Lectio divina su Lc 17,5-10
Il giusto vivrà per la sua fede
Signore Gesù, ti ringraziamo per il dono della Parola per capire meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini questo cammino interiore e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola suggerirà ai nostri cuori. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
Leggere
5Gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe. 7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? 8Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
Passi utili alla meditazione
Mt 8,5-13.26; 9,2; 10,5-8; 13,31-32; 14,28-31; 17,18-20; 21,18-22; Mc 4, 30-32.37-41; 5,21-23.36; 9,17-24; 16,11-17; Lc 7,37-38.50; 22,25-27; 2Cor 12,7-10; Gb 22,3; Gal 2,20; 1Pt 5,2; 1Cor 3,9
Capire
Nelle sue istruzioni ai discepoli e alle folle che lo seguono lungo la strada, Gesù ha ripetutamente parlato delle dure esigenze che comporta il seguirlo. Le possiamo riassumere in due affermazioni: “Chi non preferisce me al padre, alla madre, alla moglie e ai figli, ai fratelli e alle sorelle e perfino alla propria vita non può essere mio discepolo” (14,26); e poi l’altra: “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (14,33).
Ora non c’è più un discorso sulle esigenze del vangelo, cioè sulle cose da lasciare e sugli impegni da assumere, ma alcune parole sulle condizioni che le rendono possibili e sulle modalità che le devono accompagnare. Queste sono due: la fede e l’umiltà. Per avere il coraggio di seguire Gesù occorre la fede, e se Dio ti dà il coraggio di seguirlo non vantartene.
Gli interventi salvifici di Gesù sono sempre legati alla fede. E che tipo di fede bisogna avere? Anche se Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato”, è chiaro che non è la fede dell’uomo che salva, ma la potenza di Dio. La fede però ne è la condizione, senza la fede anche la potenza di Dio si annulla. Perché? Perché aver fede significa riconoscere la nostra impotenza e, nello stesso tempo porre tutta la fiducia nella potenza del Signore. La fede è il rifiuto di contare su di sé per contare unicamente sul Signore. E’ questo lo spazio interiore necessario che il Signore vuole per donarci la salvezza e il coraggio di seguirlo. Ma se la fede è tutto questo, allora è anche chiaro che non è qualcosa che possiamo ricavare da noi o costruire da soli: anche la fede è, a sua volta, un dono. E non resta perciò che chiederla, come hanno fatto i discepoli: “Signore aumenta la nostra fede”. Lo ha fatto Gesù stesso nei confronti di Pietro: “Simone, ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno” (22,32).
All’insegnamento sulla fede segue la parabola, esclusiva di Luca. Indirizzata agli apostoli, questa parabola avverte i capi della Chiesa che essi non possono mai fermarsi e riposarsi nella convinzione di avere già lavorato abbastanza.
Questa piccola parabola, non intende descriverci il comportamento di Dio verso l’uomo, ma indicarci come deve essere il comportamento dell’uomo verso Dio: totale disponibilità, senza calcoli, senza pretese, senza contratti. Non si entra nello spirito del vangelo con lo spirito del salariato: tanto di lavoro e tanto di paga, nulla di più e nulla di meno. Dopo una giornata piena di lavoro, non dire “ho finito” e non accampare diritti. Non vantartene e non fare confronti con gli altri, ma dì semplicemente: ho fatto il mio dovere, sono soltanto un servo.
Meditare
vv. 5-6: Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape…I discepoli si rendono conto che non è facile avere gli atteggiamenti che Gesù ha appena richiesto da loro: attenzione verso i più piccoli (Lc 17,1-2) e riconciliazione verso i fratelli e le sorelle più deboli della comunità (Lc 17,3-4). E questo con molta fede! Non solamente fede in Dio, ma anche fede nella possibilità di recupero del fratello e della sorella. Per questo, vanno da Gesù e gli chiedono di accrescere la loro fede.
Il verbo “accresci” può essere anche tradotto con “accordaci” la fede. Si potrebbe mettere questo versetto in relazione con Mt 13,31 e a quanto si dice a proposito del Regno dei cieli: (‘il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa. [..] Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto è più grande degli altri legumi…).
