Invocare
O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l’Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vincoli del male, ti rendiamo il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria. Amen.
Leggere
– Fermiamoci in silenzio, lasciamo che la Parola entri in noi ed illumini la nostra vita.
La II domenica di Pasqua è chiamata “In deponendis albis”, per il fatto che coloro i quali venivano battezzati nella veglia pasquale, quando si concludeva la settimana della loro iniziazione sacramentale, deponevano i loro vestiti bianchi.
L’Evangelo è identico nei tre anni A, B e C. Il tema dominante di questa domenica è la fede nei segni della Risurrezione.
Il cap 20 di Gv è inserito nel cosiddetto “libro della risurrezione” ove sono narrati diversi episodi che riguardano il Cristo risorto e i fatti che lo provano. Questi fatti sono collocati, nel quarto vangelo, al mattino (20,1-18) e alla sera del primo giorno dopo il sabato e otto giorni dopo, nello stesso luogo e il primo giorno della settimana.
Il vangelo di Giovanni è il solo che narra l’apparizione del risorto ai suoi discepoli il giorno stesso di Pasqua. Solo Matteo riferisce che la pietra posta a chiusura fu rimossa (Mt 28,2-4). Comunque i vangeli e 1 Cor 15, 4-7 rendono testimonianza al fatto della risurrezione affermando che la domenica mattina la tomba fu trovata vuota e che il Cristo risorto apparve ai suoi discepoli.
Questa pericope chiude il vangelo di Giovanni ed è considerato la “prima conclusione” del quarto vangelo. Il vangelo di Giovanni si chiude quindi con la fede di Tommaso. Una fede che chiede, ma che nasce dal vedere e toccare i segni dei chiodi, i segni della passione del Signore, i segni della continuità tra la croce e la Risurrezione.
La risurrezione e le apparizioni di Cristo Risorto sono importanti perché consacrano l’insieme del percorso di Gesù e preparano il tempo della Chiesa quando Gesù sale al Padre.
I discepoli spaventati sono rassicurati da Gesù; non come un tempo “Sono io” (Gv 6,20), perché la sua presenza è ormai di un altro ordine, ma “Pace a voi” (ripetuto due volte).
La pace dei tempi messianici è il dono supremo di Dio annunciato dai profeti (cfr. Is 53,5), implica tutto il benessere di vivere (cfr. Ef 2,14).
“i discepoli gioirono al vedere il Signore”. Riprendendo la promessa di Gesù in Gv 14,19: «Il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e anche voi vivrete», Giovanni presenta i discepoli come coloro che riconoscono Gesù immediatamente e senza riserve. Vedono il Signore nella pienezza della fede. Il riconoscimento del Signore implica che la relazione con lui è definitiva.
La gioia dei discepoli non è l’ultima parola; essa è seguita immediatamente dall’invio in missione. Non è gioia quindi che possa essere goduta privatamente, ma gioia che chiede di essere condivisa con generosità sincera. Il Cristo risorto è sorgente efficace di perdono, è “l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. I discepoli dovranno annunciare a tutti gli uomini questa possibilità di vita che viene loro offerta.
La missione proviene da Dio che vuole donare la vita al mondo. L’invio dei discepoli implica le stesse cose contenute nell’invio di Gesù: glorificare il Padre facendo conoscere il suo nome e manifestare il suo amore (Gv 17,6.26). Attraverso Gesù, Dio si fa visibile: proprio perché è un Mandato, quindi non ha autorità propria, rimanda continuamente a quel Padre da cui ha ricevuto tutto. La sua missione non è altro che l’espressione del dono totale di sé, dell’identità del Figlio come “colui che riceve la vita da…”. Questa missione non è proporzionata alle nostre forze, ma è proporzionata dall’amore del Signore, quindi al suo dono. Perché il dono del Signore è esattamente questo: lo Spirito Santo.
vv. 22-23: “Detto questo, soffiò”. Il soffio sui discepoli da parte di Gesù evoca sicuramente il gesto creativo di Dio. Nel libro della Genesi (2,7) c’è il “soffio”, l’alitare di Dio (cioé il respiro di Dio) sull’uomo per cui l’uomo divenne un essere vivente (cfr. Sap 15,10-11). Anche in Ez 37,9 troviamo gli elementi del soffio e dello Spirito. Soltanto lo Spirito di Dio è capace di ricreare l’uomo e strapparlo al peccato (Ez 36,26-27; Sal 50,12-13; 1Re 17,21).
