Lectio divina su Gv 3,13-17
Invocare
O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la croce del Cristo tuo Figlio, concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero di amore, di godere in cielo i frutti della sua redenzione.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
13 Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Silenzio meditativo: Non dimenticate le opere del Signore!
Capire
La festa della Santa Croce è strettamente legata alla basilica costantiniana del Santo Sepolcro a Gerusalemme: secondo le antiche fonti il 14 settembre 320 fu esposta e adorata per la prima volta la reliquia della croce. In Oriente questa ricorrenza venne celebrata sempre con grande solennità. Il mistero celebrato è quello del Venerdì Santo: la croce di Cristo è il segno più alto dell’amore di Dio per l’umanità.
Il Vangelo ci riporta al dialogo notturno di Gesù con Nicodemo. Gesù, dopo aver rivelato la condizione per entrare nel Regno, cioè nascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito, rivela a questo maestro di Israele i misteri del Regno, le “cose del cielo”. Lo può fare perché Egli è disceso dal Cielo e dice ciò che sa. Per parlare di queste “cose celesti” fa un paragone tra l’episodio del serpente nel deserto e il Figlio dell’uomo, che sarà innalzato perché chi crede possa avere la vita. Anticipa in questo modo il senso della sua crocifissione (essere innalzato) e della sua morte. Per comprenderla, dice Gesù: dovete ricordare la storia di Israele che nel deserto ha perso la fiducia nel suo Dio, si è sentito abbandonato, ma quando ha sperimentato l’angoscia della morte è ritornato a Dio e Dio gli è venuto incontro. Come il serpente, così il Figlio dell’uomo deve essere innalzato: perché tutti possano volgere a lui lo sguardo, e riconoscere in lui ciò che Dio fa per tutti; vedendo Dio che si dona in Gesù fino alla fine, possano superare il sospetto che Dio sia contro il loro bene e felicità.
Non ci deve sorprendere il fatto che il brano scelto per questa celebrazione fa parte del quarto vangelo, perché, è proprio questo vangelo che presenta il mistero della croce del Signore, come l’esaltazione. Questo è chiaro già dagli inizi del vangelo: “come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” (Gv 3,14; Dn 7,13).
Giovanni ci spiega il mistero del Verbo incarnato nel movimento paradossale della discesa-ascesa (Gv 1,14.18; 3,13). È questo mistero infatti che offre la chiave di lettura per capire l’evolversi dell’identità e della missione del Gesù Cristo passus et gloriosus, e possiamo ben dire che questo non vale soltanto per il testo giovanneo. La lettera agli Efesini, per esempio, fa uso di questo movimento paradossale per spiegare il mistero di Cristo: “Ora, questo «è salito» che cosa vuol dire se non che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra?” (Ef 4,9).
Meditare
v. 13: Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.
L’origine di Gesù è in Dio; di conseguenza ora Egli è il tramite indispensabile per accedere al mistero di Dio. L’opera di Dio in Gesù non ha tuttavia solo una finalità conoscitiva: essa è in grado di realizzare un’autentica trasformazione dell’essere umano, perché lo guarisce dalla sua distanza da Dio e lo rimette di nuovo in comunione con lui. Possiamo cogliere da queste parole che il Figlio è in grado di parlarci delle realtà celesti, in quanto Egli è disceso dal cielo, ed è capace di schiudere le cose divine.
Ogni accessibilità che Dio ci concede è resa possibile dal mistero dell’incarnazione, dal suo farsi carne.
vv. 14-15: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Nel significato biblico originale il serpente innalzato rappresentava il segno del perdono di Dio che ridona la comunione e quindi la vita a chi, dopo la ribellione, si pentiva e si rivolgeva con fiducia al Signore. La ribellione porta morte; tornare ad obbedire al Signore avendo fiducia in Lui come liberatore ridona la vita.
Anche il vangelo mette in evidenza la volontà salvifica di Dio, tuttavia il riferimento è al concreto innalzamento del Figlio dell’uomo, come mostra il verbo “bisogna”. C’è una condizione propria di Gesù ed è una condizione che Egli “deve” compiere: l’innalzamento. Questo vuol dire che la condizione di coloro che “devono” è condizione che li pone in grado di aprirsi al mistero stesso di Dio. Coloro per i quali si può dire che “devono”, che “bisogna” sono coloro che sono una cosa sola con il Signore, perché Gesù interpreta la loro condizione come condizione che lui ha avuto davanti a Dio.
