I DOMENICA DI AVVENTO / A

Lectio divina su Mt 24,37-44

Andiamo con gioia incontro al Signore


Invocare
«Manda il tuo Santo Spirito Paraclito nelle nostre anime e facci comprendere le Scritture da lui ispirate; e concedi a me di interpretarle in maniera degna, perché i fedeli qui radunati ne traggano profitto». «Dio salvatore… t’imploriamo per questo popolo: manda su di esso lo Spirito Santo; il Signore Gesù venga a visitarlo, parli alle menti di tutti e disponga i cuori alla fede e conduca a te le nostre anime, Dio delle Misericordie». (cf. Esortazione Apostolica Postsinodale, Verbum Domini, 16).

Leggere
37Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Dan 7,13; Gen 6,5-8,14; Mt 24, 45-51; 25,1-46 Mc 13,33-37; Lc 12, 38-46; 21, 36; Sal 127 [126]; 1Cor 1,18-2,5; 1Ts 5,4-5

Capire
Iniziamo il tempo di Avvento del ciclo A meditando il Vangelo di Matteo. Nella liturgia della prima domenica di Avvento, la Chiesa ci pone dinanzi uno dei cinque discorsi di Gesù. Quello di questa domenica è il quinto è tratta sul senso della fine del mondo.
Per capire, l’evangelista ci presenta il tema della vigilanza per poter accogliere la venuta di Gesù, come ci vuole indicare il verbo “vegliate” e l’avverbio conclusivo “dunque” (perciò).
La pericope inizia dal v. 37. Qui facciamo una introduzione partendo dal v. 34 che riporta: «34In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 35Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. 36Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre».
Questi versetti iniziano con tono solenne e autorevole. Basta leggere i profeti che ogni volta che profetavano rimandavano a Dio. Con Gesù assume un carattere nuovo: diventa una solenne dichiarazione, un’affermazione energica, certa e autorevole su ciò che sta per dire o che ha appena asserito.
Allora sarebbe il caso di abbandonare la nostra routine, iniziando da zero, perché nelle parole di questa pagina evangelica vi è il pericolo che corrono tutti i discepoli di Gesù di ogni epoca.

