Invocare
O Dio, Padre della vita e autore della risurrezione, davanti a te anche i morti vivono; fa’ che la parola del tuo Figlio, seminata nei nostri cuori, germogli e fruttifichi in ogni opera buona, perché in vita e in morte siamo confermati nella speranza della gloria. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
27 Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28 «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29 C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30 Allora la prese il secondo 31 e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32 Da ultimo morì anche la donna. 33 La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34 Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35 ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36 infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37 Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38 Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
Capire
Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno liturgico e alla festa di Cristo Re dell’universo. I vangeli riportano il tema della resurrezione e della fine dei tempi.
Il cap. 20 di Luca riunisce i conflitti che Gesù incontra a Gerusalemme. In 4,13 Satana abbandona Gesù fino al tempo opportuno; è giunto questo tempo, il momento decisivo in cui Satana (ossia, gli avversari) cercano di eliminare Gesù.
Il brano di oggi mostra il conflitto con i Sadducei, che non credevano nella resurrezione. Questi pongono a Gesù un caso particolare sulla verità di fede, per vedere cosa avrebbe risposto.
In Israele la fede nella risurrezione si formula esplicitamente piuttosto tardi. Non parte dal presupposto filosofico dell’immortalità dell’anima, ma dall’esperienza della promessa e della potenza di Dio. Il suo amore dura in eterno e non può venire meno neanche davanti alla morte; deve vincerla e farci risorgere per mantenere la sua fedeltà a noi.
Questa rivelazione, fondata nel Pentateuco, si sviluppa attraverso i profeti; la fede cristiana ha il suo inizio nella risurrezione di Gesù.
Meditare
v. 27: “Gli si avvicinarono alcuni sadducei”. I sadducei costituiscono un gruppo giudaico il cui nome deriva da Sadoc, un sacerdote del tempo di Salomone, i cui discendenti erano gli unici riconosciuti come sacerdoti legittimi (cfr. Ez 44,15). Questi nella persona del sommo sacerdote, assumeranno poi le parti principali nel processo di Cristo, astutamente tirati in ballo dai farisei con l’accusa fatta a Gesù di voler distruggere il tempio (Mt 26,61; Mc 14,85), nell’ambito del quale il sacerdozio dominava.Esso concentrava la propria azione nel tempio
In teologia erano conservatori: non accettavano la Tradizione orale e si sottomettevano letteralmente all’autorità del Pentateuco. Poiché i libri di Mosè non parlano di risurrezione, i sadducei la contestavano.
I sadducei si avvicinano a Gesù: nel contesto il loro intento è polemico. La questione di una risurrezione era di attualità. Bisognerà infatti aspettare il II sec. a.C. (con i fatti narrati nei libri dei Maccabei), perché nasca la fede in una risurrezione personale.
Gesù condivideva coi farisei e col popolo l’esistenza della risurrezione dei morti. Per questo motivo i sadducei si beffavano di lui, cercando di dimostrare, citando le Scritture, che la fede nella risurrezione è priva di senso. Ecco il motivo del v. 28 che riporta la leggere del levirato (matrimonio fra cognati, cfr. Dt 25,5-10).
vv. 28-29: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. L’espressione “Mosè ha scritto per noi” mostra che i sadducei considerano Mosè il mediatore tra Dio e il popolo, e che essi conoscono la validità attuale di tale prescrizione. Essi ricordano la legge del levirato (Dt 25,5-10). Il levirato ha come fine lo scopo di perpetuare il nome del defunto, ed evitare l’alienazione dei beni di famiglia. Non è un obbligo assoluto, salvo in Gen 38 (storia di Giuda e Tamar), sembra; un nuovo matrimonio è possibile fuori della famiglia del defunto (il più frequente) vedi Rut 1-4.
Da notare l’importanza e la validità riconosciuta ad una genealogia legale: il figlio nato viene giuridicamente considerato il figlio del defunto, non del padre carnale. I sadducei qui espongono un caso. Una storia raccontata in stile popolare. Alla fine, l’ansia umana diventa ansia divina quando Gesù afferma: e saranno figli di Dio, perché sono figli della risurrezione. In Dio e nell’uomo urge lo stesso bisogno di dare la vita, a figli da amare.
v. 33: “La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”. Nella logica dei sadducei basta prendere sul serio la legge del levirato per concludere che la risurrezione è impossibile e assurda: non c’è risurrezione dei morti.
