Invocare
Leggere
Silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
Capire
Ci troviamo nella parte finale del discorso di addio, pronunciato da Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena; Gesù saluta i suoi, ma al tempo stesso assicura che non li lascerà soli. La sua presenza continuerà in un modo diverso, ma non meno reale, assicurata dall’altro Paraclito, lo Spirito suo e del Padre.
L’amore che Gesù chiede ai suoi non è un semplice amore di amicizia, un affiatamento umano. L’amore è l’unica spinta che possa ordinare l’uomo al compimento. Gesù pone questo amore a un livello molto più alto, collegandolo con la vita secondo la nuova legge da Lui promulgata e con l’invio dello Spirito Santo.
L’osservanza dei precetti del Signore costituisce il banco di prova dell’amore per il Figlio di Dio.
“Entolài” è il termine con cui la Bibbia greca detta “Settanta” rende l’originale ebraico “Le 10 parole” (che corrispondono ai “10 comandamenti”); ma nella concezione biblica la Legge-comandamento è soprattutto la rivelazione divina che conduce alla vita; i “comandamenti” sono “indicazioni per un cammino”, quello della salvezza, cioè quello che porta al senso e alla pienezza della vita; ecco perché, “se” si ama il Signore, ci si troverà incamminati nella via autentica.
Ma cosa intende Giovanni con il termine comandamento? In Gv 10,18 il Padre comanda al Figlio di offrire la vita. In Gv 12,49-50 Gesù ricorda che Lui parla su ordine del Padre, e questo comandamento è vita eterna. Qui si può leggere in filigrana il mistero dell’obbedienza di Gesù, totalmente consegnato nelle mani del Padre, libero nel compiere solo la volontà del Padre e proprio per questa sua obbedienza innalzato nella gloria.
In alcuni passi specifici Gesù parla invece del «comandamento nuovo», il comandamento dell’amore (Gv 13,34; 15,12).
v. 16: “io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre”. Gesù prega. Egli offre i sentieri della preghiera per arrivare al Padre. La preghiera diventa dono del Paraclito da parte del Padre. Qui per la prima volta l’evangelista usa il termine Paraclito.
Nel greco profano questa parola significa: assistente legale, avvocato. Sia il termine che il verbo parakalein da cui deriva, può significare anche “esortazione”. Nei LXX hanno il senso di “dare gioia, consolare” con riferimento esplicito ai beni dell’epoca messianica e al senso della gioia che ne deriva (cfr. Is 40,1); nel NT si riferiscono all’annuncio profetico cristiano (cfr. At 2, 40; 1Cor 14,3). Nei momenti più difficili il Paraclito interverrà in loro aiuto come difensore.
Sembra che il Paraclito abbia un’altra connotazione, un po’ diversa. Il contesto in cui Gesù comincia a parlare del Paraclito è la sua dipartita. Egli sta lasciando soli i suoi discepoli, essi non avranno più la consolazione della sua presenza. Il primo Paraclito è Gesù stesso. Andandosene manderà un altro Paraclito colui che non ci lascia soli, che intercede sempre a nostro favore, che ci guida, ci difende, ci illumina, ci conforta.
v. 23: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà”. Il versetto riprende il v. 21 menzionando il Padre. Osservare la Parola è sinonimo di osservare i comandamenti, l’amore.
In Giovanni i comandamenti si riducono alla osservanza della Parola, ad una proposta concreta e globale di vita da mettere in pratica. L’amore a Gesù si rivela nell’osservare la sua Parola, che abbraccia l’unità della rivelazione.
Cosa significa per i discepoli? Devono continuare ad amarlo, a rimeditare la sua Parola, a viverla. In questo modo il discepolo si mantiene disponibili all’amore del Padre, apre per Lui le porte, affinché il Padre e il Figlio possano fare dimora dentro di lui. Il discorso non è più diretto ai soli discepoli presenti nel cenacolo, ma a quelli di tutti i tempi. Gesù infatti non usa più il “voi”, ma usa questi termini: “se qualcuno mi ama…”, “chi osserva…”. Chiunque, se vuole può divenire discepolo del Figlio e avere parte alla sua vita, entrare in comunione con Lui.
“e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Il “verremo a Lui” riprende il “verrò a voi” del v. 18; qui il verbo è al plurale e indica che i due soggetti, Padre e Figlio, assicurano una presenza di assistenza e protezione attraverso lo “stare in”, “dimorare” in un “co-abitare” che realizza un’unione intima che trova il suo contesto nell’amore verso Gesù.
Questo passo, nel quale Gesù parla della sua venuta nel cuore dei discepoli insieme al Padre per far dimora dentro il loro cuore, completa la tematica dell’inabitazione della Trinità nel seno della comunità cristiana e dei singoli membri del popolo di Dio. L’amore trinitario è un amore inquieto, cerca spazi e luoghi, è un amore cercatore, che preme, dilaga, si fa strada verso il cuore.
v. 24: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”. Qui abbiamo una inclusione con 14,15, è la vera risposta a Giuda, anche se indiretta. Infatti, in questo versetto si ribadisce la tematica dell’amore, concretizzato nell’osservanza delle parole di Gesù. A colui che non ama Gesù è inaccessibile e quindi non gli si può manifestare.Ogni volta che non riuscirò a vivere la buona notizia del regno e diventerà un peso il solo pensare alle esigenze delle parole di Cristo, non cercherò scuse nelle situazioni e nel mio diritto alla libertà: un cuore povero di amore intristisce e muore perché perde la sua identità profonda.
E come si può far ardere il cuore quando la vita lo ha lasciato? Chi non ama e non pratica i comandamenti non può far parte della vita di Dio. Il Padre e il Figlio non possono venire dove non c’è l’amore per Cristo e per i fratelli, amore che scaturisce dall’obbedienza alla Parola di Gesù, che è la stessa del Padre.e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
vv. 25-26: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi”. Il ministero terreno di Gesù è terminato (v. 25), ma, grazie al Paraclito, le parole di Gesù per i discepoli saranno chiare, molto più che al tempo in cui l’avevano ascoltate.
“il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Giovanni per la prima volta specifica che il Paraclito è lo Spirito Santo, e prenderà il posto di Gesù e resterà in relazione costante con Gesù.
Gesù dichiara che lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa ai credenti e ciò avverrà mediante il ricordo di quanto il Cristo ha rivelato. Il “ricordare”, significa “comprendere”. Il magistero del Paraclito è in primo luogo un magistero interiore che necessita di un attento ascolto e uno svuotamento per agire liberamente e in modo efficace.
Egli svolge la missione di richiamare alla memoria dei discepoli la verità di Gesù, attraverso la sua azione interiore nel loro cuore e nella loro mente.
Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Il rapporto con il Signore è un rapporto d’amore?
Sono custode e coltivatore (cfr. Genesi) del giardino delle Sacre Scritture?
Come accolgo il dono dello Spirito Santo? Lo invoco in modo particolare? Sperimento la sua consolazione?
Pregare
Raccogliamoci in silenzio ripercorrendo la nostra preghiera e rispondiamo al Signore con le sue stesse parole (dal Sal 103):
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.
Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.
Contemplare-agire