La pericope giovannea, è la parte finale del discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena, che occupa tutto il capitolo 14 del vangelo di Giovanni.
Gesù annuncia il suo commiato, riassume il senso della sua missione e prepara i discepoli all’impegno che li attende.
Presentando la sua morte e risurrezione come un “viaggio”, Gesù anticipa che non sarà più in modo fisico presente tra i suoi. Questo “viaggio” è necessario per compiere il disegno del Padre: introdurre l’umanità nella famiglia di Dio, nella vita trinitaria. Inoltre è un duplice ritorno: al Padre, da dove era venuto per incarnare il progetto del suo amore; ritorno tra i suoi, anzi “nei” suoi, in una presenza nuova che è quella dello Spirito.
Questi testi, anche se nel vangelo di Giovanni sono collocati prima della passione di Gesù, sono stati scritti dopo la sua risurrezione. Ed è proprio alla luce della Pasqua del Signore che noi dobbiamo leggere questi testi.
Osservare la Parola è renderla efficace nella forza dello Spirito. È lo Spirito che la rende viva, che la rende intima; la rende efficace, secondo l’azione dello Spirito del Signore. Parola e Spirito debbono andare insieme, perché la parola senza lo Spirito rimane vuota, lo Spirito senza parola rimane senza contenuto, anarchico, non ha forma. Perché, come abbiamo detto, la forma dello Spirito è Gesù Cristo, il volto dello Spirito è il volto di Gesù, non è un altro volto. È quella realtà che è Cristo, che diventa viva e che diventa esperienza e interiorizzazione nel cristiano. Allora parola e Spirito debbono andare insieme.
In Giovanni la dimora di Dio è l’uomo attraverso l’incarnazione di Gesù e il piano che Dio ha realizzato con il mondo degli uomini. È questa l’inabitazione del mistero di Dio in noi mediante la Parola. Ogni volta che ci accostiamo alla Parola, avviene l’abitare di Dio in noi, nella nostra vita.
I verbi venire a lui – prendere dimora, poi le preposizioni che usa presso di lui, cercano di esprimere il rapporto tra lo Spirito e i discepoli. Non è difficile porre tutto questo in relazione con quel legame che secondo il IV Vangelo deve svilupparsi tra Gesù e i credenti.
L’allegoria della vite e dei tralci può aiutarci a capire (Gv 15). L’esistenza dei tralci in quanto tali e la capacità dei tralci di fare frutto, dipende dal loro rimanere nella vite, anzi questo rimanere è reciproco: i discepoli rimangono nella Parola di Gesù; la Parola di Gesù rimane nei discepoli; i discepoli rimangono in Gesù; Gesù rimane nei discepoli.
Il verbo “dimorare” esprime il messaggio biblico dell’uomo dimora di Dio. San Paolo userà spesso il termine dimora (enoikéō) (2 Cor 6,16; Ef 3,17; Rom 5,5; 8,11) l’ospite è lo Spirito Santo; (Col 3,16) l’ospite è la Parola.
La Parola, quindi, è un fuoco divorante, è un Amore travolgente, è una cascata dirompente e la nostra capacità di accoglierla è molto limitata, per questo subito aggiunge: “lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Allo Spirito vengono attribuite le due funzioni fondamentali del nostro essere chiesa: “insegnare e ricordare”, due verbi che esprimono non solo una funzione intellettuale, ma vitale che fa assimilare spiritualmente il significato di un discorso o di un’azione. Fare memoria è azione dello Spirito. Quando nelle nostre giornate il passato scivola via come qualcosa di perennemente perduto e il futuro sta lì quasi minaccioso a toglierti la gioia dell’oggi, solo il Soffio divino in te può condurti a far memoria. Memoria di ciò che è stato detto, di ogni parola uscita dalla bocca di Dio per te, e dimenticata per il fatto che è passato del tempo.
La pace (Shalom) è il saluto abituale tra i Semiti e non è una formula banale: non significa solo assenza di conflitti o la tranquillità dell’anima, ma anche la salute, la prosperità, la felicità piena, i beni messianici (cfr. Gen 43,23; 1Sam 1,17; Mc 5,34; Lc 7,50; At 16,36; 1Gv 15; Gal 6,16; Ef 6,23).
Lasciando i discepoli, Gesù non augura loro la pace, ma la dona loro, come un lascito, come la sua eredità: è la sua pace quella che egli dona. La pace che lascia il Signore è ben diversa da quella che dà il mondo. Quella del mondo è una ricerca di piaceri personali rivolti a dare gusto a sé e che fa provare alla fine la più squallida solitudine e amarezza. Quella che dà il Signore nasce dalla condivisione e dall’attenzione verso il fratello che mi vive accanto, ed è una pace che nasce a volte dalle difficoltà accolte per dar sollievo a chi è nel bisogno.
Il monito si rinnova anche per noi. I discepoli erano impauriti, sconvolti dagli avvenimenti appena conclusi. Noi da cosa? Il Signore non rimprovera, il suo amore è ricco di misericordia, e continua a farsi vicino, a confortare.
Per i discepoli impauriti dalla crocifissione del Maestro è stata una grande prova. Gesù li incoraggia. Da impauriti diventeranno coraggiosi, testimoni. E anche Pietro avrà la forza di testimoniare Gesù, fino ad accogliere la prova suprema della crocifissione.
“Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me”. I discepoli, che hanno appena ricevuto la pace, sono esortati anche alla gioia. Essi riceveranno la piena salvezza grazie alla Pasqua di Gesù, alla sua morte, poiché Egli sarà glorificato; il motivo della gioia supera di gran lunga quello della tristezza.
I discepoli possono gioire nella fede che mostra loro il futuro del piano di Dio, oltre l’evento tragico della morte di Gesù ormai imminente.
Ogni desiderio umano che per paura della sofferenza e del distacco volesse escludere la croce finirebbe per essere un impedimento alla piena manifestazione della vita e della sua vittoria.
Grazie alle parole di Gesù i discepoli sapranno comprendere l’evento, sostenuti dalla forza dello Spirito Santo. Il nuovo modo di credere è aprirsi a questa grande realtà di un Dio che non è lontano, non è separato, ma chiede di abitare negli uomini; un Dio che non chiede più di vivere per lui, ma di vivere di lui con lui e come lui.
Credere consiste proprio nel riconoscere nel Crocifisso il Vivente, uno con il Padre e fonte di vita per i suoi.
Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Le mie scelte nascono dall’invocazione allo Spirito Santo e dall’ascolto della Parola?
Mi sento dimora di Dio Trinità? O vivo sempre nel turbamento?
Sono in grado noi di leggere i segni delle mie vicende con le parole già udite da Lui?
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.