L’innalzamento a cui Gesù si riferisce non implica solo la crocifissione: con la croce ha inizio un movimento che porta al definitivo innalzamento, cioè l’ascesa al Padre. La croce di Gesù, allora, non ci ottiene soltanto la remissione dei peccati, ma ci apre la strada per il ritorno alla comunione di vita con Dio. Se, attraverso l’incarnazione, Dio è entrato nel mondo e si è aperto il movimento di discesa di Dio verso l’uomo, ora, con l’innalzamento del Figlio dell’uomo, si opera il movimento di ascesa verso il Padre: in Gesù è aperta, per l’umanità, la via di ritorno alla comunione con Dio. Attraverso l’innalzamento di Gesù, Dio vuole attirare a sé l’umanità intera.
vv. 16-17: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Secondo la visione della Bibbia c’è all’origine del mondo una benedizione di Dio. Quando Dio ha creato il mondo lo ha anche benedetto e quella benedizione voleva dire approvazione del mondo. Ora, questa benedizione non è stata ritirata, Dio non l’ha tolta nemmeno a causa del peccato: nemmeno la punizione del peccato, nemmeno l’esperienza del diluvio hanno cancellato questa benedizione originaria di Dio nei confronti del mondo e dell’uomo; anzi, la storia la si può descrivere proprio come rinnovato dono di questa benedizione.
Per “mondo” non si deve intendere la creazione buona, santa e bella, ma l’umanità peccatrice, l’umanità ribelle, l’umanità che ha rifiutato Dio. Questo “mondo” che gli era nemico, Dio lo ha amato e lo ha amato in un modo così serio da donare il suo Figlio unigenito.
Il senso di questa donazione è che Dio ha donato se stesso nel suo Figlio, ha donato la ricchezza della sua vita e del suo amore. In Dio, amare e dare vengono a coincidere. Amare vuol dire dare. Il dare è il modo di essere di Dio. Se per il Figlio dell’uomo “bisogna”, per Dio si tratta di “dare”. Dal dare di Dio si misura il suo amare il mondo. Se consideriamo che il mondo è tutto ciò che si oppone a Dio, allora capiamo bene come, nei confronti di ciò che si oppone a lui, Dio si sia posto come colui che dà e che, nel suo Figlio, “si dà”, cioè dona se stesso. In questo versetto ci viene dato il contenuto della nostra fede, che è questo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Il credere in lui è il credere all’amore con cui Dio ha amato il mondo. La fede ci porta a credere e a sapere il mondo amato fino al punto che Dio, per esso, ha donato suo Figlio. Il mondo quindi non è condannato; per questo mondo Dio non ha esitato a dare il suo Figlio unigenito.
Lo scopo a cui mira l’amore del Padre, che è l’invio del Figlio, non è certo, il giudizio del mondo, ma la sua salvezza (cfr. Gv 12,47; 1Gv 4,8-16). Il tardo giudaismo considerava il Messia come giudice escatologico. Si noti anche la persona del Battista visto come colui che ripulisce l’aia e sfronda gli alberi sterili (Mt 3,10.12).
La scelta fondamentale dell’uomo è questa: accettare o rifiutare l’amore del Padre che si è rivelato in Cristo. Questo amore non giudica e non condanna il mondo, ma lo salva:” Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
La Parola illumina la vita
Nicodemo era in cerca della verità. Io cosa cerco?
Che cosa significa per me l’esaltazione di Cristo e della sua croce? La parola “croce” suscita in me pensieri o atteggiamenti negativi o è simbolo di salvezza, redenzione?
Come reagisco nelle circostanze della malattia o della sofferenza?
Pregare
Ascolta, popolo mio, la mia legge,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca con una parabola,
rievocherò gli enigmi dei tempi antichi.
Quando li uccideva, lo cercavano
e tornavano a rivolgersi a lui,
ricordavano che Dio è la loro roccia
e Dio, l’Altissimo, il loro redentore.
Lo lusingavano con la loro bocca,
ma gli mentivano con la lingua:
il loro cuore non era costante verso di lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.
Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa,
invece di distruggere.
Molte volte trattenne la sua ira
e non scatenò il suo furore. Sal 77
Contemplare-agire
Impara a leggere nella tua vita e in quella degli altri i frutti della Croce. “Dobbiamo soffermarci a contemplare questo mistero, farlo penetrare nel nostro spirito, far sì che esso divenga luce interiore e comprensione amorosa del piano di Dio” (Raniero Cantalamessa).