Lectio divina su Gv 4,5-42



Invocare

O Dio, sorgente della vita, tu offri all’umanità riarsa dalla sete l’acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo salvatore; concedi al tuo popolo il dono dello Spirito, perché sappia professare con forza la sua fede, e annunzi con gioia le meraviglie del tuo amore.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
5 Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7 Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8 I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9 Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10 Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11 Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13 Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15 «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16 Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17 Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18 Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19 Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20 I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21 Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25 Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26 Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28 La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29 «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30 Uscirono dalla città e andavano da lui.
31 Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32 Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33 E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34 Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35 Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36 Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37 In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38 Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41 Molti di più credettero per la sua parola 42 e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Silenzio meditativo: Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore.
Capire
Ci viene messo alla nostra meditazione uno dei brani dai dialoghi più lunghi. “Si tratta di uno dei diversi dialoghi che Gesù vive in modo solitario, esclusivo, con un interlocutore privilegiato, ma qui la particolarità è che ci troviamo di fronte ad una donna, e presso il pozzo di Giacobbe, che resta nell’immaginario biblico come il luogo del colpo di fulmine di Giacobbe per Rachele (Gen 29)” (Francesco vannini). 
In questo grande dialogo c’è l’intenzione di Dio, che è Gesù, di recuperare la sposa adultera. I versetti precedenti (3 e 4) si legge che “Gesù lasciò la Giudea, si diresse di nuovo verso la Galilea” e, scrive l’evangelista, “doveva perciò attraversare la Samaria”.
Questo “doveva attraversare la Samaria”, non si deve a un itinerario geografico. Normalmente dalla Giudea alla Galilea si percorreva la più comoda e tranquilla vallata del Giordano, perché, essendoci inimicizia tra galilei, giudei e samaritani, attraversando quella regione significare andare incontro a guai. E spesso ci si lasciava la pelle.

Allora questo “dover” da parte di Gesù “attraversare la Samaria”, non si deve a motivi di itinerario, ma a motivi teologici.
Il brano si presenta con delle tappe ideali e graduali che portano alla conoscenza del Signore Gesù.
Meditare
vv. 5-6: Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno.
Il brano inizia con una sua indicazione topografica. La città della Samaria di cui si parla è probabilmente l’attuale Askar, ai piedi del monte Ebal; aveva preso il posto di Sichem, distrutta nel 128 e nel 107 a.C. e ricostruita poi dopo il 72 d.C. con il nome di Flavia Neapolis, oggi Nablus. Sia all’evangelista che a noi, non importa il particolare della città ma il luogo legato al patriarca Giacobbe.  
Gesù attraversa la Samaria rischiando gli insulti (cfr. 8,48). La Samaria era il luogo degli eretici, disprezzata dai giudei. L’amore però spinge Gesù oltre, a superare anche questi ostacoli.
Nel brano Gesù viene descritto stanco. E’ la prima volta e l’ultima che si parla della stanchezza di Gesù, non uguale di quella riscontrata negli uomini (cfr. Mt 11,28; Lc 5,5). San Paolo parlerà  di stanchezza in riferimento al ministero apostolico (cfr. Rm 16,6.12; 1 Cor 4,12; 15,10; Gal 4,11; etc.).
Gesù, affaticato presso il pozzo di Giacobbe, è il prototipo e l’esemplare dei missionari evangelici.
Il pozzo è un ‘immagine biblica molto importante. È soprattutto il luogo dove nascono gli amori: pensiamo a Giacobbe e Rebecca (Gen 24). Inoltre nella tradizione e nelle leggende giudaiche il pozzo è sorgente d’acqua che assicura l’esistenza.
L’evangelista Giovanni ha cura di presentare l’ora. Si presume che sia stato presente in quegli orari. L’ora sesta, però, richiama a quel Gesù affaticato che sarà proclamato Salvatore del mondore e che sull’albero della croce  sarà definito dei giudei
vv. 7-8: Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.
Si ripete una scena nota nella Bibbia (cfr. Gen 24,1 lss; Gen 29,lss; Es 2,15ss; Ez 47; Zc 14,8). Gesù è lì, seduto presso l’antica sorgente. Egli è la nuova sorgente che si sostituisce alla legge e al tempio.
La donna rappresenta il suo popolo, i samaritani che hanno sete di qualcosa e vengono al pozzo del loro padre Giacobbe. Sarà la donna stessa a rivelare questa attesa del suo popolo: “Verrà il Messia che ci rivelerà tutto” (v. 25). 
