Lectio divina su Gv 15,1-8
Invocare
O Dio, che ci hai inseriti in Cristo
come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché amandoci gli uni
agli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti
di santità e di pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
1 «Io sono la vite vera e il Padre mio
è l’agricoltore. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già
puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4 Rimanete in me e io in voi.
Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite,
così neanche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi
rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete
far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca;
poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le
mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In
questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei
discepoli.
Silenzio meditativo: A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.
Capire
Con la quinta domenica di Pasqua,
abbiamo il testo evangelico della vite, anch’essa classica nell’AT. L’evangelista
Giovanni ispirandosi al genere letterario dei “discorsi di addio” e
utilizzando alcune tradizioni degli “addii di Gesù”, ha composto nei
capitoli 13-17 del suo vangelo un lungo discorso che il Nazareno pronuncia
prima di affrontare la sua “ora”, rivolgendosi esclusivamente ai
discepoli, che rappresentano i credenti di ogni tempo, e quindi anche ciascuno
di noi.
la utilizza nel discorso di addio
(capitolo 15) per parlare del rapporto tra Gesù e i discepoli.
La pericope si divide in due parti: i
primi 4 versetti con il tema del rapporto tra Gesù e il Padre, i seguenti 4
versetti presentano la necessità di rimanere o dimorare in Cristo; comune il
tema della vite, identificata con Gesù stesso, e del portare frutto.
Meditare
v.
1: «Io sono la vite vera e il Padre mio è
l’agricoltore.
In questo capitolo, inserito nel
secondo discorso (cc. 15-16), inizia la rivelazione di Gesù circa l’identità e
la situazione della sua comunità in mezzo al mondo. C’è una prima affermazione
che riguarda l’immagine della vite, figura di Israele. L’evangelista usa una
forma letteraria ebraica, il mashal, in cui si fondono elementi allegorici,
simbolici, esortativi e profetici.
L’immagine della vite e della vigna è
classica nell’AT ed è riferita in genere ad Israele, nel cantico d’amore per la
vigna (Is 5,1ss) e dalle dichiarazioni del Signore nel profeta Geremia: “Io ti
avevo piantato come vigna scelta…” (Ger 2,21) (cfr. anche Ger 5,10; Ez
15,2-6;19,10-14; Sal 80,9-16); nel testo giovanneo c’è un riferimento diretto a
Sir 24,17-20 dove tale simbolo è riferito alla Sapienza divina. E nel vangelo
Gesù si presenta anche come la vera sapienza di Dio (cfr. Lc 7,35).
Gesù proclama se stesso la vera vite.
Il vero popolo fedele a Dio è rappresentato da lui (vite) e dai discepoli
(tralci) che gli danno adesione. Il ruolo di agricoltore è svolto dal Padre. Né
Gesù, né tanto meno i tralci/discepoli possono subentrare in questo ruolo.
La cura che l’agricoltore ha per la
vite è simile a quella che il Padre ha per Gesù e i suoi, per la Chiesa
L’immagine viene utilizzata nel NT per
indicare sia l’infedeltà della vite Israele sia la cura di Gesù per i discepoli
(cfr. Mc 12,1-12; Mt 20,1-8; 21,28-31.11-41; Lc 13,6-9; 20,9-19).
v.
2: Ogni tralcio che in me non porta
frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più
frutto.
Il versetto sottolinea la produzione crescente
del frutto del tralcio in Gesù. Il tralcio che pur ricevendo dall’unione con
Gesù/vite la linfa vitale non la trasforma in frutto è inutile e il Padre lo
elimina. L’importanza di portare frutto – idea essenziale di questo brano –
viene sottolineata dall’evangelista che ripete per ben sette volte
l’espressione (tre volte in 15,2 e poi 4.5.8.16).
Qui l’evangelista usa un gioco di
parole tra il verbo: aírei = togliere
e katháirei = purificare l’evangelista
sottolinea che l’azione del Padre/agricoltore verso il tralcio che porta frutto
non è di di “potatura” ma di purificazione, cioè liberazione da tutti quegli
elementi che impediscono di aumentare la capacità di portare frutto. È questa
un’azione positiva tesa a favorire le capacità di vita e di dono del tralcio.
Il legame tra Gesù e i discepoli, i
credenti (la Chiesa) indicato con la vite e i tralci sottolinea l’intensità del
rapporto; il principio fondamentale della vita cristiana è condividere la
stessa vita di Gesù, restando uniti a Lui, la vera vite.
v.
3: Voi siete già puri, a causa della
parola che vi ho annunciato.
La fede e l’amore con cui restiamo in
Cristo (cfr. Gv 14,21) hanno alla radice l’azione del Padre. Infatti il v. 3
specifica che è la parola (quella di Gesù e quella delle Scritture) a renderci
puri. Il credente nell’ascolto fedele e obbediente alla Parola si purifica e
diviene sempre più tralcio della vite/Cristo (cfr. Gv 13,10). Del resto la
necessità della grazia, dell’azione gratuita e preveniente di Dio per credere è
un tema ripreso spesso da Giovanni (cfr. 6,37.65; 14,6).
Questo insegnamento che li rende
puri/liberi è quello dell’amore che si traduce nel servizio da lui dimostrato
nella lavanda dei piedi (cap. 13). Lavare i piedi agli altri (servizio di amare
= purificare) è quel che rende puri i discepoli.
v.
