O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti,perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14 Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Nella sezione che intercorre tra il terzo e il quarto dei discorsi di Gesù tipici del suo vangelo (cc. 14-17), Matteo riporta la sezione marciana che va dalla visita di Gesù a Nazareth fino al secondo annunzio della passione (Mc 6,1-9,32). Dalla terza parte della sezione di Matteo (16,13-17,27), di carattere più esplicitamente ecclesiologico, la liturgia riprende anzitutto, con qualche ritocco, il brano iniziale, cioè la professione di fede di Pietro.
In Matteo, diversamente da Marco, questo brano occupa un posto centrale, in quanto egli ha scritto il suo vangelo appunto con lo scopo di proclamare la messianicità di Gesù. Infatti, l’ episodio di Cesarea di Filippo rappresenta una delle grandi svolte del racconto di Matteo.
Per sottolineare l’importanza della professione di Pietro (vv. 13-16) l’evangelista aggiunge subito dopo un brano in cui Gesù lo elogia per quanto ha appena affermato (vv. 17-19); la conclusione (v. 20) è ripresa nuovamente da Marco.
Nel brano possiamo cogliere un’esperienza di conoscenza e di fede sul mistero della persona di Gesù. Due elementi del cammino che non si conquistano con i meriti né con i ragionamenti. La fede è dono di Dio Padre. Questa stessa fede ha accompagnato quei personaggi che la storia biblica ci ricorda ancora oggi e che si ricongiunge all’apice nel Figlio di Dio.
Ancora oggi, anche noi, possiamo rivivere questa stessa esperienza!
Meditare
vv. 13-14: Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?».
Siamo a Cesarea detta “di Filippo” (per distinguerla da “Cesarea marittima”), luogo importante per Gesù in quanto è uno dei vertici del mistero evangelico, in una parte remota della Palestina. Questa Cesarea era chiamata anche Paneas – oggi Banyas – per la sua prossimità al Panèion, cioè al santuario di Pan, il dio pagano delle montagne e dei pastori.
Gesù ha scelto un posto isolato, ancora un luogo pagano, per fare un discorso importante ai discepoli; un parlare alla loro intelligenza; un parlare chiaramente agli amici.
In questo cammino verso Gerusalemme per compiere la volontà del Padre, quasi a fare una analisi della situazione, Gesù chiede l’opinione della gente nei riguardi del Figlio dell’uomo. Le risposte sono assai varie.
È il tempo delle domande decisive per la fede dei discepoli in Lui, nella sua identità reale. Proprio una domanda simile era stata posta a Lui dai discepoli del Battista (Mt 11,2-3). Gesù aveva rimandato allora alle opere messianiche ed alla beatitudine di chi non avrebbe subito scandalo da Lui.
L’espressione greca “il Figlio dell’uomo”, traduce due espressioni diverse fra loro di significato.
La prima (bar-adam) indica l’uomo in quanto creatura, debole; la seconda (bar nash) indica il principe ereditario e colui che è cittadino di pieno diritto, libero. Con Daniele quest’ultima espressione passò ad indicare il capo del popolo di Dio, diventando così un titolo specificatamente messianico.
Al tempo di Cristo l’attesa di un uomo che veniva da parte del Signore era grande; gli animi riscaldati avevano spesso sollevato intorno a incerte figure gruppi armati prontamente spenti dal Romano invasore.
Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
Le risposte di diversa provenienza sono assai varie, tutte di diversa prospettiva. I personaggi che vengono citati sono in riferimento al Messia.