Meditare
vv. 37-39: Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. In questi versetti, Gesù per chiarire e richiamare alla vigilanza si rifà alla Bibbia. Anzitutto la Genesi per quanto riguarda il diluvio (Gen 6,5-8,14). Mentre per “la venuta del Figlio dell’uomo” si riferisce a una visione del profeta Daniele: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui” (Dan 7,13).
Perché questo paragone? Ai tempi di Noè la vita scorreva non dedita “alle cose di lassù”, non c’era questa presa di coscienza interiore per poter accogliere la grazia divina. La gente era troppo sicura di sé!
Anche oggi, in qualche modo, è la stessa cosa viviamo una certa sicurezza di noi stessi, ad una autosopravvivenza. Gesù invita a fare attenzione, la storia si ripete e il pensare umano si rivela stoltezza (cfr. 1Cor 1,18-2,5). Dice il Salmista: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella” (Sal 127 [126],1).
Nelle parole dell’orante, abbiamo un ammonimento per indicare che senza Dio non è possibile la sicurezza e il benessere. Sì, il progresso va avanti ma manca un vivo orientamento a Dio. “Senza il Signore non possiamo fare nulla” (Gv 15,5). Noi siamo l’edificio di Dio, così come dice Paolo (1Cor 3,9) non un semplice edificio umano.
vv. 40-41: Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Quasi a mo’ di parabola, anche qui accade la stessa cosa. Cosa ci distingue nella vita? A questi due contadini non distingue niente e la stessa cosa è per le due donne nella loro attività. Si lavora intensamente, con affanno, per avere ricchezza, ma Dio ne darebbe senza tutto quell’affannarsi, se si fosse uniti a lui. Eppure precedentemente Gesù aveva detto: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso” (Lc 21,34). Oggi invece dice che alcuni saranno presi, cioè riceveranno quella salvezza che sempre hanno accolto nella loro vita, mentre coloro che hanno condotto una vita senza senso, non la riceveranno.
In questi personaggi possiamo leggere i due aspetti della vita che conduciamo: contare su se stessi, l’altra invece su Dio e sulla sua venuta; al lavoro da soli, al lavoro insieme con Dio; addormentati interiormente, vigilanti.
Modi diversi di vivere la vita. Il discepolo però deve gettare nel Signore il suo affanno: Signore ti affido questa situazione che pare irrisolvibile, tu puoi risolverla contro ogni umana previsione… Tu sei il mio pastore!
v. 42: Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo versetto, se sfogliassimo i vangeli lo incontreremmo più volte in bocca a Gesù. La non sicurezza è stata sempre messa in guardia da Gesù. Persino la morte può essere per noi motivo di rifiuto e quindi vivere come se non esistesse. Eppure lo sappiamo che dobbiamo morire. È la nostra cecità che in questo momento viene ammonita. Il nostro essere duri nel cuore. Ecco perché il tema della vigilanza.
L’evangelista per farlo capire ne parla fino al cap. 25. Vigilare significa, non starsene barricati, sicuri, ma assumersi ogni giorno le proprie responsabilità, affrontare gli avvenimenti della vita. È un mettersi continuamente alla presenza del Signore. Nell’essere vigilanti ci sta quella forza di spezzare l’indifferenza, l’inerzia, la distrazione. San Paolo scrivendo ai cristiani di Roma dice: “è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti” (Rom 13,11). Chi dorme vive nel torpore dei sensi, è supino, “ha occhi ma non vede, ha orecchi ma non ode” (Ger 5,21), ha labbra ma non parla, il suo cuore batte ma non ama: dorme! Diversamente è la persona opposta che è sveglia. Egli è capace di stare in piedi nella vita di tutti i giorni, perché capace di stare alla presenza di Dio e legge la realtà della vita partendo dal cuore di Dio, un cuore capace di amare oltre ogni misura fino al dono della propria vita.
Romano Guardini ci invita a vivere la vigilanza come virtù cristiana. Quindi, un ulteriore significato al termine vigilare è cogliere, capire il presente per scoprirvi il passaggio di Dio non per ammirarlo ma come un tempo di grazia per vivere e dare speranza al nostro tempo.
v. 43: Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. L’insistenza di Gesù: “cercate di capire”, ci fa pensare quanto Gesù ha a cuore la nostra sorte. Queste prime parole riprendono quanto detto al v. 34: “In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”.
La parte finale di questo versetto ci obbliga a metterci in ricerca interiore e non ad aspettare gli eventi della vita che ci distruggono (descritti qui con il ladro), ma saperli leggere alla luce del vangelo. Possiamo leggere la casa descritta qui come la cella del nostro cuore, ove riscoprire e orientare le nostre scelte di fede, un riscoprire la sobrietà della vita: un vivere la purità di cuore che è legata fondamentalmente alla vita spirituale per la beatitudine che gli è associata: “perché vedranno Dio” (Mt 5,8).
“Se noi dunque desideriamo incontrare Dio, dobbiamo cercarlo nella cella del nostro cuore. Se riusciremo veramente a comprendere che tutto è intimamente unito in Dio, raggiungeremo la pace e la bellezza!” (Tagore) e la casa del nostro cuore sarà intatta.
v. 44: Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Per rafforzare quanto detto prima, Gesù dice che il Figlio dell’uomo verrà nel momento in cui non si pensa. Dio viene quando meno si aspetta. L’ora di cui parla Matteo richiama il giorno e il tempo di cui Paolo parla in Rm 13,11-14. Non un semplice tempo cronologico, ma un kairos. Nella Bibbia il tempo è visto come dono di Dio ed è posto sempre in relazione all’uomo e alla storia.
In questo momento Gesù rivolgendosi a noi continua a chiederci di vigilare attentamente conducendo una vita serena verso la perfezione. San Paolo esorta: “il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (1Ts 5,23). Questo atteggiamento è segno di maturità, in cui vigilanza e pace si mescolano. Lasciamo allora che la Parola di Dio invada le nostre coscienze e ci riempia della forza dell’amore da poter donare e restare così “svegli” per incontrare il Signore che viene all’improvviso!

