Lectio divina su Gv 6,51-58
Invocare
Dio fedele, che nutri il tuo popolo con amore di Padre, ravviva in noi il desiderio di te, fonte inesauribile di ogni bene: fa’ che, sostenuti dal sacramento del Corpo e Sangue di Cristo, compiamo il viaggio della nostra vita, fino ad entrare nella gioia dei santi, tuoi convitati alla mensa del regno. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Silenzio meditativo: Loda il Signore, Gerusalemme
Capire
Ci troviamo in Galilea e l’evangelista Giovanni presenta in modo drammatico il tema del pane della vita, identificato con la persona del Cristo (cap. 6).
Questo capitolo riporta fondamentalmente il discorso di Cafarnao (Gv 6,22-59), preceduto dal duplice segno dei pani moltiplicati e della traversata del mare (Gv 6,1-21) e seguito dalla descrizione dell’opposta reazione dei discepoli al discorso sul pane celeste (Gv 6,60-71).
Il vangelo di Giovanni non ha l’istituzione dell’Eucaristia nel contesto dell’ultima cena; al posto dell’istituzione dell’Eucaristia Giovanni ha la lavanda dei piedi, mentre fa il discorso sull’Eucaristia qui, al cap. 6, immediatamente dopo la condivisione dei pani.
L’intento dell’autore è chiaro: Giovanni, essendo l’ultimo degli evangelisti, in ordine cronologico, aveva già intuito che nelle liturgie vi poteva essere una sorta di ritualismo o la tentazione di considerare le liturgie come un’azione magica. Giovanni vuole chiaramente opporsi alla “spiritualizzazione” dell’Eucaristia.
In questo brano Gesù si propone ‘pane vivo, disceso dal cielo’. L’allusione è forte e chiara alla manna di cui il Signore nutrì il popolo d’Israele nel deserto, durante il cammino verso la terra promessa. La manna era anche il segno inequivocabile dell’amore provvidente e fedele di Dio, che non abbandona il suo popolo, lo mantiene in vita e lo conduce verso una vita sempre più piena.
Meditare
Questo capitolo riporta fondamentalmente il discorso di Cafarnao (Gv 6,22-59), preceduto dal duplice segno dei pani moltiplicati e della traversata del mare (Gv 6,1-21) e seguito dalla descrizione dell’opposta reazione dei discepoli al discorso sul pane celeste (Gv 6,60-71).
Il vangelo di Giovanni non ha l’istituzione dell’Eucaristia nel contesto dell’ultima cena; al posto dell’istituzione dell’Eucaristia Giovanni ha la lavanda dei piedi, mentre fa il discorso sull’Eucaristia qui, al cap. 6, immediatamente dopo la condivisione dei pani.
L’intento dell’autore è chiaro: Giovanni, essendo l’ultimo degli evangelisti, in ordine cronologico, aveva già intuito che nelle liturgie vi poteva essere una sorta di ritualismo o la tentazione di considerare le liturgie come un’azione magica. Giovanni vuole chiaramente opporsi alla “spiritualizzazione” dell’Eucaristia.
In questo brano Gesù si propone ‘pane vivo, disceso dal cielo’. L’allusione è forte e chiara alla manna di cui il Signore nutrì il popolo d’Israele nel deserto, durante il cammino verso la terra promessa. La manna era anche il segno inequivocabile dell’amore provvidente e fedele di Dio, che non abbandona il suo popolo, lo mantiene in vita e lo conduce verso una vita sempre più piena.
Meditare
v. 51: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
Qui Gesù si esprime e si identifica nel segno del pane. Non solo, Egli afferma che è la sua stessa carne che deve essere mangiata perché possa comunicare la vita eterna. Nel versetto troviamo due aspetti: l’origine celeste e la dimensione salvifica. Una risposta chiara preparata da affermazioni precedenti (cfr. vv. 27.32.35.48).
e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo
In queste parole abbiamo un richiamo all’offerta sacrificale di Gesù sulla croce e quindi, poi, l’Eucaristia. Gesù divenne pane che dà la vita al mondo, agli uomini perché si è immolato sulla croce. Il pane è Gesù, ma il pane, qui, è Gesù sacrificato, glorificato e risorto. Gesù sottolinea una comunione con la sua morte salvifica per poter avere la vita eterna.