La nostra fede ha nel granello di senapa la stessa dimensione del Regno di Dio. Un granello di senape è piccolo come una pulce, minuscolo, quasi invisibile. Ma una volta seminato velocissimamente cresce, e nell’arco di un anno quel piccolo seme può divenire un albero anche di tre o quattro metri. La dimensione del granello di senapa non è la dimensione minima richiesta, ma la dimensione massima richiesta. Questo testo è di grande speranza per le nostre parrocchie. I movimenti rischiano di essere sempre cose grandi, dove tutto riesce; difficilmente si riconduce al granello di senapa la dimensione che hanno i movimenti. Il vangelo va in un’altra direzione. La dimensione di piccolezza che la chiesa vive è in realtà la dimensione necessaria che il vangelo ci chiede.
La risposta – se aveste fede – equivale a dire che non è questione di quantità ma di autenticità della fede. La fiducia nell’aiuto divino e l’aiuto divino stesso, quando ci sono, operano le cose che sembrano le più difficili.
potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe. Il gelso, è un albero secolare, può vivere anche seicento anni, ha radici profonde, che si abbarbicano nella terra. E’un albero molto difficile da sradicare, simbolo di solidità, di staticità, di inamovibilità. E che un gelso si radichi nel mare, beh è alquanto difficile (cioè impossibile)! Allora qui Gesù dice: “Se aveste un po’ di fede, di fede vera, autentica, trasparente, nulla vi sarebbe impossibile, nessun ostacolo potrebbe fermare il vostro cammino”. Nel vangelo troviamo spesso frasi del genere: “Tutto è possibile per chi crede; la tua fede ti ha salvato; chi ha fede sposta le montagne; tutto ciò che chiederete, credete e vi sarà dato”. Se vuoi vedere la tua fede, la tua fiducia in Dio e nella vita guarda a come reagisci di fronte agli ostacoli.
Gelso è anche la paura di cambiare e di non sapere cosa accadrà poi; il timore di affrontare una paura; la paura di non avere le forze per reggere; la paura di conoscersi e di guardarsi dentro; la paura di affrontare chi temiamo o chi consideriamo superiori; la paura di rimanere da soli che ci fa accattonare l’amore; la paura di essere impopolari; un “salto” di vita che dovresti fare ma di cui sei terrorizzato; un sogno da inseguire che tutti deridono; una malattia che ti si manifesta e di cui hai paura, ecc. Ma basta un po’ di fede. Tu inizia; tu datti da fare; tu mettiti in movimento e scoprirai che quella piccola fede diventerà enorme (piccolo seme che diventa un albero enorme) e compirà l’impossibile.
vv. 7-9: Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Per insegnare che nella vita della comunità tutti devono essere abnegati e distaccati da sé, Gesù si serve dell’esempio dello schiavo. In quel tempo, lo schiavo non poteva meritare nulla. Il padrone, duro ed esigente, gli chiedeva solo il servizio. Non era solito ringraziare. Dinanzi a Dio siamo come lo schiavo davanti al suo padrone.
Aver fede significa diventare disponibili a Dio, ascoltare la sua parola così profondamente da venirne trasformati, essere “trasparenti” alla sua volontà. Chi crede, dunque, non crea ostacolo alcuno all’azione di Dio, non l’offusca, la lascia passare.
La fede lascia passare sempre e solo l’azione di Dio attraverso di noi; non costringe Dio a fare quello che vogliamo noi ma permette a noi di fare quello che vuole lui. Lo si vede bene dalla piccola similitudine del servo che, dopo aver faticato e arato tutto il giorno, rientra a casa.
Dopo aver servito tutto il giorno diventerà forse padrone la sera? No; egli rimane pur sempre servo. Può sembrare umiliante questo modo di immaginare il rapporto con Dio; e si tratta invece di un rapporto liberante. Vediamo perché. Supponiamo che il nostro servizio fosse “necessario” per la salvezza del mondo; non ne rimarremmo bloccati?
