoco. Molte volte in san Giovanni si ripete una situazione del genere:
l’interlocutore di Gesù si preoccupa unicamente di realtà materiali; ma per
Gesù queste sono il segno dei beni salvifici che egli porta.”
Non
è ancora giunta la mia ora
Nel vangelo di Giovanni si parla spesso
dell’ “ora” di Gesù e la si identifica con la Pasqua in cui Gesù sarà
glorificato. Questa è l’ora di Gesù, l’ora in cui Gesù realizza la sua
missione, passando da questo mondo al Padre, uscendo dai limiti della sua
condizione umana che aveva assunto con l’incarnazione, per partecipare anche
come uomo alla pienezza della vita del Padre. E questo passaggio avviene
amando. Gesù non ha fatto altro che amare i suoi durante tutta la vita; ora
Egli porta a compimento questo amore donando la vita.
Le nozze di Cana vanno interpretate
alla luce della Pasqua, come inizio del cammino che porterà Gesù al Padre
attraverso la morte, attraverso una esistenza consacrata all’amore. Anche Cana
è una rivelazione di amore: l’inizio della rivelazione dell’amore di Dio. Il
compimento pieno sarà la croce, quando Gesù darà la sua vita.
Di questo amore, Cana comincia a
donarci i primi segni, la prima manifestazione. E allora, se uno vuole capire
Cana, non lo deve isolare come un gesto a sé, ma piuttosto collocarlo insieme a
tutti gli altri gesti di Gesù che conducono al cammino di morte e risurrezione.
v.
5: Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
È molto importante riconoscere il fatto
che “non avendo compreso quali siano esattamente le intenzioni del Figlio,
Maria si rimette totalmente alla volontà di lui, e trasmette ai servi questa
sua fede aperta sull’incognito, prima che intervenga l’evidenza del segno:
«Quanto Egli vi dirà, fatelo»”. Ecco, la profondità della fede della madre di
Gesù!
Quanto Maria dice ai servi riprende
alcuni testi dell’Esodo che indicano l’obbedienza di Israele alla legge di Dio:
«Tutto ciò che Jahvè ha detto, noi lo faremo» (Es 19,8; 24,3.7). Maria
rappresenta il nuovo Israele che collabora con l’opera della redenzione attuata
del Messia.
v.
6: Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei,
contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri.
I riti di purificazione erano diffusi
presso i Giudei, come presso tutti i popoli. Esprimono il desiderio
religioso-umano di una cancellazione delle colpe, del male, di tutto ciò che
inquina la vita dell’uomo. Ma questo desiderio non viene mai esaudito in
maniera radicale e definitiva.
Ora, l’indicazione delle giare vuole
indicare un piccolo dettaglio, molto significativo. “6 giare”: vuol
indicare la nostra imperfezione (il 7 numero della perfezione, del
completamento, della maturità): ci manca qualcosa di essenziale, di vitale, non
siamo completi. Gli esperti arrivano a calcolare la capacità di questi sei
contenitori: si tratterebbe di qualcosa come duecentocinquanta litri (se non di
più)! Ci troviamo di fronte ad una sovrabbondanza che potrebbe sembrarci
esagerata se dimenticassimo che qui Gesù intende offrire una pallida idea della
ricchezza e magnificenza della gioia messianica che si effonderà da lui
crocifisso e risorto, dal suo costato aperto da cui scaturiscono
sangue-ed-acqua sparsi sulla croce, per dissetare il mondo intero.
Le giare solevano essere sempre piene,
soprattutto durante una festa. Qui sono vuote! Perché? L’osservanza delle leggi
della purezza, simbolizzata dalle sei giare, ha esaurito tutte le sue
possibilità. L’antica legge è riuscita già a preparare la gente a poter stare
in unione di grazia e di giustificazione dinanzi a Dio.
Le giare, l’antica alleanza, sono
vuote! Non più in grado di generare una vita nuova. Solo Gesù può immettere
vino nuovo nel tentativo umano di giungere ad un’esistenza autentica, liberata
dal peccato. In questo sta il significato profondo del miracolo: non solo Gesù
adempie il desiderio di purificazione dell’uomo, ma dona un modo di vivere
completamente nuovo.
Dunque, questa quantità di vino dice
che stiamo entrando nell’epoca della gioia; detto in termini biblici:
dell’epoca messianica. I profeti lo avevano annunciato: quando sarebbe venuto
il Messia, avrebbe portato i doni di Dio, e li avrebbe portati sovrabbondanti.
vv.7-8:
E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo.
Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il
banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come nella moltiplicazione dei pani,
anche a Cana Gesù sollecita e quasi attende la collaborazione umana. Essa
risulta sempre sproporzionata rispetto all’esito miracoloso della volontà
divina.