Nel linguaggio biblico la “carne” non è altro che la persona umana, vista però in tutta la sua limitatezza e fragilità. Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, è il Verbo fattosi carne (cfr. 1,14), e ora dà la sua carne in cibo all’umanità. In questa frase il verbo “dare” e la particella “per” (hyper, in favore di) richiamano il dono di sé che il Servo di JHWH fa per riportare il suo popolo a Dio (cfr. Is 53,10-11 nella traduzione dei LXX); di conseguenza, nel linguaggio della chiesa primitiva (cfr. Gal 1,4) e dello stesso Giovanni (cfr. Gv 3,16), questi termini indicano la morte di Gesù in croce, il cui scopo è quello di mettere la vita eterna a disposizione del mondo, cioè di tutta l’umanità.
Qui Gesù si esprime e si identifica nel segno del pane. Non solo, Egli afferma che è la sua stessa carne che deve essere mangiata perché possa comunicare la vita eterna. Nel versetto troviamo due aspetti: l’origine celeste e la dimensione salvifica. Una risposta chiara preparata da affermazioni precedenti (cfr. vv. 27.32.35.48).
e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo
In queste parole abbiamo un richiamo all’offerta sacrificale di Gesù sulla croce e quindi, poi, l’Eucaristia. Gesù divenne pane che dà la vita al mondo, agli uomini perché si è immolato sulla croce. Il pane è Gesù, ma il pane, qui, è Gesù sacrificato, glorificato e risorto. Gesù sottolinea una comunione con la sua morte salvifica per poter avere la vita eterna.
Nel linguaggio biblico la “carne” non è altro che la persona umana, vista però in tutta la sua limitatezza e fragilità. Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, è il Verbo fattosi carne (cfr. 1,14), e ora dà la sua carne in cibo all’umanità. In questa frase il verbo “dare” e la particella “per” (hyper, in favore di) richiamano il dono di sé che il Servo di JHWH fa per riportare il suo popolo a Dio (cfr. Is 53,10-11 nella traduzione dei LXX); di conseguenza, nel linguaggio della chiesa primitiva (cfr. Gal 1,4) e dello stesso Giovanni (cfr. Gv 3,16), questi termini indicano la morte di Gesù in croce, il cui scopo è quello di mettere la vita eterna a disposizione del mondo, cioè di tutta l’umanità.
Attraverso l’esperienza ecclesiale eucaristica l’incarnazione continua nel tempo; la carne sacrificata del Verbo si fa pane nutriente e comunica la vita del Cristo glorificato.
v. 52: Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?»
Siamo davanti a un dramma di un pensiero che si blocca alla soglia del tangibile e non osa varcare il velo del mistero, non va oltre l’orizzonte.
Siamo davanti a un dramma di un pensiero che si blocca alla soglia del tangibile e non osa varcare il velo del mistero, non va oltre l’orizzonte.
I Giudei obiettano in modo violento (emàchonto), e la loro obiezione pone Gesù nella possibilità di rivelarsi. Qui l’obiezione riguarda il come; per Gesù la prospettiva non è quella del come, ma è quella della assimilazione della condizione di Lui in quanto figlio dell’uomo. Ora, noi sappiamo che per gli ebrei la celebrazione della Pasqua non era soltanto il ricordo di un evento passato, ma anche una sua riattualizzazione, nel senso cioè che Dio era disposto ad offrire di nuovo al suo popolo la salvezza di cui, nelle mutate circostanze storiche, aveva bisogno. In questa maniera il passato faceva irruzione nel presente, lievitando della sua forza salvifica. Allo stesso modo il sacrificio eucaristico “potrà” dare nei secoli “carne da mangiare”.
L’Eucaristia dice la verità dell’incarnazione e dice il mistero stesso di Dio. Dio si comunica tutto nel mistero dell’Eucaristia. La sua definitiva comunione con noi avviene lì.
v. 53: Gesù disse loro: In verità, in verità io vi dico
Gesù non discute, afferma. E’ il tempo di dare giusta risposta. In questo versetto non si nominano le specie del pane e del vino, ma direttamente ciò che in esse è significato: carne da mangiare perché Cristo è presenza che nutre la vita e sangue da bere – azione sacrilega per i giudei – perché Cristo è agnello immolato. È evidente qui il carattere liturgico sacramentale: Gesù insiste sulla realtà della carne e del sangue riferendosi alla sua morte, perché nell’immolazione delle vittime sacrificali la carne veniva separata dal sangue.
se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita.
“Mangiare e bere” sono due azioni in movimento che esprimono e realizzano l’accoglienza, realizzano l’assimilazione. “Mangio e bevo”, vuole dire: accolgo dentro di me un nutrimento e una bevanda, e li assimilo, e diventano parte di me. Allo stesso modo, “la carne e il sangue di Gesù” contengono la vita, perché sono “sangue e carne per”, perché sono state trasformate da un amore oblativo. Facendo questo, accolgo dentro di me quella vita trasformata in amore, che è la vita del Signore; accolgo la forma del Signore dentro di me; assimilo la vita del Signore trasformata in amore; accolgo, mi lascio formare dentro secondo la forma della vita di Gesù.