Ogni impegno diventerebbe un esame pauroso, ogni errore si muterebbe in tragedia; siano rese grazie a Dio per il fatto che la salvezza del mondo non dipende da una cosa così fragile e variabile come la nostra volontà. D’altra parte, se non avessimo da servire, se dovessimo solo stare a braccia conserte in attesa della salvezza di Dio, la nostra vita diverrebbe meschina, senza sapore.
Invece possiamo e dobbiamo lavorare, ma con la libertà di chi sa che il suo lavoro è assunto e valorizzato da un Dio che è più grande di lui. Che il nostro lavoro venga qualificato “inutile” vuol dire solo che su di esso non possiamo fondare pretesa alcuna; che non possiamo contrattare con Dio la sua risposta al nostro impegno.
La fede è la tecnica per imparare a servire Dio nel modo giusto. Chi la usa, permette a Dio di operare attraverso di lui e diventa perciò strumento della salvezza di Dio. E siccome Dio vuole la salvezza, chi ha fede introduce con il suo comportamento una forza di salvezza nel mondo.
v. 10: Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Il servizio di Dio richiede la sottomissione di un servitore. Il servizio che il servo (Gesù) ci rende è un servizio che non ci fa sentire obbligati, è un servizio che ci libera. E questo dovrebbe essere il servizio che ognuno di noi è chiamato a svolgere. Siamo schiavi non necessari, cioè non arrechiamo profitto. Siamo coloro che, non arrecando profitto, servono unicamente per dono.
Siamo servi inutili… Attenzione a questa espressione che può portarci fuori strada. Siamo dei poveri servi, dei servi senza utile. L’espressione evangelica vuole esprimere che il “servire” non è qualcosa che si viene ad aggiungere alla condizione umana, come un possibile merito, come una realtà superflua ed accidentale. L’essere creatura dell’uomo, opera del Creatore, implica la disponibilità e la normalità dell’essere messi a disposizione, dell’essere chiamati a servire. Un uomo che non “servisse” avrebbe fallito la sua stessa identità, avrebbe perso la sua vita, avrebbe perso se stesso. Colui, invece, che vive la sua esistenza proprio come servitore, non fa altro che rispondere a quel disegno iscritto nella sua stessa vita, nello stesso disegno divino che lo ha generato. Ecco perché non è necessaria una ricompensa, ecco perché il servire non diviene motivo di rivendicazioni. Tutto ciò che abbiamo ricevuto non lo meritiamo. Viviamo grazie all’amore gratuito di Dio. L’evangelista Matteo, descrive Pietro che rivolge a Gesù questa domanda: “Ecco noi abbiamo abbandonato ogni cosa e ti abbiamo seguito, che avverrà di noi?” (Mt 19,27). Gesù risponde a questo modo di pensare con la parabola degli operai della vigna (cfr. Mt 20,1-16).
Luca descrive il servo di Dio come colui che compie il suo dovere e non ha il diritto di avanzare pretese nei confronti di Dio, può solo dire con San Paolo: “non ho di che vantarmi se annuncio il vangelo; è un dovere questo che mi è imposto, e guai a me se non predicassi” (1Cor 9,16).
Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Qualora tu fossi infedele o povero di fede, il misericordioso Dio ti seguirà sulla via del pentimento. Dì solamente, con semplicità: Credo, Signore; aiutami nella mia incredulità (Mc 9.23). Che se invece ti credi fedele, non hai ancora la perfezione della fede, ma ti è necessario dire, come gli apostoli: Signore, aumenta in noi la fede (Lc 17.5), poiché essa in piccola parte proviene da te stesso, ma la parte più grande la ricevi da lui.
Il termine ‘fede’ è unico come vocabolo, ma la realtà che esso significa è duplice. V’è una specie di fede, quella dei dogmi, che consiste nell’assenso dell’anima a una verità; essa è utile all’anima, secondo la parola del Signore: Chi ascolta le mie parole e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non viene alla condanna (Gv 5.24) e ancora: Chi crede in lui non è condannato (Gv 3.18): ma è passato da morte a vita (Gv 5.24).(…) V’è una seconda specie di fede, quella che ci è donata da Cristo come puro dono gratuito. Dallo Spirito a uno è dato il linguaggio della sapienza, a un altro il linguaggio della scienza secondo il medesimo Spirito; a uno la fede, nel medesimo Spirito; a un altro il dono delle guarigioni (1Cor 12.8-9).