Eppure quest’ultima – pur potendolo –
non fa tutto da sola. Certo Gesù avrebbe potuto riempire direttamente di vino
le sei giare senza chiedere nulla a nessuno; ma egli desidera che i discepoli
ricordino la loro responsabilità e la vivano con generosa fedeltà: toccherà a
loro “riempire, attingere e portare” la bevanda della salvezza e della gioia,
sapendo bene che la loro obbedienza alla Parola non ha prodotto il miracolo
(2,9), ma lo ha semplicemente accolto nella fede e ne ha veicolato i frutti
verso la custodia e la promozione della piena felicità di tutti i commensali al
banchetto delle nozze dell’agnello (Ap 19,9).
vv.
9-10: Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il
banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che
avevano preso l’acqua –
Colui che dirige il banchetto non sa da
dove il vino venga, ma lo sanno solo i servi. Lo sanno i servi perché obbedendo
alle parole della Madre di Gesù hanno fatto quello che Gesù ha detto loro di
fare. Questo fa parte della rivelazione di Gesù, in quanto nel vangelo di
Giovanni quando si parla dei doni divini, che Gesù porta agli uomini, si
sottolinea il fatto che questi doni hanno una origine misteriosa, com’è
misterioso il Donatore. E se uno vuole comprendere Gesù, deve mettere Gesù in
relazione con Dio, deve sapere che viene da Dio e che ritorna a Dio: la Sua
origine e la Sua destinazione sono misteriose. Quindi come è misterioso Gesù,
così sono misteriosi i suoi doni.
«Tutti
mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto,
quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Il miracolo è già avvenuto. Il Vangelo
non dice come e quando è avvenuto. “Il vino di Gesù è misterioso nella sua
origine. Simboleggia il mistero della sua Persona e la sua opera rivelatrice, i
beni promessi per l’era messianica, accompagnati da un clima di gioia e di
obbedienza; in una parola, la relazione di amore tra Dio e l’uomo, che si
inaugura con la Nuova alleanza”.
In questi versetti, Giovanni usa
“ironia” come un tecnico narrativo dell’episodio. Il maestro di Tavola
attribuisce il buon vino allo sposo, e non a Gesù. Così l’evangelista fa notare
che il vero sposo è Gesù. Questo viene esplicitamente espresso più avanti in Gv
3,29. Se Gesù è lo sposo, allora Maria diventa la sposa.
v.
11: Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli
manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Con questo versetto abbiamo la parte conclusiva,
anche se la Liturgia ha omesso il v. 12. Qui è l’inizio dei segni.
Nel quarto vangelo il miracolo non
viene chiamato “atto di potenza” (dynamis), come usano i sinottici, ma segno
(semeion). Questo termine giovanneo include sempre due aspetti: uno
dimostrativo, il segno suscita la fede dei discepoli in Gesù; l’altro
espressivo, esso manifesta la gloria di colui che lo compie.
Per definizione, il segno rimanda a
qualcosa d’altro oltre se stesso; esso viene considerato meno in se stesso che
nella sua relazione con i testimoni.
Il miracolo ha la funzione di orientare
verso la persona e la dignità del suo autore. La fede è l’obiettivo primario di
tutti i segni che riferisce il quarto vangelo, come precisa Giovanni nella
conclusione: i segni operati da Gesù sono stati scritti perché crediate.
Il gesto compiuto, tuttavia, non è mai
solo dimostrativo, ma è anche espressivo del mistero personale di Gesù e quindi
della salvezza che sarà comunicata agli uomini. Il segno manifesta, sotto una
forma sensibile, una realtà proveniente dall’alto che l’evangelista designa qui
col nome di “gloria”.
Cana ci invita a cercare più in
profondità, ad altri livelli, ad penetrare all’interno del nostro vivere comune
e di tutti i giorni, spesso vuoto e insipido. Ci invita a trovare un’ebbrezza,
una gioia, un’estasi profonda. Abbiamo bisogno di trovare qualcosa che dia un
senso e un sapore a tutte le cose. Non lo troviamo nella superficie delle cose
ma dentro, nel nucleo.
Cana ci invita a passare dall’acqua al
vino, a mutare: da una vita senza Dio a una vita tutta piena di Dio e del suo
amore misericordioso.
La Parola illumina la vita
Rileggendo questo brano, cosa ha voluto
dirmi Gesù, accettando di partecipare a una festa di nozze?
Quale atteggiamento cristiano perché
non manchi mai lo Spirito di Gesù, nostro “buon vino” quotidiano?
Sono disposto ad invitare Gesù al mio
matrimonio nel quotidiano di ogni giorno e a chiedere il suo aiuto nei momenti
di crisi?
Ritengo importante
“ritagliare” del tempo per la preghiera in coppia e in famiglia?
Scopro la bellezza interiore da
recuperare, come valore da vivere per dare un senso e un sapore al vivere
quotidiano?
Pregare
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la
terra.
Cantate al Signore, benedite il suo
nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua
salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua
gloria,
a tutti i popoli dite le sue
meraviglie.
Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Prostratevi al Signore nel suo atrio
santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.
(Sal 95).
Contemplare-agire
Oggi, partecipo all’Eucaristia per
vivere intimamente del banchetto nuziale buttando via l’abitudinarietà,
chiedendo di essere penetrato dalla dolcezza e dalla forza dell’amore nuziale
di Dio per me.

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