Gesù non discute, afferma. E’ il tempo di dare giusta risposta. In questo versetto non si nominano le specie del pane e del vino, ma direttamente ciò che in esse è significato: carne da mangiare perché Cristo è presenza che nutre la vita e sangue da bere – azione sacrilega per i giudei – perché Cristo è agnello immolato. È evidente qui il carattere liturgico sacramentale: Gesù insiste sulla realtà della carne e del sangue riferendosi alla sua morte, perché nell’immolazione delle vittime sacrificali la carne veniva separata dal sangue.
se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita.
“Mangiare e bere” sono due azioni in movimento che esprimono e realizzano l’accoglienza, realizzano l’assimilazione. “Mangio e bevo”, vuole dire: accolgo dentro di me un nutrimento e una bevanda, e li assimilo, e diventano parte di me. Allo stesso modo, “la carne e il sangue di Gesù” contengono la vita, perché sono “sangue e carne per”, perché sono state trasformate da un amore oblativo. Facendo questo, accolgo dentro di me quella vita trasformata in amore, che è la vita del Signore; accolgo la forma del Signore dentro di me; assimilo la vita del Signore trasformata in amore; accolgo, mi lascio formare dentro secondo la forma della vita di Gesù.
vv. 54-55: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
In questi versetti vengono utilizzate “parole nuove” di difficile comprensione. Mangiare la carne e bere il sangue in ebraico letteralmente vuol significare “fare del male a un nemico”. Qui nasce la provocazione e l’incomprensione.
Gesù rivela una nuova Pasqua da vivere: la sua risurrezione (Gv 19,31-37), che trova nell’eucaristia il nuovo memoriale, simbolo di un Pane di vita che sostiene nel cammino del deserto della vita, sacrificio e presenza che sostiene il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, che non si stancherà di fare memoria come Lui ha detto (Lc 22,19; 1Cor 11,24), offrendo l’eucaristia della propria corporeità: sacrificio vivente, santo e gradito in un culto spirituale (Rm 12,1) che si addice al popolo di sua conquista, stirpe eletta, sacerdozio regale (cfr. 1Pt 2,9).
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Il testo greco riporta alethes = vero , verace; questo aggettivo è diverso da alethinos; il quale (specialmente con l’articolo) indica il solo vero, il solo degno di questo nome. L’evangelista sottolinea vigorosamente, con tutti i mezzi a sua disposizione, che si tratta di cibo vero, non immaginario!
L’alimento della carne e del sangue di Cristo nutre veramente e in modo perfetto e definitivo, perché è fonte di risurrezione e di vita eterna.
Il “veramente” riprende il v. 35: chi ascolta il Pane della Parola disceso dal cielo e lo accetta nella fede, non avrà più fame né sete.
In questi versetti vengono utilizzate “parole nuove” di difficile comprensione. Mangiare la carne e bere il sangue in ebraico letteralmente vuol significare “fare del male a un nemico”. Qui nasce la provocazione e l’incomprensione.
Gesù rivela una nuova Pasqua da vivere: la sua risurrezione (Gv 19,31-37), che trova nell’eucaristia il nuovo memoriale, simbolo di un Pane di vita che sostiene nel cammino del deserto della vita, sacrificio e presenza che sostiene il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, che non si stancherà di fare memoria come Lui ha detto (Lc 22,19; 1Cor 11,24), offrendo l’eucaristia della propria corporeità: sacrificio vivente, santo e gradito in un culto spirituale (Rm 12,1) che si addice al popolo di sua conquista, stirpe eletta, sacerdozio regale (cfr. 1Pt 2,9).
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Il testo greco riporta alethes = vero , verace; questo aggettivo è diverso da alethinos; il quale (specialmente con l’articolo) indica il solo vero, il solo degno di questo nome. L’evangelista sottolinea vigorosamente, con tutti i mezzi a sua disposizione, che si tratta di cibo vero, non immaginario!
L’alimento della carne e del sangue di Cristo nutre veramente e in modo perfetto e definitivo, perché è fonte di risurrezione e di vita eterna.
Il “veramente” riprende il v. 35: chi ascolta il Pane della Parola disceso dal cielo e lo accetta nella fede, non avrà più fame né sete.
v. 56: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.
Quest’affermazione di Gesù vuol dire che cibarsi dell’Eucaristia significa vivere il quotidiano profondamente uniti a Gesù, in una pienezza di vita dovuta al fatto che datore della vita è il Padre e Gesù, mandato dal Padre, si riceve da lui e vive continuamente di lui. Allo stesso modo chi si nutre di Gesù Eucaristia vive lui, vive e opera in funzione di lui.