La scena che si impronta è simile all’esperienza di Mosè (Es 2,15ss). Il versetto è intriso da un imperativo. Nessuno si abbassava a tanto e per di più con una donna samaritana.
Gesù si presenta come un mendicante, manifesta la sete come un qualunque uomo che vuole assicurarsi la vita e si rivolge a colei che può esaudire la sua richiesta.
Gesù, nuovo Israele, sperimenta la sete del popolo, la sete che non è solo materiale, ma è sete della parola di Dio, come ne hanno parlato i profeti (Am 8,11).
Gesù solo al pozzo con la samaritana è indice che è Lui che semina la fede nel cuore della samaritana e poi dei suoi compaesani.
v. 9: Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù solo al pozzo si abbassa al livello della donna, si mette alla pari. Questo sorprende un po’ tutti compreso la donna.
Gesù infatti, come ci spiega Giovanni, rivolgendo la parola alla samaritana, è colui che non rispetta le barriere umane e consacrate dal costume e dall’uso, che creano differenze a aprono abissi invalicabili, ma vede tutti, uomini e donne, creature di Dio, a cui bisogna far giungere la salvezza.
v. 10: Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
Il dialogo tra Gesù e la donna è particolare, misterioso. Gesù non parla della semplice acqua ma, insinuando il mistero della sua persona, parla dell’acqua viva.
Il discorso qui segue una struttura chiasmatica (saltiamo).
Il problema non è sull’essere acqua viva, anche il pozzo di Giacobbe dava acqua viva, ma la rivelazione del mistero. Infatti i verbi sono messi al presente e alla fine la terza persona singolare condizionale presente (indicazione progressiva della rivelazione).
“Se tu conoscessi il dono di Dio”. La donna non comprende (nel Vangelo di Giovanni spessissimo gli interlocutori non comprendono), perché intende le parole di Gesù in modo carnale, mentre le parole di Gesù vanno più in profondità, hanno un significato che va oltre.
vv. 11-12: Gli dice la donna: Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva?
La donna partendo dall’ultimo elemento replica. Ella però si ferma all’acqua viva, cioé alla sorgente d’acqua fresca. Salta, come se non l’avesse colto, l’elemento più importante: se tu conoscessi il dono di Dio… Però quel suo “da dove” ha un significato molto importante nel vangelo di Giovanni, connesso al mistero di Gesù stesso. Inoltre il lettore sa bene da dove egli trarrà quest’acqua viva, cioè dal suo costato trafitto (Gv 19,34).
Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?.
La samaritana chiede a Gesù se è più grande di Giacobbe. I giudei faranno una domanda analoga: sei più grande di Abramo? (8,53-56) e altrove egli viene messo in contrapposizione con Mosè (6,32). E’ un tema ricorrente in Giovanni, che sottolinea la superiorità di Gesù rispetto ai padri del popolo eletto, senza con ciò sminuire la loro importanza nella storia della salvezza.
vv. 13-14: Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».
Gesù non risponde direttamente alla donna, bensì decanta le qualità della sua acqua. Gesù realizza un identificazione di sé con il pozzo: è lui il “dono di Dio”. Egli si pone sull’elemento dell’avere ancora sete e del non avere più sete. 
Allo stesso modo contrapporrà la manna al pane che egli darà (6,49ss). Se quest’acqua toglierà per sempre la sete egli è davvero più grande del patriarca Giacobbe. C’era un’acqua promessa da Ezechiele che avrebbe purificato i cuori (Ez 36,25-27), questa è un’acqua ancora più significativa: zampilla per la vita eterna. Rappresenta un modo nuovo e permanente di esistenza. L’acqua diventa vita eterna, sale e sgorga di continuo, simbolo della vita dell’uomo che dipende da Dio. Ancora un testo samaritano identificava l’acqua e la Legge. L’acqua pura di Ez 36 è lo Spirito, che si identificherà con la legge interiore, perché è lo Spirito che renderà possibile l’obbedienza alla Torah.
v. 15: «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».
In poche battute Gesù ha provocato una retro marcia. Ora è la donna che ha sete e non lui. La domanda della samaritana è ancora legata alla sua esperienza materiale, l’acqua quotidiana, quasi quasi la chiede così risolve tutti i suoi problemi. L’uomo quando incontra il divino vorrebbe piegarlo ai suoi bisogni.