4: Rimanete in me e io in voi. Come il
tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così
neanche voi se non rimanete in me.
Il verbo dimorare/rimanere = méinate da ménō è un verbo caratteristico del vangelo di Giovanni (ben 36
volte contro le 3 di Mt, 2 di Mc e 7 di Lc). In questo capitolo il verbo
compare ben 11 volte.
Esso indica la reciproca appartenenza
di Gesù e dei suoi discepoli e l’unica sfera di vita retta dall’amore, a
imitazione della reciproca immanenza del Padre e del Figlio.
L’espressione vuole manifestare il dono
di grazia di Dio che rimane nel discepolo, ma insieme al dono deve rimanere la
fedeltà. Ciò significa che la fede è un cammino, un avanzare per continuare a
godere del dono di Dio che in Cristo non verrà mai meno. La fede non è data al
cristiano una volta per tutte, ma è la risposta alle esigenze della Parola che
è un principio dinamico che purifica e libera da ciò che in noi si oppone a
Dio. Più si dimora in Gesù e più si serve. Infatti, il servizio è piena
comunione con Gesù
v.
5: Io sono la vite, voi i tralci. Chi
rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete
far nulla.
Il v. 5 riprende il v. 1 ma con
variante: si aggiunge “voi i tralci”. Non solo, torna il verbo rimanere. In
pratica, il versetto contiene il rapporto tra Gesù/vite e i suoi
discepoli/tralci.
Senza questa comunione il tralcio
diventa sterile. L’espressione di Gesù richiama quella pronunciata nella
sinagoga di Cafarnao: “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in
me e io in lui” (Gv 6,56) sottolineando la stretta relazione tra
adesione/comunione a Gesù e il portare frutto.
v.
6: Chi non rimane in me viene gettato via
come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Il v. 6 propone una serie di verbi come
facendo un percorso al rallentatore: chi non rimane viene gettato, secca, viene
raccolto, lo gettano nel fuoco, lo bruciano, che sottolineano l’inevitabile
fallimento del tralcio staccato dalla vite. Una descrizione di questo
movimento, l’abbiamo nel profeta Ezechiele: “Figlio
dell’uomo, che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni
della foresta? Si adopera forse quel legno per farne un oggetto? Si può forse
ricavarne un piolo per attaccarvi qualcosa? Ecco, lo si getta nel fuoco a
bruciare, il fuoco ne divora i due capi e anche il centro è bruciacchiato.
Potrà essere utile per farne un oggetto? Anche quand’era intatto, non serviva a
niente: ora, dopo che il fuoco l’ha divorato, l’ha bruciato, si potrà forse
ricavarne qualcosa?”
(Ez 15,2-5).  
I discepoli separati da Gesù sono nella
morte e vanno incontro alla condanna eterna (Ez 15,1-8; Mt 3,10; 13,30.40); la
vita viene da Gesù (cfr. Gv 10,10; 14,6); In modo diverso san Paolo dirà:
“Tutto posso in Colui che mi dà la forza” (Fil 4,13).
v.
7: Se rimanete in me e le mie parole
rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.
Accogliere la Parola di Gesù non è un
fatto uditorio, ma deve dimorare in ogni credente. Per vivere pienamente
questo, non deve mancare l’accogliere la sua persona e il suo mistero, accoglienza
possibile attraverso la fede che rende quindi efficace ogni preghiera.  Se c’è tutto questo, i discepoli hanno la
garanzia che qualunque cosa chiederanno, mi chiedete (cfr. Mc 11,24; Gv 14,13;
16,23-24) verrà loro concessa (nel verbo thélēte = chiedete/volete è insita la
tensione/volontà comunitaria di desiderare ciò che desidera Gesù: tutto ciò che
realizza veramente l’uomo).
L’evangelista Giovanni lo ricorderà
nella sua lettera facendo menzione all’azione dello Spirito Santo (cfr. 1Gv
3,18-24).
v.
8: In questo è glorificato il Padre mio:
che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Infine la gloria del Padre, che si
manifesta in Gesù, è manifestata anche in coloro che producono frutti in forza
della loro comunione con Lui.
Il discepolo di Gesù sarà colui che, incondizionatamente,
come Gesù glorifica il Padre nella vita di tutti i giorni attraverso il
perdono, la misericordia, la condivisione.
L’evangelista in particolare sottolinea
che solo diventando discepoli di Gesù e nell’abbondanza di frutto viene glorificato il Padre, cioè si rende manifesta la presenza e l’attività di un
Dio-Amore.
La Parola illumina la vita
La nostra mia è una fede viva o è
generata dalle emozioni, dai sentimenti?
Sono capace di aprire il mio cuore al
suo amore e con lui aprirmi verso i fratelli, verso le sorelle?
Dimoro nella Parola del Signore per
viverla sulle strade della vita?
Sono convinto che senza l’Agricoltore
non posso far nulla e che solo da lui mi viene tutto ciò di cui ho bisogno?
Mi lascio “potare” con gioia,
con pazienza, per produrre frutti abbondanti e generosi?
Pregare
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi
fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione
che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!». (Sal 21).
Contemplare-agire

Nella pausa contemplativa, mi lascio
trasportare dalla Parola per viverne il suo dinamismo, per vivere la vera vita
spirituale, il primato dell’interiorità attraverso il verbo rimanere.

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