Quello che l’Antico Testamento esprime con la formula dell’alleanza, Giovanni lo esprime nelle parole del mangiare e bere per dimorare con una formula di immanenza: “io in voi, voi in me”; “chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui”. È una formula che ha qualche cosa di profondamente legato all’alleanza, ma che va più in profondità: non solo uno per l’altro, ma uno nell’altro.
Gesù spiega una “inabitazione” reciproca, c’è una vita comune, un’esistenza comune. C’è un’unica vita tra tutte e due. Queste sono realtà. Non sono però realtà che possono cadere sotto i nostri sensi, quindi non possiamo spiegarle come spieghiamo le cose del mondo. È una dimora reciproca: implica una stessa vita che scorre nell’esistenza di noi e di Lui, Se beviamo e mangiamo, abbiamo la stessa vita.
Quest’affermazione di Gesù vuol dire che cibarsi dell’Eucaristia significa vivere il quotidiano profondamente uniti a Gesù, in una pienezza di vita dovuta al fatto che datore della vita è il Padre e Gesù, mandato dal Padre, si riceve da lui e vive continuamente di lui. Allo stesso modo chi si nutre di Gesù Eucaristia vive lui, vive e opera in funzione di lui.
Quello che l’Antico Testamento esprime con la formula dell’alleanza, Giovanni lo esprime nelle parole del mangiare e bere per dimorare con una formula di immanenza: “io in voi, voi in me”; “chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui”. È una formula che ha qualche cosa di profondamente legato all’alleanza, ma che va più in profondità: non solo uno per l’altro, ma uno nell’altro.
Gesù spiega una “inabitazione” reciproca, c’è una vita comune, un’esistenza comune. C’è un’unica vita tra tutte e due. Queste sono realtà. Non sono però realtà che possono cadere sotto i nostri sensi, quindi non possiamo spiegarle come spieghiamo le cose del mondo. È una dimora reciproca: implica una stessa vita che scorre nell’esistenza di noi e di Lui, Se beviamo e mangiamo, abbiamo la stessa vita.
Mediante il sacramento noi comunichiamo alla morte e alla risurrezione di Gesù. Quindi il masticare e il bere hanno, per volontà esplicita del Signore e per l’autorità che Gesù ha conferito a loro, la forza per darci la sua vita, per comunicarci la sua vita.
“Vivrà per me” non significa solo per la gloria del Figlio e quindi del Padre nello Spirito Santo. Vuol dire anche: vivrà a causa della mia divina potenza capace di trasformare la sua vita. “L’anima eucaristica non solo vive di Gesù Eucaristia, giornalmente alla sacra mensa, ma si studia di mantenere il suo pensiero e il suo affetto dinanzi al trono eucaristico: sempre! Ha anche cura di trasfondere le virtù dell’Ostia santa in tutti i suoi atti” (Beata Maria Candida dell’Eucaristia).
v. 57: Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
“Vivrà per me” non significa solo per la gloria del Figlio e quindi del Padre nello Spirito Santo. Vuol dire anche: vivrà a causa della mia divina potenza capace di trasformare la sua vita. “L’anima eucaristica non solo vive di Gesù Eucaristia, giornalmente alla sacra mensa, ma si studia di mantenere il suo pensiero e il suo affetto dinanzi al trono eucaristico: sempre! Ha anche cura di trasfondere le virtù dell’Ostia santa in tutti i suoi atti” (Beata Maria Candida dell’Eucaristia).
v. 57: Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Gesù spende la vita in obbedienza al Padre, la sua vita è missione, è obbedienza. Per Gesù vivere significa vivere per il Padre. Così deve essere per il cristiano. Vivere per il Padre va inteso “vivo in grazia del Padre, in virtù del Padre”; così “colui che mangia di me, vivrà per me”, cioè vivrà in virtù di me. Il discepolo è colui che vive del dono che Cristo ha fatto della sua vita, ha ricevuto la vita da questo. Quindi il discepolo non può vivere se non orientando la sua vita a Cristo, nell’obbedienza a Cristo; attraverso l’amore per gli altri non fa altro che dilatare all’infinito la medesima logica. E tutto va nella direzione dell’amore: amare è vivere nell’altro e attraverso l’altro. Amare è non avere una vita propria (si capisca bene), avere solo la vita che fluisce a me attraverso l’altro. E’ fortissimo questo, non per nulla il modello è la Trinità: il Figlio non ha niente di proprio, riceve la sua vita tutta dal Padre. Dunque: chi mangia questo pane avrà in sé la mia stessa vita, che non è altro che la stessa vita del Padre. Dal Padre la vita passa in Gesù, e da lui fluisce in chi mangia di lui nel pane eucaristico. È un’unica vita che tutti lega e circola in tutti.