Gesù glorificato comunica lo Spirito che fa rinascere l’uomo, concedendogli di condividere la comunione con Dio. Così si compie la profezia di Giovanni Battista: Gesù ha battezzato nello Spirito Santo (Gv 1,32-33), l’attesa si è compiuta nel giorno di Pasqua. Il dono dello Spirito è fatto in vista della missione di cui sono investiti i discepoli, grazie alla quale l’Alleanza realizzata in Gesù si estenderà all’umanità nello spazio e nel tempo.
“Ricevete lo Spirito Santo”. Il secondo dono pasquale è la comunicazione dello Spirito Santo, che Gesù ha promesso come Consolatore e Spirito che li introduce nella pienezza della verità. Lo Spirito è il dono del Cristo, viene dal «soffio» del Cristo Risorto; in ebraico il termine «spirito» e «soffio» coincidono, (cfr. Gv 19,30).
La misericordia e il perdono costituiscono ciò che la chiesa è invitata a compiere. La parola di Gesù sul potere di rimettere i peccati accompagna il gesto col quale egli mostrava le piaghe della passione. Il ministero del perdono è ogni giorno attualizzazione del sacrificio di Cristo.
Lo Spirito Santo che ci è stato donato, ci rende consapevoli del grande dono che riceviamo col perdono da ricevere e da donare.
“Rimettere/trattenere” indica la totalità del potere misericordioso trasmesso dal Risorto ai discepoli. (cfr, Mt 18,18).
v. 25: “Se non vedo…io non credo”.Siamo davanti alla prima testimonianza ecclesiale e al suo primo insuccesso; Tommaso non crede. Il dubbio dei discepoli in Giovanni è affrontato nella cruda realtà, mentre in Mt 28,16-20 e Lc 24,34-43 è affrontato in maniera solo enunciata ed anonima.
Tommaso è colui che si vuole “rendere conto” bene della propria fede; Tommaso non è un curioso perché Gesù non si manifesta ai curiosi. Gesù viene apposta per lui, a lui che si vuole rendere conto della propria fede: il Signore è risorto, ma c’è qualcosa di più. Tommaso va a cercare questo qualcosa di più.
In quel “metti” si cela un messaggio per tutti: le piaghe del mondo, la sofferenza del mondo non sono il segno di un Cristo sconfitto, ma sono il segno di un Cristo glorioso, perché Cristo ha fatto della sua morte il segno della sua risurrezione.
Questa professione di fede è accompagnata dall’aggettivo “Mio”, ripetuto per due volte. Quel mio è ripreso dal Cantico dei Cantici: «Il mio amato è per me e io per lui» (6,3), che non indica possesso geloso, ma ciò che mi ha rubato il cuore; designa ciò che mi fa vivere, la parte migliore di me, le cose care che fanno la mia identità e la mia gioia. “Mio”, come lo è il cuore, come lo è il respiro.
v. 29: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Il verbo vedere ha un rilievo particolare nel racconto giovanneo dell’incontro del Cristo con i discepoli la sera di pasqua. L’evangelista Giovanni usa due verbi greci diversi per indicare questa “visione”, ideìn e horàn. Due verbi per esprimere i gradi differenti della comprensione del mistero di Gesù. Si va da un vedere esteriore a un vedere più intimo che conduce alla fede. Anzi, come dice oggi il Risorto, allora non sarà più necessario il vedere diretto perché la comunione avverrà su un altro canale di conoscenza, sarà la visione in un senso perfetto e pieno. A Tommaso Gesù concede la possibilità di una percezione diretta della sua nuova presenza in mezzo a noi.
“questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Questa frase rappresenta una chiave di interpretazione per tutto il quarto vangelo. Lo scopo dell’Evangelista è quello di rafforzare ed approfondire la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio (cfr. 11,27). Ciò vuol significa che Gesù è Figlio di Dio per natura, come si afferma nella confessione di Tommaso.
Il versetto viene chiuso da un’affermazione audace: il fine dell’autore corrisponde al fine di Dio stesso: donare la vita eterna ad ogni credente (cf. Gv 3,15), un pensiero centrale del quarto Vangelo.
Questa è la prima conclusione del vangelo di Giovanni. Seguirà poi il racconto dell’apparizione sul lago di Tiberiade e un’altra conclusione che autentica il messaggio dell’autore.
Il Signore risorto si mostra ai credenti all’interno della comunità cristiana: cosa significa questo per la mia vita di fede? Per la mia preghiera?
Tommaso fa il passaggio da incredulo a credente. Ed io?
Che significato ha per me il dono dello Spirito per la missione?
Sono convinto che la fede nel nome di Gesù è la via che conduce alla vita eterna?
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!
Ti preghiamo, Signore: Dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: Dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina.