Invocare
O Dio, che hai promesso ai poveri e agli umili la gioia del tuo regno, fa’ che la Chiesa non i lasci sedurre dalle potenze del mondo, ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo, segua con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
1 Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3 «Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4 Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5 Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8 Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9 Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.
Silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.
Capire
Il vangelo delle Beatitudini costituisce la prima parte del “discorso della montagna”. Il monte è il luogo della rivelazione, sia per la trasfigurazione gloriosa di Gesù, sia per la sua parola; il monte ha inoltre un significato più specifico: esso vuol ricordarci il Sinai, il monte della promulgazione della legge e della conclusione dell’alleanza. Matteo propone Gesù come il nuovo Mosè e la sua parola è parola di vita, è legge nuova (“ma io vi dico..”) che non abolisce l’antica ma la porta a compimento.
Tutto il grande Discorso della Montagna traccia la via del discepolo sulle orme del Regno. Le Beatitudini ne costituiscono il punto di partenza sorprendente, “scandaloso”, ma anche consolante. Mentre noi ci chiediamo cosa dobbiamo fare, Gesù ci mostra in primo luogo ciò che fa Dio, ci invita ad aprire gli occhi, per contemplare il Regno dei cieli in arrivo e lasciarci sorprendere dalla sua venuta.
Possiamo leggere le beatitudini come impegni che ci sono chiesti, ma innanzitutto come elementi del ritratto spirituale di Gesù Cristo, di Gesù di Nazareth. È una lettura antica nella tradizione cristiana, perché risale perlomeno a Origene che dice: “Le beatitudini sono immagine di Gesù, altrettante icone della figura spirituale di Gesù”. Quindi, se uno vuole capire chi è Gesù può leggere tutto il Vangelo, può guardare il suo volto a partire da queste prospettive; quello che Gesù è stato, viene comunicato al credente perché a sua volta lo viva egli stesso. Dio ha preso l’iniziativa di instaurare il suo Regno: prima di agire, siamo chiamati ad accoglierlo.
Meditare
vv. 1-2: “Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro”. In questi versetti abbiamo un popolo di ascoltatori rappresentato dalla folla e dai discepoli. Il luogo è un monte da cui scende la Parola divina. Da quel luogo Gesù si mostra a tutti con il suo parlare e insegnare. Chi sono queste folle di cui si parla? L’evangelista Matteo vuole indicare una moltitudine potenziale dei discepoli, ai quali la chiesa è mandata in missione a portare l’insegnamento di Gesù (cfr Mt 28,19-29).
Anche il luogo, il monte, ha un suo significato. Il monte delle beatitudini è l’eco e la pienezza del monte Sinai; è il luogo della rivelazione divina (cfr. Es 3,1ss; 19,1ss; 1Re 18,20ss; 1Re 19,1ss; Mt 17,1-8; Mt 28,16).
Su questo monte Gesù si siede (è la posizione del maestro e la sua parola ha un timbro autorevole) e apre la sua bocca per insegnare. Il verbo «insegnare» (edidasken) in Matteo è usato esclusivamente in questo discorso, qui e in 7,29. L’evangelista usa questo termine “tecnico” per indicare che Gesù è l’interprete autorizzato della Parola di Dio contenuta nelle sacre scritture dell’A.T.
v. 3: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Questa prima beatitudine descrive l’atteggiamento fondamentale per accogliere il Regno, di come rapportarsi con Dio. Ce lo fa comprendere meglio la Bibbia interconfessionale: “Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio”, indicando così coloro che nella vita hanno imparato a contare solo su Dio.
“I poveri in spirito” sono le persone che davanti a Dio si collocano come dei mendicanti, dei bisognosi; che sanno di avere bisogno di Lui, di dipendere interamente da Lui.
Questa beatitudine possiamo definirla come un atteggiamento di fede che mette come primato della propria vita l’iniziativa di Dio e non le proprie capacità; non è l’affermazione di noi stessi, nemmeno come affermazione spirituale, ma è invece la disponibilità a ricevere la grazia e il dono di Dio.
v. 4: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”. Il versetto richiama Is 61,2-3, dove la missione del profeta è quella di confortare tutti coloro che piangono in Sion. A questi Gesù promette consolazione (cfr. Lc 2,25), anzi Egli stesso asciugherà le loro lacrime (cfr. Ap 7,17, che cita Is 25,8; Ap 21,4). I piangenti, sono anzitutto coloro che soffrono per gli ostacoli posti dal mondo all’adempimento della volontà divina di salvezza (cfr. Lc 4,16-22; Is 61,1-6); quindi un atteggiamento che l’uomo stesso sceglie davanti alla realtà della società e del mondo, dove Cristo, Dio, la giustizia di Dio e l’amore che viene da Cristo fanno la figura dei grandi assenti. Non è possibile per il discepolo gioire quando ci sono ingiustizie, oppressioni, falsità e ipocrisie e quando sembra che Dio sia escluso dalla convivenza umana e dai valori che la costruiscono.
v. 5: “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra”. Il versetto riprende il Salmo 37: «I miti invece possederanno la terra e godranno di una grande prosperità [pace]» (Sal 37,11). Il termine ebraico di “miti” è ‘anawìm. Questi non sono i timorosi, ma gli stessi poveri di spirito che accettano senza amarezza o rancore la loro condizione e trovano la forza nella serenità ed in una coraggiosa sopportazione (cfr. Sal 37,7-9.11.29.40).
Nel linguaggio e nel contesto evangelico, la terra significa la terra promessa. Però la parola “terra” significa ormai il Regno dei cieli, ovvero il nuovo modo di vivere, secondo lo Spirito di Dio, che Gesù annuncia e inaugura.
“La terra, che è sempre di Dio deve essere vissuta come un dono condiviso e amministrato nella giustizia e nella fraternità, dono di Dio ai popoli, da abitare senza violenza, in mitezza, in pace e ospitalità reciproca. Questo è l’unico modo per possederla con sicurezza e frutto, nella pace. Il violento non possiede davvero la terra, perché la sua minaccia ritorna su di lui e gli nega la sicurezza.
I miti non solo possono “ereditare” la terra, starvi sicuri senza far violenza, ma sono i soli in grado di trasmettere a loro volta in eredità la terra ricevuta.
v. 6: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”. La fame e la sete, nella Bibbia (Is 55,1-2; Sal 42,2-3), indicano la tendenza a Dio e la nostalgia di lui.
I due verbi, in senso metaforico, possono esprimere un forte desiderio di Dio e della sua Parola: «l’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente…» (Sal 42,3. Cfr. anche Sal 63,2; Am 8,11.
Matteo offre di questa beatitudine una lettura più spirituale rispetto a Luca; poiché la giustizia si identifica con la volontà di Dio, l’atteggiamento suggerito è quello del povero che attende il compimento delle promesse di Dio e nutrono piena fiducia e disponibilità al volere di Dio. Come la precedente anche questa beatitudine è citata nel Sal 37,29 (i giusti possederanno la terra).
Nel Discorso della Montagna fare la giustizia – fare la volontà del Padre (Mt 7,21) – fare queste mie parole (Mt 7,24), designano la stessa realtà, cioè l’agire umano necessario per entrare nel Regno dei cieli. Tale agire deve seguire le norme giuste (fare la giustizia), che sono determinate da Dio (fare la volontà del Padre) e che vengono autorevolmente comunicate da Gesù (fare queste mie parole). L’ultimo passo del Discorso della Montagna in cui si parla di «giustizia» è Mt 6,33: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta»: si oppone alla ricerca ansiosa del cibo, della bevanda e del vestito, la preoccupazione necessaria ed essenziale: il Regno di Dio! Il Regno di Dio dev’essere il bene più alto, mentre il giusto agire (la giustizia) costituisce la condizione indispensabile per l’ingresso in quel Regno.
v. 7: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”. Per la Bibbia “misericordioso” è una caratteristica specifica di Dio (Es 34,6; Dt 5,9s; Ger 32,18). I misericordiosi in greco fa hoi eleèmones cioè coloro che imitando Dio sanno comprendere e perdonare il prossimo secondo l’impegno evangelico che ripetiamo con la preghiera del Padre nostro (cfr. Mt 6,11-12.14-15).
Questa “misericordia” attribuita a Dio comprende il perdono delle mancanze, il perdono dei peccati, che a sua volta desidera – Dio – di vedere la misericordia praticata dagli uomini.
v. 8: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. Nella Bibbia il cuore non è solo il “luogo” dei sentimenti, ma è la sede dell’intelligenza, indica le decisioni, la vita. Lì ognuno ritrova se stesso e la propria identità, lì ogni persona decide di sé, nel suo rapporto con gli altri, col mondo e con Dio. Il cuore buono rende buono tutto l’uomo, il cuore cattivo lo rende cattivo.
Il mondo biblico dell’Antico Testamento traduce il termine “puro”, tutto ciò che è conforme a Dio, che appartiene alla sfera di Dio, che rende graditi a Dio, che è secondo la sua legge; quindi, il concetto di “puro” implica l’appartenenza a Dio.