Una tale conclusione presuppone tuttavia una visione piuttosto materiale dell’aldilà: la risurrezione consisterebbe in un ritorno alla vita terrena, in particolare le gioie, la fecondità e la fertilità, con un semplice aumento quantitativo. Ci sarà dunque anche un ritorno alla vita matrimoniale. Era un’opinione assai comune nel giudaismo, ed è anche il punto debole dell’argomentazione dei sadducei.
Il numero “sette»” indica una certa pienezza, una totalità (cfr. 1 Sam 2,5; Rt 4,15; Ger 15,9; interessante per talune analogie è il testo di Tb 3,11-15); ricordiamo qui la “settimana” che termina nel riposo domenicale.
La fede nella risurrezione non è frutto del mio bisogno di esistere oltre la morte, ma racconta il bisogno di Dio di dare vita, di custodire vite all’ombra delle sue ali.
vv. 34-35: “Gesù rispose loro: I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito”. La dura risposta di Gesù è un insegnamento che denuncia la visione materiale della vita futura. Egli si serve di una distinzione giudaica (questo mondo qua – quel mondo là) per mettere in contrasto due condizioni di vita: nel mondo presente, il matrimonio è necessario per la sopravvivenza dell’umanità, perché l’uomo è mortale. Nel mondo futuro invece tale realtà non servirà più perché l’uomo avrà raggiunto l’immortalità, ma non inutile l’amore. Perché amare è la pienezza dell’uomo e la pienezza di Dio. Saranno come angeli.
Gesù afferma che la condizione d’esistenza nella vita futura è radicalmente diversa da quella attuale: sarà una vita immortale presso Dio. I risorti, di conseguenza, non hanno più bisogno dell’attività sessuale in vista della procreazione. Un pensiero così elevato della vita di resurrezione è originale; il giudaismo concepiva con difficoltà un superamento della vita sessuale, anzi tendeva a sublimarne la fecondità. Quelli che saranno giudicati degni: qui si parla della sorte dei giusti.
Che significato dare alle parole “avere parte dell’altro mondo e alla risurrezione dei morti”? L’altro mondo e la risurrezione possono essere considerati due aspetti della stessa realtà, oppure possono affermare a una vita presso Dio subito dopo la morte e poi la risurrezione di tutti alla fine dei tempi.
v. 36: “infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”. Con questo versetto l’evangelista lega la fine dell’attività sessuale nell’aldilà con l’idea di immortalità e con l’affermazione dell’uguaglianza con gli angeli. L’immortalità (e non per esempio non avere il corpo) è dunque la caratteristica dell’essere come gli angeli: di qui la transitorietà del matrimonio. Il giudaismo non ignora il paragone tra gli eletti e gli angeli, stupisce che Gesù lo utilizzi nei confronti dei sadducei che non credevano nemmeno all’esistenza degli angeli.
“Infatti non possono più morire”. Con queste parole Luca ricorda che i salvati non solo sono simili agli angeli, ma sono veramente figli di Dio, introdotti nella vita divina, grazie alla risurrezione. Partecipando alla risurrezione di Cristo gli uomini entrano in comunione con la filiazione divina di Cristo stesso.
Nella tradizione cristiana questo testo ha qualche volta provocato una certa svalutazione del matrimonio e della sessualità; si tendeva a identificare la vita di risurrezione con uno stato «angelico». Ma l’essere come gli angeli non significa che la natura dell’uomo viene trasformata in quella angelica. L’uomo risorto non è «disumanizzato».
Ciò che il versetto vuole dimostrare è il superamento del rapporto sessuale nel futuro escatologico, visto che l’uomo sarà immortale. L’argomentazione è a servizio dell’affermazione della risurrezione come novità radicale e non come una ripresa migliorata della vita terrena.
La mascolinità e la femminilità non si esauriscono nel matrimonio e quindi nella funzione puramente procreativa, ma esistono in vista della comunione delle persone: quest’ultima realtà, già possibile sulla terra, raggiungerà perfetto compimento e dinamicità nella vita di risurrezione.
v. 37: “Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Nell’Esodo troviamo che il Signore si rivela a Mosè con queste parole: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” (Es 3,6). Con questo appellativo esprime la convinzione che i patriarchi sono ancora vivi al di là della morte. Sarebbe blasfemo pensare che Dio, l’eterno vivente e sorgente di ogni vita, sia «il Dio dei morti». Infatti, l’evangelista Luca la versetto seguente lo afferma dicendo: “tutti vivono per lui”.
Il Signore poi prosegue a rivelare a Mosè il nome divino: “Io-Sono”. La parola ebraica ehjeh, dalla radice Hei-Yod-Hei, usata per il nome divino in Es 3,14, significa Io sono colui che è; Io sono l’esistente. La radice può significare anche vita, esistenza. Per questo Gesù può concludere: Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui.
Riflettendo sulla morte di Gesù, nella lettera ai Romani, Paolo scrive: “Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6,10).
Possiamo dire che Gesù fa vedere ai Sadducei che la fedeltà di Dio sia per il suo popolo, sia per il singolo, non si basa né sull’esistenza o meno di un regno politico (nel caso della fedeltà di Dio al popolo), e neanche sull’avere o meno prosperità e discendenza in questa vita. La speranza del vero credente non risiede in queste cose del mondo, ma nel Dio vivente. Per questo i discepoli di Gesù sono chiamati a vivere come figli della risurrezione, cioè, figli della vita in Dio, come il loro Maestro e Signore, “essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna” (1Pt 1,23).
La risurrezione dei morti è strettamente legata al fatto che Dio non sia il Dio dei morti ma dei vivi. Dio vive: allora la vita e la risurrezione dei morti non è essenzialmente un ritorno alla vita, ma è una vita in Dio. La risurrezione dei morti non è la rianimazione di un corpo che se ne è andato, ma è la vita in Lui.
v. 38: “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. Luca è il solo a concludere la risposta di Gesù con questa frase che ci proietta verso il futuro. Si tratta di un’esplicitazione del pensiero di Cristo. Chi vive per sé, muore nell’egoismo. Chi vive per il Signore, partecipa già ora alla vita che ha vinto la morte: “è figlio di Dio”, “è figlio della risurrezione”. Gesù non volle dire di più circa questo mistero. Noi cristiani sappiamo che tutto questo dev’essere interpretato ora attraverso la Pasqua di Gesù. Per noi esiste la resurrezione, perché crediamo che Cristo è risuscitato.
“Laddove attecchisce il Vangelo e spunta un segno di amore, anche piccolo, sboccia la vita che non finisce. Per questo, nella professione di fede, noi diciamo “credo la vita eterna”, ossia la vita che non finisce, e non “credo nell’aldilà”. Il Paradiso possiamo viverlo sin da oggi” (Vincenzo Paglia).
Siamo il suo corpo in questo mondo e dobbiamo partecipare della sua sorte.
Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Il messaggio che Gesù ci offre sulla “vita del mondo che verrà” desta interesse dentro di me?
Mi sento “figlio di Dio”, “figlio della risurrezione”? Come vivo questa figliolanza? Nell’indifferenza, o nella speranza e nell’impegno a vivere più perfettamente l’amore, che sarà il contenuto della vita futura?
Pregare
Siamo stati creati per cose più grandi. Non siamo stati creati solo per attraversare questa vita senza uno scopo. E quello scopo più grande consiste nell’amare e nell’essere amati. Per questo vogliamo fare nostre le parole del Salmista e le innalziamo al Signore perché ci aiuti a dare senso alla nostra vita (Sal 16):
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.
Contemplare-agire
Lasciamo che la forza dello Spirito Santo entri nella nostra vita. Amiamo e lasciamoci amarenon solo in questa vita ma anche nell’altra e ripetiamo al nostro cuore “Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi”.