Dio però chiama ad andare oltre, a scendere nelle profondità della propria sete che può essere colmata solo da Gesù. Si ritorna qui all’espressione iniziale di Gesù: “Se tu conoscessi il dono di Dio”.
La donna è invitata a risalire dal pozzo a Dio stesso, al Dio che ama e che dona.  
vv. 16-18: Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Si cambia discorso. Adesso Gesù tocca il personale, qualcosa che riguarda la donna. Usa due imperativi, che fanno riflettere in profondità la donna.
Il discorso contiene delle incongruenze: secondo la legge si potevano contrarre al massimo tre matrimoni.
Qui i cinque mariti sono in riferimento ai cinque idoli introdotti in Samaria dopo la conquista assira del 721. La samaritana con i suoi cinque mariti, e il sesto che non è suo marito, sarebbe l’allegoria della Samaria che viene esortata da Gesù a chiamare JHWH come suo vero marito, come suo vero Dio.
Qui ritorna il concetto di Dio che cerca la sua sposa. La donna, il popolo è la vera risposta alla sua sete più profonda.
vv. 19-20: Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
La donna dalle parole di Gesù riconosce che in Gesù c’è una novità, riconosce la sua qualità profetica. Il discorso si ripete: l’uomo piega Dio alle proprie attenzioni. Infatti, Ella le sottopone un problema che le stava a cuore: il luogo su cui adorare il Signore (sul monte Garizim cfr. Dt 11,29; Gn 28,17). 
Essi avevano continuato a venerare il Signore in questo luogo anche dopo l’unificazione del culto a Gerusalemme. Vi era una domanda in sospeso nel popolo di Samaria, quella sulla validità del proprio culto e questa domanda avrebbe trovato risposta nel Messia che anch’essi attendevano.
vv. 21-22: Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Gesù sottolinea ciò che sta per dire con un solenne “credimi”. Si rivolge alla samaritana chiamandola con l’appellativo di “donna”, che significa “sposa, moglie” che nel vangelo di Giovanni rappresentano in qualche modo le spose di Dio (senza interpretazioni browniane).
Qui Gesù si rivolge alla donna adultera, la sposa adultera, che lo sposo va a riconquistare non attraverso delle minacce o dei castighi, ma con un’offerta ancora più grande di amore. 
La rivelazione è molto importante, e viene espressa con un crescendo (viene l’ora… l’ora è adesso). Cambia la qualità del credere: nè Garizim, nè Gerusalemme. Non si abolirà il culto, ma esso verrà realizzato essenzialmente attraverso la lode.
I samaritani non lo sanno, la salvezza verrà dai giudei. E’ il popolo di Giuda che è il destinatario del disegno di salvezza di Dio, il Salvatore è nato da questo popolo.
vv. 23-30: Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».
In questi versetti è contenuta la rivelazione. Viene l’ora, è adesso, con la presenza di Gesù stesso, che si compie l’attesa sostenuta dai profeti. E’ già giunta l’ora in cui adorare il Padre da veri adoratori. Qui non ci si ferma più a un popolo in particolare, ma a tutti coloro che sapranno adorare il Padre in questa nuova dimensione. 
“Il Padre cerca…”. “Zetein” vuol dire proprio “cercare”, “cercare appassionatamente”. Non è solo l’uomo che cerca Dio, ma è anche questo Padre che cerca veri adoratori, uomini veri, che sanno adorare, Gesù è molto chiaro: il luogo dell’adorazione non è né qui né là, ma è qualcosa d’altro, qualcun Altro: lo Spirito e la Verità. 
In Spirito significa proprio alla presenza dello Spirito che ha rigenerato il credente nel battesimo. In Verità si riferisce alla rivelazione portata da Gesù: l’adorazione del Padre richiede l’aver accolto il Verbo, aver riconosciuto Gesù come il Figlio di Dio. L’acqua viva si riaggancia all’adorazione poiché è simbolo della rivelazione di Gesù.
Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 
Un dialogo particolare sul Messia. Viene utilizzato il verbo “erkhetai”, lo stesso che viene usato per il Messia che deve venire. I samaritani attendevano l’arrivo di qualcuno che doveva tornare. Forse era lo stesso Messia che attendevano i giudei o un profeta che avrebbe rivelato gli ultimi segreti divini (cfr. Es 20,21b, Dt 18,15).
Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
Gesù si manifesta apertamente. Qui troviamo per la prima volta in Giovanni il nome di Dio appare attribuito al Cristo. A nessuno mai si è rivelato in questo modo, se non alla samaritana. Egli risponde all’attesa di questa donna.
Dio si rivela: “Sono Io”. Qui richiama la stessa rivelazione biblica. Ciò vuol dire che Gesù è il Messia ma non nel senso di quello che si attendeva. Egli è la rivelazione della presenza di Dio

Dopo che Gesù le ha detto di essere il Messia lui e la donna non si parlano più. Ormai è stato detto tutto quello che c’era da dire tra di loro.
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?».
Qui troviamo la seconda meraviglia dei discepoli: parlare con una donna e per di più samaritana. La prima riguardava l’attraversare la Samaria. I discepoli non ardiscono però chiedergli nulla.
La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente
Alla rivelazione di Gesù come Messia la samaritana non professa la sua fede, però va subito in città a dire agli altri di aver incontrato una persona speciale. 
Un particolare emerge: la donna lascia la brocca. Perché? Non tanto per la fretta, come è stato interpretato da Origene e da altri autori antichi. La brocca era un oggetto di interesse, adesso ha perso come valore, e non perché le cose di prima fossero inutili o cattive, ma perché ha incontrato qualcosa di più bello, di più significativo, che fa impallidire e ridimensionare ciò che prima riteneva importantissimo. Lasciare la brocca è sinonimo di rompere con il passato. E’ sinonimo dell‘incontro con Dio.
«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?».
La samaritana assume lo stesso atteggiamento dei primi discepoli quando, dopo aver incontrato Gesù, andarono a riferirlo agli altri (Simone, Filippo, Natanaele, Gv 1,41.45). La donna va dalla sua gente per annunciare l’accaduto.
Questo viene portato come indice della conoscenza di Gesù delle cose. La donna non dice apertamente che si tratta del Messia. Lo insinua velatamente. Saranno i suoi compaesani a fare l’esperienza diretta di Gesù e della verità della sua parola.
La samaritana diventa soggetto di ascolto della parola e di annuncio (Gv 4,28-30) di Gesù profeta (Gv 4,19) e Messia (Gv 4,25-26).
Uscirono dalla città e andavano da lui.
I samaritani credono alla parola della donna e vanno incontro a Gesù. E’ il nuovo esodo che darà noia alle autorità religiose. 
La testimonianza della donna è feconda, produce la fede. Qui la fede si presenta come cammino che si fa incontro. Anche loro lasciano il passato, simboleggiato dalla loro stessa città, per recarsi in una realtà del tutto nuova, dove troveranno pienezza di vita, il dono di Dio.
Questo versetto si mette a confronto con l’atteggiamento dei discepoli (il prossimo versetto) che sono più intenti ai bisogni primari che di conoscere l’essenzialità del compiere la volontà del Padre.
vv. 31-34: Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.
I discepoli assumono un atteggiamento disinteressato. Lo indirizzano verso una realtà materiale. Infatti, essi sono fermi alle proprie cose, alle proprie realtà.
Per loro, la venuta del Messia riguarda solo la restaurazione del popolo di Israele (Gv 1,41.49); è questa mentalità, paragonata al cibo di cui nutrirsi, che i discepoli vogliono condividere con Gesù. 
Gesù ha un solo nutrimento: la sua unione con il Padre. Il suo cibo è fare la volontà di colui che lo ha mandato e portare a compimento la sua opera (Gv 4,34). 
Ritorna qui l’espressione “non conoscete” ripresa dal v. 22. Non solo la donna samaritana e il suo popolo ma anche i giudei non conoscono la novità di Gesù di Nazareth.
Ambi le parti non conoscono il volto di Dio. Non conoscono Dio amore. Ai discepoli, alla donna samaritana, al popolo che sono rimasti chiusi nella loro mentalità, l’invito è fare questo cammino di ricerca e di conoscenza.
v. 35: Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 
Anche qui la logica umana non coincide con quella di Gesù. Richiamando la Sacra Scrittura, Gesù realizza la promessa del profeta Amos dei tempi del Messia: “ecco, verranno giorni -oracolo del Signore- in cui chi ara si incontrerà con chi miete” (Am 9,13). 