Per capire, ci accompagna una domanda: come stiamo davanti al Signore? Come ci esprimiamo in merito alla sua identità? Il nostro rapporto con Gesù inizia con questo rivolgersi di Gesù direttamente ai discepoli: voi.
v. 15: Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
In questa espressione abbiamo la vera domanda, che si presenta come una “consegna”. Voi, chi dite che io sia? Gesù chiede di riconoscerlo attraverso una “consegna” di lui a noi. Alla stessa maniera, il mistero del Signore, che è costitutivo del nostro essere Chiesa, va riconosciuto nei “consegnati”. Quello che tu dici di Gesù, in realtà mette in gioco quello che tu sei. Se tu dici a una persona chi è per te, in realtà dici chi sei tu: così è di Pietro.
v. 16: Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Pietro riconosce in Gesù il compimento delle profezie dell’Antico Testamento e che in Gesù abbiamo la rivelazione definitiva del Padre per noi, del “vivente”. La caratteristica di “vivente” è propria di Dio, al quale non possono resistere le forze della morte. Dio, datore di vita, comunica questa forza alla Chiesa che non verrà sopraffatta dal male.
Questa confessione di Pietro non è nuova. Prima, dopo aver camminato sulle acque, gli altri discepoli avevano già fatto la stessa professione di fede: “Veramente, tu sei il figlio di Dio!” (Mt 14,33).
Nel Vangelo di Giovanni, questa stessa professione di Pietro la fa Marta: “Tu sei il Cristo, il figlio di Dio venuto nel mondo!” (Gv 11,27).
La confessione di fede comporta un cambiamento di mentalità e l’impegno della sequela. Il riconoscimento di Gesù Messia non è un impegno verbale, ma accoglienza del Messia servo sofferente, che attraverso la croce realizza la volontà del Padre. Chi pronuncia il credo con le labbra chiama in causa la propria vita, si compromette con la croce. Credere non è una convinzione religiosa, ma è partecipazione della vita di Gesù, del suo stile, della sua obbedienza filiale al Padre. Non vi può essere confessione autentica di fede senza un autentico coinvolgimento di se stessi e della propria vita.
v. 17: E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
Gesù proclama Simone “Beato!” perché ha ricevuto una rivelazione da parte del Padre. Anche in questo caso la risposta di Gesù non è nuova. Prima Gesù aveva fatto un’identica proclamazione di felicità ai discepoli per aver visto e udito cose che prima nessuno sapeva (Mt 13,16), ed aveva lodato il Padre per aver rivelato il Figlio ai piccoli e non ai sapienti (Mt 11,25). Simone è uno di questi piccoli a cui il Padre si rivela. La percezione della presenza di Dio in Gesù non è frutto del merito di uno sforzo umano (“né carne né sangue”), bensì è un dono che Dio concede a chi vuole. Ciò che sei per la fede non dipende dal tuo peccato, ma dal vederti fatto oggetto di una rivelazione. Questo non mortifica la carne e il sangue; questo dice che nella condizione della carne e del sangue avviene la rivelazione dei misteri del Regno.
Questo è il ritenere le persone capaci di fede. Non è un giudizio rivolto alla condizione di miseria degli uomini, ma è il ritenerli, nella loro debolezza, capaci di fede per una rivelazione che viene loro fatta. Avviene così anche di noi: il Signore ci rivela la sua identità, il suo essere Figlio di Dio, quello Vivente.
vv. 18-19: E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. Simone, il figlio di Giona, riceve da Gesù un nome nuovo che è Chephas, che vuol dire Pietra. Per questo, è chiamato Pietro. Pietro deve essere pietra, cioè, deve essere fondamento sicuro per la Chiesa. Essere pietra, quale base della fede, evoca la parola di Dio donata al popolo in esilio in Babilonia: “Ascoltatemi voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai” (Is 51,1-2). Applicata a Pietro, questa qualità di pietro-fondamento indica un nuovo inizio del popolo di Dio.
La Chiesa appartiene a Cristo: ‘la mia Chiesa’. E poi se ne sottolinea la perenne stabilità: la Chiesa è come una casa costruita sulla roccia, anche se poggia apparentemente sulla fragilità degli uomini: “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. Una stabilità sicura, ma tormentata. Il destino della Chiesa è come quello di Gesù: un cammino tra le contraddizioni.
