Il povero grida e il Signore lo ascolta
Lectio divina su Lc 18,9-14
Invocare
O Dio, tu non fai preferenze di persone e ci dai la certezza che la preghiera dell’umile penetra le nubi; guarda anche a noi come al pubblicano pentito, e fa’ che ci apriamo alla confidenza nella tua misericordia per essere giustificati nel tuo nome. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
9 Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14 Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
Capire
L’introduzione del v. 9 ci fa capire che la parabola precedente, quella del giudice iniquo e della vedova (18,1-8), forma una sorta di piccola catechesi sulla preghiera, che deve essere persistente (18,1-8), umile e fiduciosa (18,9-14). Due parabole che, a loro volta, sono in qualche modo agganciate al breve discorso apocalittico (17,20-37), che le precede. Un aggancio che avviene sul tema della venuta del Signore e del giudizio (18,7-8) e della giustificazione (18,14a); e che vede nella preghiera assidua, umile e fiduciosa il giusto atteggiamento di attesa vigilante verso il Signore che viene (17,24.30).
La presente parabola, infine, invita a pregare con umiltà di cuore: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore”.
Tuttavia Luca qui non si limita al tema della preghiera, che deve alimentare il tempo di un’attesa vigilante, ma affronta anche quello della giustificazione, mettendo in rilievo il giusto atteggiamento per ottenerla (v.14a).
Prendendo spunto dal mondo giudaico, Luca presenta il fariseo e il pubblicano come due figure tipo, due parametri con cui raffrontarsi, quasi due caricature, che colgono subito l’attenzione del lettore attraverso un racconto incisivo e convincente.
Meditare
v. 9: “Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Questo versetto si presenta da introduzione e ne viene spiegata la motivazione da Gesù stesso: “per alcuni che avevano l’intima presunzione…”. C’è in alcuni la presunzione di essere giusti, ma questo sarebbe una loro questione di coscienza; costoro però non solo presumono per loro, quanto disprezzano gli altri.
Chi erano effettivamente questi “alcuni”, a chi in particolare erano indirizzate queste parole? Non certo a quella folla di persone che accorrevano per sentirlo parlare, e che nelle sue parole trovavano conforto e guarigioni, può darsi a qualche nuovo seguace che pensava di appartenere finalmente ad un gruppo che gli garantiva la salvezza per il solo fatto di esserci dentro; di certo la parabola viene indirizzata a quel partito giudaico dei farisei, composto da laici che appartenevano a tutte le categorie sociali, compresi gli scribi o dottori della legge.
Questi farisei, esercitavano la loro influenza sul popolo attraverso le sinagoghe che, con la loro capillare diffusione sul territorio, permettevano di coltivare lo studio e la devozione della scrittura, e lo sforzo di metterla in pratica con l’osservanza metodica dei suoi precetti che doveva regolare tutti gli aspetti della vita privata e pubblica del pio ebreo. “Giusto”, era colui che viveva quindi questo modello di pietà religiosa.
v. 10: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano”. Vengono presentati due personaggi, la cui definizione Luca dosa con gradualità, andando dal generico allo specifico. Due soltanto, che nel gergo biblico rappresenta l’inizio di una moltitudine. Qui si da la possibilità, a tutti, di riconoscersi in loro.
Dal loro salire al tempio. si suppone che queste persone siano pie, devote o comunque appartenenti al mondo giudaico. Si parla, infatti, di tempio, di preghiera e di salire, la quale cosa fa pensare al tempio di Gerusalemme, posto ad un’altezza di circa 750 mt sul livello del mare, e presso il quale il pio israelita si recava almeno una volta all’anno e, per chi aveva la possibilità di farlo, anche quotidianamente per la preghiera ufficiale (At 2,46; 3,1; 5,42) che si svolgeva due volte al giorno, alle 9,00 del mattino e alle 15,00 del pomeriggio.
Infine i due uomini vengono classificati nella figura di un fariseo e in quella di un pubblicano. Ciò che li accomuna è l’umanità, la preghiera e Dio. Mentre, ciò che li differenzia è la loro posizione sociale e il loro diverso modo di intendere il proprio rapporto con Dio, che nasce da una diversa coscienza di se stessi, da una diversa esperienza di vita e da una diversa percezione di Dio.
vv. 11-12: “Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé”. Del fariseo, l’evangelista Luca dice che: “pregava così tra sé”. Qui occorre notare un problema di traduzione, che non ci permette di entrare dentro il significato originale delle parole di Luca; detto così sembrerebbe che il fariseo stia pregando nel suo intimo, cioè senza esprimersi ad alta voce, come in una sorta di preghiera mentale. Il testo greco invece utilizza un’espressione diversa, che si potrebbe tradurre così: “il fariseo stando in piedi pregava rivolto verso se stesso”.
Il fariseo è nella condizione interiore di coloro che quando pregano fanno un monologo, ossia una preghiera che non ha Dio come interlocutore ma se stessi, il che è uno dei maggiori rischi dell’esperienza della preghiera. Nella preghiera-monologo si cela un inganno: si può pensare di aver pregato, e si può persino esserne convinti, mentre in realtà uno ha solo parlato con se stesso. L’espressione va dunque intesa così: il fariseo, stando in piedi, pregava parlando con se stesso. Le parole riportate successivamente, come contenuto del suo pregare, dimostrano che le cose stanno davvero così. Si tratta di una preghiera che ruota intorno al proprio io.