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Questo tempo felice che noi chiamiamo «Avvento del Signore», presenta alla nostra meditazione un doppio motivo di gioia, perché duplice è il dono che ci porta.
L’Avvento ci ricorda una duplice venuta del Signore: quella dolcissima per lungo tempo attesa e desiderata ardentemente da tutti i padri, nella quale «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44, 3), «il Desiderato da tutte le genti» (Ag 2, 8 Volg.), il Figlio di Dio, rese manifesta in questo mondo la sua visibile presenza nella carne, quando venne sulla terra a salvare i peccatori; poi la venuta che dobbiamo ancora aspettare con sicura speranza, quando lo stesso Signore nostro, apparso dapprima sotto il velo della nostra umanità, apparirà fulgente nella sua gloria, come canta il salmo: « Viene il nostro Dio» (Sal 49, 3).
La sua prima venuta fu conosciuta da pochi giusti; nella seconda egli si manifesterà con piena evidenza ai giusti e ai reprobi, come insinua chiaramente il profeta: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (cfr. Is 52, 10). Il giorno che celebreremo fra poco in memoria della sua natività ce lo presenta nato, e particolarmente ci richiama il giorno e l’ora della sua venuta nel mondo; questo tempo invece che stiamo celebrando in precedenza ci fa ricordare il Desiderato, cioè il desiderio dei santi padri che vissero prima della sua nascita.
Molto giustamente la Chiesa ha disposto che in questo tempo si leggano le parole e si ricordino i desideri di coloro che precedettero il primo avvento del Signore.
E noi non celebriamo questa attesa soltanto per un giorno, ma per un tempo piuttosto lungo; perché è un fatto di esperienza che le cose vivamente desiderate, se devono essere attese per un certo tempo, ci sono più dolci quando ciò che amiamo si fa presente. Sta a noi, perciò, fratelli carissimi, seguire gli esempi dei santi padri, coltivare in noi stessi i loro desideri, e così accendere nelle nostre anime l’amore e l’attesa di Cristo. La celebrazione di questo tempo fu istituita appunto per farci riflettere sulla fervente attesa dei nostri padri per la prima venuta del Signore, e perché impariamo dal loro esempio a desiderare grandemente la sua seconda venuta.
Ripensiamo quanti beni ci donò il Signore col suo primo avvento; e come ce ne darà di molto più grandi col secondo. Questa considerazione ci porti ad amare molto il mistero della sua nascita e a desiderare molto la sua seconda venuta. E se non abbiamo tale buona coscienza che osi desiderare l’ora in cui Cristo tornerà, dobbiamo almeno temerla, e per tale timore correggerci dei nostri vizi. Perché, se accade che ora non possiamo non temere, almeno non abbiamo a temere quando egli verrà, ma possiamo allora sentirci tranquilli. (Aelredo, abate, «Discorsi»)

Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ven’è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l’altra porterà una corona di divina regalità. Si può affermare che quasi sempre nel nostro Signore Gesù Cristo ogni evento è duplice. Duplice è la generazione, una da Dio Padre, prima del tempo, e l’altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi.
Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti. Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell’ al tra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria.
Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9), la stessa lode proclameremo nella seconda. Cosi andando incontro al Signore insieme agli angeli e adorandolo canteremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9).
Il Salvatore verrà non per essere di nuovo giudicato, ma per farsi giudice di coloro che lo condannarono. Egli che tacque quando subiva la condanna, ricorderà il loro operato a quei malvagi, che gli fecero subire il tormento della croce, e dirà a ciascuno di essi: «Hai fatto questo e dovrei tacere?»(Sal 49,21). Allora in un disegno di amore misericordioso venne per istruire gli uomini con dolce fermezza, ma alla fine tutti, lo vogliano o no, dovranno sottomettersi per forza al suo dominio regale. Il profeta Malachia preannunzia le due venute del Signore: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate» (Ml 3, l). Ecco la prima venuta. E poi riguardo alla seconda egli dice: «Ecco l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene… Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare» (Ml 3, 1-3). Anche Paolo parla di queste due venute scrivendo a Tito in questi termini: «E apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2, 11-13). Vedi come ha parlato della prima venuta ringraziando ne Dio? Della seconda invece fa capire che è quella che aspettiamo. Questa è dunque la fede che noi proclamiamo: credere in Cristo che è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. E il suo regno non avrà fine. Verrà dunque, verrà il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli; verrà nella gloria alla fine del mondo creato, nell’ultimo giorno. Vi sarà allora la fine di questo mondo, e la nascita di un mondo nuovo. (Cirillo di Gerusalemme, vescovo, Catechesi. 15,1).