L’espressione «cuore puro» non è né un riferimento alla purità sessuale-rituale né alla sincerità, ma caratterizza la limpidezza d’animo, le persone oneste la cui integrità morale si estende al loro essere interiore e le cui azioni sono coerenti con le intenzioni.
Il “cuore puro” è tutto quello che corrisponde alla parola di Dio: il cuore è puro quando è conforme alla volontà di Dio. La relazione personale è pura quando è accogliente nei confronti di Dio, quando non è chiusa. Il cuore è puro quando è libero da tendenze e da impulsi contrari a Dio, quando è interamente dedicato a lui, è pienamente conforme alla sua volontà: cuore puro significa cuore totalmente di Dio, conforme a lui. Il salmo 23 ci viene in aiuto “Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo?” e si risponde “Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronuncia menzogna” (Sal 23, 3-4b).
Il “vedere Dio” qui indica non l’azione dell’uomo ma la stessa azione di Dio che si mostra all’uomo. San Giovanni, nella sua prima lettera, dice a coloro che sono schietti e limpidi: “Chiunque ha questa speranza in sé, purifica se stesso, come egli è puro” (1 Gv 3, 3).
v. 9: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Insieme con quella dei misericordiosi, questa è l’unica beatitudine che non dice tanto come bisogna ”essere” (poveri, afflitti, miti, puri di cuore), quanto cosa si deve “fare”.
Il termine in greco significa coloro che lavorano per la pace, che “fanno pace”. Non tanto, però, nel senso che si riconciliano con i propri nemici, quanto nel senso che aiutano i nemici a riconciliarsi. “Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi” (Dupont)
“I portatori di pace” non sono dunque gli amanti del quieto vivere ma gli attivi operatori di pace, che agiscono come Dio stesso, perché Dio è il Dio della pace (Rm 16,20). Il vero «operatore di pace» è Dio stesso. Per questo quelli che si adoperano per la pace sono chiamati «figli di Dio»: perché somigliano a Lui, Lo imitano e fanno quello che fa Lui. Vuol dire che la pace è prima di tutto un dono da accogliere! Di conseguenza la pace è un compito! Non si tratta, tuttavia, di inventare o creare la pace, ma di trasmetterla, di lasciar passare la pace di Dio «che sorpassa ogni intelligenza» (Fil 4,7), lasciando che custodisca i cuori e i pensieri in Gesù Cristo.
v. 10: “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”. La beatitudine, si riferisce ai perseguitati per Gesù, per il nome di Gesù, per la causa del Vangelo. Pensiamo alle prime persecuzioni che si sono scatenate nei riguardi degli apostoli. Queste sono persecuzioni per causa del Vangelo. L’evangelista, infatti, riprendendo la quarta beatitudine, dà la motivazione di questa persecuzione «per causa della giustizia» che il versetto seguente completerà meglio: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11).
In questa persecuzione possiamo trovarci anche noi tutte quelle volte che dobbiamo sostenere la dignità di essere cristiani nell’ambiente del lavoro, tutte quelle volte che dovremmo sopportare persecuzioni meno gravi, perché annunciamo il nome di Gesù.
In Mt 10,22 leggiamo: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”; e in Mt 10,39: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”.
vv. 11-12: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Le beatitudini in Matteo sono otto. Qui si aggiunge la nona beatitudine, già anticipata nell’ottava. Infatti, i versetti conclusivi sono un’applicazione della vita secondo le beatitudini.
La beatitudine è rivolta a coloro che esattamente saranno insultati come Gesù sulla Croce. È rivolta direttamente ai cristiani che soffrono persecuzione a causa della loro fede in Gesù: ad essi è riservata nei cieli una grande ricompensa, che si identifica con la piena comunione con Dio (cfr. 1Pt 4,13-16) e la partecipazione alla Resurrezione di Cristo Gesù, il Figlio di Dio.
I versetti 11-12 indicano un servizio fedele a Dio ricolmo di Lui stesso.
A quale delle beatitudini somiglia la mia vita?
Quale esperienza di Dio vivo che rispecchia le beatitudini? Quale, invece, quella che mi invita a crescere, che mi chiede di provarci, che mi sfida a cambiare?
Sono cosciente che la vera beatitudine è la comunione con Dio?
Pregare
Signore Gesù Cristo, nostro impareggiabile Maestro, tu che ci hai insegnato le Beatitudini, fa’ che esse rimangano impresse nel nostro cuore.
Contemplare-agire
Lasciamoci illuminare dalla Parola di Dio e cerchiamo di scoprire nella nostra vita la via delle beatitudini elencate da Matteo. Cerchiamo di scoprire se la nostra vita è un dono per amore secondo l’ideale delle Beatitudini.