Il discepolo è colui che ha uno sguardo missionario, a volgere lo sguardo sull’opera di Dio. Gesù fa qui della Samaria una nuova terra: dal rifiuto all’accoglienza, dall’odio all’amore. Non esiste gente che appartiene (Giudei) e gente che non appartiene (Samaritani). Tutti figli dell’unico Padre, pronti alla ricerca fattiva della sua volontà.
I campi sono pronti per essere mietuti. La missione è aperta!
v. 36: Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete.
Traspare in questo versetto l’amore di Gesù, il mietitore, per il suo popolo, per la sua sposa. Un richiamo alla dichiarazione d’amore del profeta Osea alla sua sposa: io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata, e a Non-popolo mio dirò: “Popolo mio”, ed egli mi dirà: “Dio mio” (Os 2,25). 
Il frutto di cui si parla è in relazione ai samaritani e a quanti rimangono estranei al disegno di Dio. Più avanti Gesù dirà: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (12,24).

vv. 37-38: In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
I versetti iniziano dalla Sacra Scrittura dove viene descritto che altri raccoglieranno il frutto delle promesse fatte da Dio a Israele (cfr. Dt 28,30; Mi 6,15; Am 5,11). 
Gesù afferma che li ha inviati (cfr. 17,18) per raccogliere là dove altri hanno seminato. Inizia la missione e la mietitura è già in corso.
Vi sarà un tempo in cui i discepoli raccoglieranno la messe seminata e coltivata con fatica. La fatica di cui si parla è la stessa che troviamo in Gesù nel v. 6. 
Anche i discepoli saranno mandati a seminare la parola di Dio, ma essa non viene da loro, viene da Gesù.
v. 39: Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto».  
Come nel racconto riguardante i primi discepoli (Gv 1,36-41), la conoscenza di Gesù si fa grazie alla testimonianza di chi l’ha già conosciuto. 
Questo versetto si riaggancia con la samaritana tornata al villaggio introducendo l’incontro di Gesù con i samaritani. Il verbo utilizzato è forte: la samaritana testimoniava, come Giovanni il Battista. La donna ha una funzione importante. Si arriva alla fede partendo da una testimonianza anche se è data da una donna senza alcuna autorità e addirittura appartenente a un gruppo scismatico. 
Qui troviamo la continuità dela fede della Chiesa e la sua trasmissione nel tempo. Ciò avviene in un incontro personale con Gesù. La testimonianza è solo un mezzo che porta l’uditore ad ascoltare la parola per approfondire la fede suscitata dalla testimonianza.
v. 40: E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni.
I samaritani qui rappresentano quelle messi bianche che attendono di essere mietute. I due giorni  di cui si parla sono il tempo in cui i Samaritani in cui è chiesto di dimostrare di stimare l’amore di Dio più di tutti gli amori.
vv. 41-42: Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
La testimonianza ti mette in ricerca, ti pone la domanda, non è legata alla testimonianza ma sull’esperienza personale. Infatti dalla ricerca scaturisce l’incontro. La risposta che si da è determinante, è tua e non c’è delega alcuna. 
Ascoltando Gesù, anche i samaritani comprendono che quest’uomo è molto più di ciò che essi speravano e lo definiscono “il Salvatore del mondo”. Di Lui i Samaritani testimoniano il carattere universale della sua missione, egli non è il salvatore di Israele, di una nazione, di una religione, ma di tutta l’umanità, anche se ha avuto inizio con l’esperienza dei giudei.

La Parola illumina la vita
Di che cosa ho sete? Dove vado a cercare acqua per calmare la mia sete?
Dell’acqua ne hai bisogno ogni giorno, mentre il tuo desiderio vero è di qualcosa che duri sempre. È di questo che sei alla ricerca?
Quanto conta nella mia vita l’appartenere a un popolo, a una tradizione? Come guardo gli “stranieri”?
Cos’è stato nella mia vita “il dono di Dio”, chi è per me Gesù Cristo?
Quali sono le persone che mi hanno annunciato Cristo, che mi hanno accompagnato fino ad aderire a Lui nella fede?
Pregare
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere». (Sal 94).
Contemplare-agire
Di fronte a Dio c’è posto solo per le domande, non per fare progetti noi o per piegare Dio ai nostri bisogni; devi metterti semplicemente davanti a Dio, sarà Lui a suscitare in te il bisogno che non avvertivi, quello nascosto.






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