Questa fede che è dono gratuito dello Spirito, non riguarda solamente i dogmi, ma anche l’efficacia di operare cose che superano le umane possibilità. Chi possiede questa fede dirà a questo monte: “Trasferisciti di qui a lì” ed esso si trasferirà. Quando uno dice questo mosso dalla fede, e crede che ciò avvenga e non ne dubita in cuor suo (Mc 11.23), riceve la grazia. È a questa fede che si riferisce la frase: Se avete fede come un grano di senape (Mt 17.20). Un grano di senape è piccolo di mole, ma ha la forza di bruciare: seminato in un piccolo recinto, emette grandi rami e una volta cresciuto è capace di fornire ombra agli uccelli (Mt 13.32). Così anche la fede ha la forza di operare grandissime cose buone in pochissimo tempo. (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 5.9-11)
Un monaco disse: ‘Ogni volta che provi un senso di superiorità o un moto di vanità, esamina la tua coscienza. Domandati se osservi tutti i comandamenti, se ami i tuoi nemici e piangi per le loro colpe, se ti consideri un servo inutile e il peggior peccatore del mondo.
Ma anche dopo questo esame, non ti fare un’idea troppo grande di te, come se tu fossi un perfetto: questo pensiero guasterebbe tutto!’. Un altro monaco disse: “Chi è onorato e lodato più di quanto meriti subisce un gran danno, mentre chi dagli uomini non riceve onori, sarà glorificato in cielo”. (Detti dei Padri del deserto n.165-6)
Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Ripetiamo spesso nella preghiera: Signore, accresci la mia, la nostra fede!”?
Moltiplichiamo gli atti di fede davanti a ogni situazione personale o no dove ci ritroviamo deboli e impotenti?
Ci consideriamo servi in ogni gesto che compiamo vedendolo come un servizio d’amore a Lui presente negli altri?
Siamo capaci di fare della propria vita un servizio senza aspettare la ricompensa?
Pregare
Nel suo atteggiamento di servizio Gesù ci rivela il volto di Dio che ci attira, ed il cammino di ritorno verso Dio. Preghiamo perché la speranza dell’incontro con il Maestro sia sempre viva e si rinnovi nella vita di tutti i giorni. Dal Sal 72 (71):
Dio, dà al re il tuo giudizio,
al figlio del re la tua giustizia;
regga con giustizia il tuo popolo
e i tuoi poveri con rettitudine.
Le montagne portino pace al popolo
e le colline giustizia.
Ai miseri del suo popolo renderà giustizia,
salverà i figli dei poveri
e abbatterà l’oppressore.
Il suo regno durerà quanto il sole,
quanto la luna, per tutti i secoli.
Scenderà come pioggia sull’erba,
come acqua che irrora la terra.
Nei suoi giorni fiorirà la giustizia
e abbonderà la pace,
finché non si spenga la luna.
E dominerà da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
A lui si piegheranno gli abitanti del deserto,
lambiranno la polvere i suoi nemici.
Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte,
i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.
A lui tutti i re si prostreranno,
lo serviranno tutte le nazioni.
Egli libererà il povero che grida
e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero
e salverà la vita dei suoi miseri.
Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso,
sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue.
Vivrà e gli sarà dato oro di Arabia;
si pregherà per lui ogni giorno,
sarà benedetto per sempre.
Abbonderà il frumento nel paese,
ondeggerà sulle cime dei monti;
il suo frutto fiorirà come il Libano,
la sua messe come l’erba della terra.
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole persista il suo nome.
In lui saranno benedette
tutte le stirpi della terra
e tutti i popoli lo diranno beato.
Benedetto il Signore, Dio di Israele,
egli solo compie prodigi.
E benedetto il suo nome glorioso per sempre,
della sua gloria sia piena tutta la terra.
Amen, amen.
Contemplare-agire
Lasciamo che la Parola illumini la nostra vita. Apriamo le porte del nostro cuore per scoprire quella piccolezza, “inutilità” che sta in noi per essere capaci di piantare gelsi nel mare.