“O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Nelle parole del fariseo abbiamo una preghiera che non risulta del tutto inedita. Infatti, ricalca un modulo talmudico che recita così: ” Ti ringrazio, Signore mio, per avermi fatto partecipare alla compagnia di coloro che siedono nella casa d’insegnamento, e non a quella di coloro che siedono nell’angolo della strada; infatti come loro mi metto in cammino; ma me ne vado verso la Parola della Legge, e questi, invece, vanno in fretta verso cose futili. Mi do da fare, e anche quelli si danno da fare: mi impegno e ricevo la mia ricompensa; ed essi si impegnano, ma non ricevono alcuna ricompensa. Corro e corrono essi; corro verso la vita del mondo futuro ed essi corrono verso la fossa della perdizione”.
v. 13: “Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Il pubblicano viene presentato come un “possessore di una coscienza”. Tre sono i suoi movimenti grammaticali: si ferma a distanza; non osa alzare gli occhi; si batte il petto.
La sua preghiera è quella che scende nell’intimo del suo cuore e scoprire di non essere a posto con il Signore e per questo nella sua grande umiltà gli chiede in elemosina il perdono e la misericordia, riconoscendosi dinanzi a lui peccatore. È l’umiltà che vige nel pubblicano!
Nell’umiltà si vede solo la grandezza, la magnificenza, la gloria del Signore; nell’umiltà, la povertà messa a confronto con la luce che si irradia da Dio, tiene a distanza l’uomo dal suo Creatore. Non si può nell’umiltà che elevare il grido elemosinante di perdono, di misericordia, di implorazione di pietà. È questo il vero rapporto tra Dio e l’uomo, perché veramente chi può dirsi giusto dinanzi a Dio e alla sua Parola, dinanzi alla sua divina volontà manifestata a noi perché noi la compiamo e la osserviamo fedelmente?
v. 14: “Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Questo versetto racchiude la conclusione sul tipo di comportamento orante: Il pubblicano torna a casa giustificato da Dio. mentre l’altro se ne ritorna a casa condannato, con due peccati in più, di giudizio e di superbia.
Nell’uomo che torna a casa giustificato possiamo leggervi concretizzato il cantico della Vergine Maria: il “Magnificat”: Il Signore abbassa i superbi, mentre innalza gli umili dalla polvere (cfr. Lc 1,47-55).
Le parole di Gesù rivelano l’agire di Dio. Dio non si compiace dei superbi e li abbassa; dinanzi a Dio non c’è grandezza, non c’è saggezza, non c’è intelligenza; dinanzi a lui deve esserci solo umiltà, conoscenza del proprio essere e delle proprie miserie e debolezze.
Nel momento in cui l’uomo si riconosce quello che realmente è, riconosce anche tutto ciò che Dio ha fatto per lui e quando un uomo dona a Dio, tutta la gloria della propria redenzione e salvezza, Dio si compiace e concede la grazia di una più grande misericordia.
L’umiltà è la virtù più cara a Dio, poiché in essa lui è visto per quel che è e per quel che fa; l’uomo è visto per quel che non fa e per quel che si è fatto a causa delle sue molteplici trasgressioni e non osservanze della legge della salvezza. Si china dinanzi alla divina Maestà e chiede quell’ulteriore aiuto, perché possa migliorarsi nella sua condotta di vita, ascendendo verso un più grande compimento della parola di Dio, che in verità è sempre inadeguato.
Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Con che atteggiamento orante mi metto davanti a Dio?
Mi rivolgo a Dio con umiltà e fiducia, oppure pretendo la sua grazia senza disponibilità a cambiare la mia vita?
Dopo le parole di Gesù ho ancora motivo di pensare che il mio peccato mi renda impresentabile davanti a Dio, escluso per sempre dalla sua misericordia?
Riconosco che questa parabola è rivolta anche a me? Oppure continuo ad essere come il fariseo?
Pregare
Il Signore è vicino a coloro che si accostano a Lui con un cuore contrito e libero. Egli ricerca un rapporto con l’uomo nella verità. Lodiamolo con le parole suggerite dal Salmista (Sal 34, 2-3.17-19.23):
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.
Contemplare-agire
C’è una preghiera che va accolta e purificata da Dio.
In questo momento mi soffermo sui due personaggi ed esamino che tipo di atteggiamento uso quando prego: il presuntuoso o l’umile.
Anonimo
Il fariseo era rigido nel corpo e nello spirito, il pubblicano flesso nella postura corporale e nell'anima.
Il fariseo parlava a se, il pubblicano a Dio.
Il Dio del fariseo era interno, quello del pubblicano esterno.
Il fariseo pensava di possedere Dio, il pubblicano no.
Il criterio di giudizio del fariseo era se stesso, quello del pubblicano era Dio.
Il fariseo giudicava gli altri in generale e nel particolare il pubblicano, il pubblicano esaminava se stesso.
Il fariseo stava nei primi posti, il pubblicano negli ultimi.
Il fariseo elencava meriti inesistenti, il pubblicano si riconosceva peccatore.
Il fariseo si esaltava, il pubblicano si umiliava.
Il fariseo non tornò giustificato, il pubblicano sì.
Entrambi tornarono a casa con convinzioni errate: il fariseo di essere a posto, il pubblicano di non aver ottenuto il perdono.
Ambedue ottengono quello che chiedono: il fariseo è confermato nella diversità rispetto al pubblicano, (qui risiede l’aspetto ricorsivo), l’esattore delle tasse è perdonato delle proprie colpe.
Cfr. Ebook di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.