Il Signore sembra non chiederci altro se non di rispondere al suo invito e gustare la dolcezza e la forza di questo pane che egli gratuitamente e abbondantemente continua a donarci. Per questo il pane che dà contiene la sua propria donazione, è il segno che l’esprime. Questo è pure quello che chiede al discepolo: deve considerare se stesso come pane che va distribuito e deve distribuire il pane come se distribuisse se stesso.
v. 58: Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono.
Con queste parole Gesù, riprendendo espressioni già usate precedentemente (cfr. vv. 31-33. 49-50), conclude e conferma di essere lui il pane disceso dal cielo, perché, diversamente dalla manna, dà una vita che dura eternamente.
Gesù qui mette il dito sulla piaga circa il fallimento dell’Esodo. La sua persona, donata sulla croce per la salvezza di tutta l’umanità e rappresentata nei segni eucaristici del pane e del vino, è dunque il nutrimento dei tempi escatologici, dal quale scaturisce la vita piena nella comunione con il Padre.
Lo scopo di questo nuovo dono di Dio è che l’uomo non muoia. Dio fa questo dono perché l’uomo ne mangi per non morire. Dovremmo chiederci se noi mangiamo l’Eucaristia per non morire, o, anche, se nel nostro spirito è chiaro, con l’atto della fede, che io mangio per non morire, per avere la vita eterna. Perché è decisivo, per la vita eterna, che io mangi con fede.
Chi mangia questo pane vivrà in eterno
Con queste parole Gesù, riprendendo espressioni già usate precedentemente (cfr. vv. 31-33. 49-50), conclude e conferma di essere lui il pane disceso dal cielo, perché, diversamente dalla manna, dà una vita che dura eternamente.
Gesù qui mette il dito sulla piaga circa il fallimento dell’Esodo. La sua persona, donata sulla croce per la salvezza di tutta l’umanità e rappresentata nei segni eucaristici del pane e del vino, è dunque il nutrimento dei tempi escatologici, dal quale scaturisce la vita piena nella comunione con il Padre.
Lo scopo di questo nuovo dono di Dio è che l’uomo non muoia. Dio fa questo dono perché l’uomo ne mangi per non morire. Dovremmo chiederci se noi mangiamo l’Eucaristia per non morire, o, anche, se nel nostro spirito è chiaro, con l’atto della fede, che io mangio per non morire, per avere la vita eterna. Perché è decisivo, per la vita eterna, che io mangi con fede.
Chi mangia questo pane vivrà in eterno
Viene ripreso nuovamente questo verbo: mangiare. Ma se prima l’avevamo in senso figurativo-spirituale, adesso lo vediamo nel suo senso letterale che significa: “stritolare”, “lacerare”… “masticare”. Allora è chiaro: Gesù vuole che lo si “mastichi”, che lo si consumi nel senso più “crudo” della parola!
Gesù garantisce che chi si avvale del nutrimento eucaristico avrà in sé la vita e la salvezza per tutta la vita terrena e un pegno glorioso di eternità. Nell’ Eucaristia Cristo, il Verbo fatto carne che aveva creato il mondo assieme al Padre e allo Spirito (Gv 1, 1-20; Gen 1) realizza la propria comunione con noi, e con essa ci sostiene nelle vicende della vita. L’Eucarestia è quindi comunione con Dio e con il prossimo ed è per noi il Sacramento per eccellenza che sprona e motiva tutte le nostre attività e il nostro agire offrendo rinnovato vigore e slancio vitale incondizionato.
La Parola illumina la vita
Riconosco in Gesù la divinità e il suo darsi per me?
Obietto come i Giudei o cerco di assimilare Cristo Gesù nella mia vita?
Preferisco essere nella morte o nella vita eterna?
Preferisco essere nella morte o nella vita eterna?
Quanto è importante l’Eucarestia per me? Fino al punto di divenire pane per l’altro?
Verifico la mia Eucarestia in riferimento a Cristo?
Verifico la mia Eucarestia in riferimento a Cristo?
Pregare
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi. (Salmo 147).
Contemplare-agire
Testimoniamo con la nostra vita la gioia e l’entusiasmo che Cristo ha comunicato di se stesso a noi; giacché il “pane eucaristico” non va’ solo consumato ma “comunicato” agli altri attraverso una vita esemplare e gioiosa per la quale anche chi non crede possa restare attratto.