Ascoltate oggi la voce del Signore.
Lectio divina su Lc 17,5-10
Invocare
O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senapa, donaci l’umiltà del cuore, perché, cooperando con tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
5 Gli apostoli dissero al Signore: 6 «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe. 7 Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? 8 Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? 9 Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10 Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
Capire
Nelle sue istruzioni ai discepoli e alle folle che lo seguono lungo la strada, Gesù ha ripetutamente parlato delle dure esigenze che comporta il seguirlo. Le possiamo riassumere in due affermazioni: “Chi non preferisce me al padre, alla madre, alla moglie e ai figli, ai fratelli e alle sorelle e perfino alla propria vita non può essere mio discepolo” (14,26); e poi l’altra: “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (14,33).
Ora non c’è più un discorso sulle esigenze del vangelo, cioè sulle cose da lasciare e sugli impegni da assumere, ma alcune parole sulle condizioni che le rendono possibili e sulle modalità che le devono accompagnare. Queste sono due: la fede e l’umiltà. Per avere il coraggio di seguire Gesù occorre la fede, e se Dio ti dà il coraggio di seguirlo non vantartene.
Gli interventi salvifici di Gesù sono sempre legati alla fede. E che tipo di fede bisogna avere? Anche se Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato”, è chiaro che non è la fede dell’uomo che salva, ma la potenza di Dio. La fede però ne è la condizione, senza la fede anche la potenza di Dio si annulla. Perché? Perché aver fede significa riconoscere la nostra impotenza e, nello stesso tempo porre tutta la fiducia nella potenza del Signore. La fede è il rifiuto di contare su di sé per contare unicamente sul Signore. E’ questo lo spazio interiore necessario che il Signore vuole per donarci la salvezza e il coraggio di seguirlo. Ma se la fede è tutto questo, allora è anche chiaro che non è qualcosa che possiamo ricavare da noi o costruire da soli: anche la fede è, a sua volta, un dono. E non resta perciò che chiederla, come hanno fatto i discepoli: “Signore aumenta la nostra fede”. Lo ha fatto Gesù stesso nei confronti di Pietro: “Simone, ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno” (22,32).
All’insegnamento sulla fede segue la parabola, esclusiva di Luca. Indirizzata agli apostoli, questa parabola avverte i capi della Chiesa che essi non possono mai fermarsi e riposarsi nella convinzione di avere già lavorato abbastanza.
Questa piccola parabola, non intende descriverci il comportamento di Dio verso l’uomo, ma indicarci come deve essere il comportamento dell’uomo verso Dio: totale disponibilità, senza calcoli, senza pretese, senza contratti. Non si entra nello spirito del vangelo con lo spirito del salariato: tanto di lavoro e tanto di paga, nulla di più e nulla di meno. Dopo una giornata piena di lavoro, non dire “ho finito” e non accampare diritti. Non vantartene e non fare confronti con gli altri, ma dì semplicemente: ho fatto il mio dovere, sono soltanto un servo.
Meditare
vv. 5-6: “accresci la nostra fede”. Mettiamo i due versetti insieme perché il v. 5 ci vuole introdurre nel pensiero di Luca, nell’evidenziare le difficoltà degli apostoli: avere gli atteggiamenti di Gesù: attenzione verso i più piccoli (Lc 17,1-2) e riconciliazione verso i fratelli e le sorelle più deboli della comunità (Lc 17,3-4). La richiesta è fondamentale per chi desidera seguire Gesù.
Questa introduzione vuole indicare che la fede non è uno sforzo umano ma un dono come il pregare (11,1), richiedere il pane necessario ( 11, 3). Non si tratta solamente di fede in Dio, ma anche fede nella possibilità di recupero del fratello e della sorella. Per questo, vanno da Gesù e gli chiedono di accrescere la loro fede.
Il verbo “accresci” può essere anche tradotto con “accordaci”, o “aggiungici” la fede.
“Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape”. La nostra fede ha nel granello di senapa la stessa dimensione del Regno di Dio. Un granello di senape è piccolo come una pulce, minuscolo, quasi invisibile. Ma una volta seminato velocissimamente cresce, e nell’arco di un anno quel piccolo seme può divenire un albero anche di tre o quattro metri. La dimensione del granello di senapa non è la dimensione minima richiesta, ma la dimensione massima richiesta. Questo testo è di grande speranza per le nostre parrocchie. I movimenti rischiano di essere sempre cose grandi, dove tutto riesce; difficilmente si riconduce al granello di senapa la dimensione che hanno i movimenti. Il vangelo va in un’altra direzione. La dimensione di piccolezza che la chiesa vive è in realtà la dimensione necessaria che il vangelo ci chiede.
Questa introduzione vuole indicare che la fede non è uno sforzo umano ma un dono come il pregare (11,1), richiedere il pane necessario ( 11, 3). Non si tratta solamente di fede in Dio, ma anche fede nella possibilità di recupero del fratello e della sorella. Per questo, vanno da Gesù e gli chiedono di accrescere la loro fede.
Il verbo “accresci” può essere anche tradotto con “accordaci”, o “aggiungici” la fede.
“Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape”. La nostra fede ha nel granello di senapa la stessa dimensione del Regno di Dio. Un granello di senape è piccolo come una pulce, minuscolo, quasi invisibile. Ma una volta seminato velocissimamente cresce, e nell’arco di un anno quel piccolo seme può divenire un albero anche di tre o quattro metri. La dimensione del granello di senapa non è la dimensione minima richiesta, ma la dimensione massima richiesta. Questo testo è di grande speranza per le nostre parrocchie. I movimenti rischiano di essere sempre cose grandi, dove tutto riesce; difficilmente si riconduce al granello di senapa la dimensione che hanno i movimenti. Il vangelo va in un’altra direzione. La dimensione di piccolezza che la chiesa vive è in realtà la dimensione necessaria che il vangelo ci chiede.
La risposta – se aveste fede – equivale a dire che non è questione di quantità ma di autenticità della fede. La fiducia nell’aiuto divino e l’aiuto divino stesso, quando ci sono, operano le cose che sembrano le più difficili.
“potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe”. Il gelso, è un albero secolare, può vivere anche seicento anni, ha radici profonde, che si abbarbicano nella terra. E’un albero molto difficile da sradicare, simbolo di solidità, di staticità, di inamovibilità. E che un gelso si radichi nel mare, beh è alquanto difficile (cioè impossibile)! Allora qui Gesù dice: “Se aveste un po’ di fede, di fede vera, autentica, trasparente, nulla vi sarebbe impossibile, nessun ostacolo potrebbe fermare il vostro cammino”. Nel vangelo troviamo spesso frasi del genere: “Tutto è possibile per chi crede; la tua fede ti ha salvato; chi ha fede sposta le montagne; tutto ciò che chiederete, credete e vi sarà dato”. Se vuoi vedere la tua fede, la tua fiducia in Dio e nella vita guarda a come reagisci di fronte agli ostacoli.
Gelso è anche la paura di cambiare e di non sapere cosa accadrà poi; il timore di affrontare una paura; la paura di non avere le forze per reggere; la paura di conoscersi e di guardarsi dentro; la paura di affrontare chi temiamo o chi consideriamo superiori; la paura di rimanere da soli che ci fa accattonare l’amore; la paura di essere impopolari; un “salto” di vita che dovresti fare ma di cui sei terrorizzato; un sogno da inseguire che tutti deridono; una malattia che ti si manifesta e di cui hai paura, ecc. Ma basta un po’ di fede. Tu inizia; tu datti da fare; tu mettiti in movimento e scoprirai che quella piccola fede diventerà enorme (piccolo seme che diventa un albero enorme) e compirà l’impossibile.
vv. 7-9: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”. Per attirare l’attenzione, Gesù racconta una parabola iniziando con una domanda retorica per insegnare che nella vita della comunità, tutti devono essere abnegati e distaccati da sé.
Gesù si serve dell’esempio dello schiavo. In quel tempo, lo schiavo non poteva meritare nulla. Il padrone, duro ed esigente, gli chiedeva solo il servizio. Non era solito ringraziare. Dinanzi a Dio siamo come lo schiavo davanti al suo padrone. Il suo lavoro è insieme dovuto e gratuito. Infatti, sia lui che il suo lavoro appartengono al padrone.