A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
Pietro riceve le chiavi del Regno per legare e sciogliere, cioè, per riconciliare le persone tra di loro e con Dio. Il simbolo delle chiavi nella tradizione biblica indica autorità e responsabilità. Il potere delle chiavi, tuttavia, è strettamente legato alla croce. A Pietro è consegnato lo stesso potere che ha esercitato Gesù in terra, il potere della croce, il potere di offrire la sua vita. Ecco perché si ripete nuovamente lo stesso potere di legare e sciogliere, viene dato non solo a Pietro, ma anche agli altri discepoli (Gv 20,23) ed alle proprie comunità (Mt 18,18). Il legare e lo sciogliere sono da ricondurre all’attività di Gesù, perché in realtà il problema non è legare o sciogliere, ma è che queste due azioni sono le azioni compiute nei cieli. Sono azioni che solo Dio sa compiere e noi le compiamo in nome suo.
Che cosa o chi legare? In Mt 12,29 si dice: ‘Come potrebbe uno penetrare nella casa dell’uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega?’ Allora Gesù è colui che lega l’uomo forte, il diavolo; e lo ha legato e vinto una volta per tutte sulla croce. Allora la Chiesa ha il potere sulla terra di legare l’uomo forte, e questo potere le è stato dato da Gesù. Ma come ha vinto Gesù satana? Sulla croce, di fronte all’ultima tentazione: “se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce” Gesù ha risposto affidandosi al Padre e donando la vita.
Chi e che cosa sciogliere? In Lc 11,21 si dice: “quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino”. Gesù allora è quell’uomo più forte che distribuisce il bottino, cioè scioglie le catene inique del male, libera gli oppressi e i prigionieri, coloro che l’uomo forte (satana) teneva come suo bottino. Questo la Chiesa, in Gesù, è chiamata a compiere.
Nel Vangelo di Matteo si insiste sulla riconciliazione ed il perdono (Mt 5,7.23-24.38-42.44-48; 6,14-15; 18,15-35). Perché “tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli”? Perché la terra non è più separata dai cieli; in Gesù si è ricostituita l’alleanza; Gesù ha inaugurato il Regno dei cieli sulla terra. Il Regno dei cieli esiste già, qui, sulla terra, anche se nella contraddizione e nel conflitto e nella piccolezza.
v. 20: Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Gesù impone il silenzio sul fatto che è il Messia poiché la sua “ora” deve ancora giungere. Inoltre, perché la loro concezione del Messia non era ancora purificata completamente. Egli non è il Messia degli uomini, cioè quello che conquisterà con le armi il potere a Gerusalemme, sconfiggerà i romani e inaugurerà il regno di Israele ma l’Unto del Signore! Gesù è l’inviato del Signore ma non con quei metodi che la gente si aspetta, metodi che creano solo confusione tra la povera gente.
La liturgia domenicale chiude qui l’episodio, ma è da riprendere e capire meglio domenica prossima insieme ai versetti che chiudono il capitolo 16 del Vangelo di Matteo, dove incontreremo l’idea trionfante di Simon Pietro: un Messia vittorioso che è il pensiero di satana, di un avversario al disegno di Dio che in Pietro nonostante Gesù gli disse “tu sei la pietra adatta per costruire la comunità”, adesso, gli dirà: “tu mi sei pietra d’inciampo”.
Abbiamo visto varie opinioni su Gesù che si possono nuovamente elencare, ma quale è la mia opinione su Gesù? Chi è Gesù per me?
Pietro é pietra in due modi. Che tipo di pietra sono io per gli altri? Che tipo di pietra è la nostra comunità? Quale è la missione che ne risulta per me, per noi?
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani. (Sal 137).
La preghiera è anche la nostra forza. Guardiamo dentro di noi per riconoscerci dei consegnati e professare la nostra fede non solo con le labbra ma anche con la vita.