Senza l’attenzione e la vigilanza dell’intelletto, è impossibile che ci salviamo e siamo liberati dal diavolo che, come leone ruggente va in giro e cerca di divorare qualcuno, come dice il Damasceno. Per questo, spesso il Signore diceva ai suoi discepoli: Vigilate e pregate, perché non sapete, e il seguito. Attraverso di loro dichiarava cosi a tutti, a proposito del ricordo della morte, di essere pronti a dare una giustificazione accettabile, quella che proviene dalle opere e dall’attenzione. Poiché i demoni, dice sant’Ilarione, sono immateriali, insonni e mettono ogni cura nel farci guerra e nel perdere le nostre anime con la parola, l’opera e il pensiero, mentre noi non siamo come loro: ora ci preoccupiamo delle mollezze e della gloria che passa, ora delle cose di questa vita, e di tante altre sempre. E non vogliamo avere nemmeno una parte di tempo per scrutare la nostra vita, affinché da questo l’intelletto possa prendere l’abitudine di badare a se, stesso spesso e senza tregua. Dice Salomone: Tu cammini in mezzo a molte trappole. Su di esse ha scritto il Crisostomo, spiegando cosa sono con grande precisione e pienissima sapienza Il Signore, volendo escludere ogni preoccupazione, ci ha ordinato di disprezzare il cibo stesso e il vestito affinché abbiamo una sola preoccupazione, cioè in che modo salvarci – come una gazzella dal laccio e un uccello dalla trappola – e perché giungiamo ad avere la vista acuta della gazzella e a volare in alto come l’uccello grazie all’assenza di preoccupazioni. Ed è davvero cosa mirabile che Salomone, essendo re, dicesse queste cose. Anche il padre di lui aveva parlato e agito allo stesso modo, ma entrambi, dopo aver vissuto con tanta attenzione e tante lotte, in tutta sapienza e virtù, dopo doni tanto grandi e la manifestazione di Dio, furono purtroppo vinti dal peccato, tanto che l’uno ebbe a piangere contemporaneamente adulterio e assassinio, e l’altro cadde in misfatti gravissimi. Non è questo un fatto che riempie di timore e tremore chi ha intelletto? Come dicono il Climaco e l’asceta Filemone. Come dunque non tremiamo e non fuggiamo, a causa della nostra debolezza, l’agitazione di questa vita, noi che non siamo nulla, e restiamo invece insensibili come bruti? E se almeno, come i bruti, avessi custodito la natura, miserabile che sono! … (Pietro Damasceno sul tema: Come sia impossibile salvarsi senza rigorosa attenzione e custodia dell’intelletto).

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Riprendiamo la lettura del brano evangelico e fermiamoci guardando alla nostra realtà. Non è forse la situazione largamente riscontrabile ai nostri giorni? Non capita anche a molti di noi lasciarsi totalmente assorbire dalle preoccupazioni e impegni quotidiani, simboleggiati dal “mangiare e bere”, dalle cose effimere, da non aver tempo per l’oltre proprio dell’uomo/donna e, quel che è peggio, da essersi talmente addormentati da non percepirne il valore, da non avvertirne il bisogno? Quale ponte di speranza nella nostra vita? O ci piace fasciare e tenerci il nostro pensiero perché non ci crediamo?
L’avvento è momento favorevole per guardarci attorno, per guardarci dentro, per rivedere le nostre scelte, i nostri stili di vita alla luce della Parola di Dio. Quale è il nostro modo di aspettare la venuta di Gesù?

Pregare
Di fronte a Dio che viene incontro a noi non possiamo che esultare. Per questo insieme al Salmista rispondiamo col cuore gioioso al Signore (Sal 121):

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.

Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.

Contemplare-agire
Interiorizziamo il significato profondo dell’Avvento e accogliamo nella vita di tutti i giorni il monito che ci viene dalla Dottrina degli Apostoli: Vigilate sulla vostra vita: che le vostre lampade non si spengano e non si sciolgano le cinture dai vostri fianchi. State pronti, perché non sapete l’ora in cui nostro Signore verrà. Radunatevi frequentemente, per cercare insieme ciò che più conta per le vostre anime; a che cosa vi gioverà il tempo vissuto nella fede, se, all’ultimo momento, non sarete trovati fedeli? (Dalla Didaché).

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