Aver fede significa diventare disponibili a Dio, ascoltare la sua parola così profondamente da venirne trasformati, essere “trasparenti” alla sua volontà. Chi crede, dunque, non crea ostacolo alcuno all’azione di Dio, non l’offusca, la lascia passare.
Aver fede significa diventare disponibili a Dio, ascoltare la sua parola così profondamente da venirne trasformati, essere “trasparenti” alla sua volontà. Chi crede, dunque, non crea ostacolo alcuno all’azione di Dio, non l’offusca, la lascia passare.
La fede lascia passare sempre e solo l’azione di Dio attraverso di noi; non costringe Dio a fare quello che vogliamo noi ma permette a noi di fare quello che vuole lui. Lo si vede bene dalla piccola similitudine del servo che, dopo aver faticato e arato tutto il giorno, rientra a casa.
v. 10: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Il servizio di Dio richiede la sottomissione di un servitore. Il servizio che il servo (Gesù) ci rende è un servizio che non ci fa sentire obbligati, è un servizio che ci libera. E questo dovrebbe essere il servizio che ognuno di noi è chiamato a svolgere. Siamo schiavi non necessari, cioè non arrechiamo profitto. Siamo coloro che, non arrecando profitto, servono unicamente per dono.
Siamo servi inutili… Attenzione a questa espressione che può portarci fuori strada. Siamo dei poveri servi, dei servi senza utile. L’espressione evangelica vuole esprimere che il “servire” non è qualcosa che si viene ad aggiungere alla condizione umana, come un possibile merito, come una realtà superflua ed accidentale. L’essere creatura dell’uomo, opera del Creatore, implica la disponibilità e la normalità dell’essere messi a disposizione, dell’essere chiamati a servire. Un uomo che non “servisse” avrebbe fallito la sua stessa identità, avrebbe perso la sua vita, avrebbe perso se stesso. Colui, invece, che vive la sua esistenza proprio come servitore, non fa altro che rispondere a quel disegno iscritto nella sua stessa vita, nello stesso disegno divino che lo ha generato. Ecco perché non è necessaria una ricompensa, ecco perché il servire non diviene motivo di rivendicazioni. Tutto ciò che abbiamo ricevuto non lo meritiamo. Viviamo grazie all’amore gratuito di Dio. L’evangelista Matteo, descrive Pietro che rivolge a Gesù questa domanda: “Ecco noi abbiamo abbandonato ogni cosa e ti abbiamo seguito, che avverrà di noi?” (Mt 19,27). Gesù risponde a questo modo di pensare con la parabola degli operai della vigna (cfr. Mt 20,1-16).
Luca descrive il servo di Dio come colui che compie il suo dovere e non ha il diritto di avanzare pretese nei confronti di Dio, può solo dire con San Paolo: “non ho di che vantarmi se annuncio il vangelo; è un dovere questo che mi è imposto, e guai a me se non predicassi” (1Cor 9,16).
Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Ripetiamo spesso nella preghiera: Signore, accresci la mia, la nostra fede!”?
Moltiplichiamo gli atti di fede davanti a ogni situazione personale o no dove ci ritroviamo deboli e impotenti?
Ci consideriamo servi inutili in ogni gesto che compiamo vedendolo come un servizio d’amore a Lui presente negli altri?
Siamo capaci di fare della propria vita un servizio senza aspettare la ricompensa per “piantare gelsi sul mare”?
Pregare
“Non si è lontani da Dio per fattori locali, ma in quanto non gli si somiglia. E che vuol dire non somigliargli? Condurre una vita cattiva, avere cattivi costumi. Come con la buona condotta ci si avvicina a Dio, così con la condotta cattiva ci si allontana da lui. Poni un solo ed identico uomo che col corpo resti immobile in un medesimo luogo: se amerà Dio si avvicinerà a lui; se amerà il peccato si allontanerà da Dio. Non muove i piedi, eppure si avvicina e si allontana” (Sant’Agostino). Sia questo salmo motivo di lode e di somiglianza con Dio (Dal Sal 94).
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».
Contemplare-agire
Lasciamo che la Parola illumini la nostra vita. Apriamo le porte del nostro cuore per scoprire quella piccolezza, “inutilità” che sta in noi per essere capaci di piantare gelsi nel mare.