Dio ci benedica con la luce del suo volto
Lectio divina su Lc 2,16-21
Invocare
nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Leggere
19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
21 Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Meditare
Per fare questo cammino, i nostri giorni terreni, come il giorno eterno, sono illuminati da due nomi: il nome del Signore Gesù, al di là del quale non si dà altro nome né nel secolo presente né in quello futuro, e il nome della sua vergine Madre, Maria memoria della nostra autentica identità, posta come modello e riferimento per dare speranza e senso ai giorni del nuovo anno che incomincia.
v. 16: Premessa. La liturgia odierna taglia una parte del brano evangelico. Mancherebbe il v. 15 nel quale i pastori dichiarano semplicemente di voler andare a “vedere”, espressione che presuppone adesione a quanto era stato loro annunziato dagli angeli: “Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano tra loro: Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”.
Il testo greco usa i termini rhèma tò ghegonòs. Vediamo questa parola che è avvenimento, fatto. Il termine greco rhèma traduce il vocabolo ebraico dabar: “parola-cosa-avvenimento”. Nelle lingue semitiche si usa il termine parola per indicare un avvenimento che è portatore di significato. La Pace che dal cielo viene agli uomini è un fatto concretissimo: la Parola di Dio che si fa carne.
“Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Dopo aver ricevuto il messaggio, i pastori devono diventare testimoni oculari. I pastori sono modelli di fede. I pastori fanno propria l’attesa dei poveri, di quei poveri di Javhè della Scrittura. Si tratta di un lieto messaggio atteso, dato ai poveri in una stalla, dato a chi ha dimestichezza con queste cose, con le stalle, le mangiatoie.
L’evangelista ama sottolineare ancora una volta la fretta – senza indugio – per adempiere l’incarico del Signore. Vanno in fretta e scoprono Maria, Giuseppe e il bambino che giace in una mangiatoia. La sottolineatura di questo segno dato da parte degli angeli, e il suo riscontro da parte dei pastori, vuole essere un elemento che evidenzia ancora di più l’aspetto umano di colui che è il Figlio di Dio.
“trovarono…videro”. Sono i verbi classici per indicare l’incontro dei discepoli con Gesù.
v. 17: “E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. I pastori vedono la realtà di ciò che il Signore ha fatto loro conoscere. Ed è tanto importante che non possono trattenersi dal renderlo noto agli altri. Diventano messaggeri e apostoli.
Si profila la dinamica missionaria della Chiesa: l’annuncio porta all’ascolto, l’ascolto alla visione. A sua volta chi ha visto porta ad altri l’annunzio perché attraverso l’ascolto giungano alla visione.
Il contenuto del loro annunzio è ciò che del bambino era stato detto loro. Dal testo greco: perì toù rhèmatos: “circa la parola che è avvenimento”. Sulle labbra dei pastori è la testimonianza che Dio rende del suo Figlio. È il mistero di una povertà che non va risolta ma ascoltata, una povertà che rende testimonianza a un Cristo povero.
v. 18: “Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori”. È la meraviglia, la sorpresa che il Vangelo non può non suscitare. Lo stupore di tutti all’udire ciò che i pastori rivelano di questo bambino è legato alla sproporzione fra le pretese di regalità messianica e di salvezza proclamate e le apparenze modestissime della scena, fra ciò che è stato detto e l’evento, tra la parola e il fatto. I pastori non si rendono conto che ciò di cui sono stati resi depositari aveva creato stupore negli altri.
v. 19: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Alcuni traducono: queste parole. Il cuore di Maria, sede di parole ricordate a approfondite nello Spirito, è pertanto un cuore di sapienza simile a quello dello scriba che da suo tesoro sa trarre e comporre cose antiche e cose nuove; è anticipazione e figura del cuore dei figli della sapienza (Lc 7.35), della chiesa dell’ascolto accolto, custodito, meditato e pregato perché si affretti il tempo in cui il non chiaro sia reso trasparente. Luca sottolinea la meditazione di Maria sui fatti il cui senso sarà manifestato solo nella rivelazione pasquale.
Maria, cioè, è tutta raccolta e concentrata in se stessa per penetrare più a fondo nel significato degli avvenimenti in cui s’è trovata coinvolta. Li confronta fra di loro e con la comunicazione che i pastori hanno fatto sul Bambino. Maria appare così come colei che è madre e sa interpretare gli eventi del Figlio.
Maria diventa, così, simbolo e modello della comunità cristiana, che in atteggiamento sapienziale e contemplativo cerca di assimilare interiormente il mistero inesauribile del Verbo Incarnato.
v. 20: “I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. L’ascolto della Parola è dono di Dio. I pastori glorificano Dio per quello che hanno udito. Questa è la forza e l’umiltà della Parola, la forza e l’umiltà dei poveri.
Vedere e udire sono verbi della fede. Proprio il binomio, akùein e idèin, che tante volte ricorre negli Atti degli Apostoli, configura i pastori come i primi testimoni-apostoli.
Potremmo osservare che l’esperienza cristiana, in questo brano, è espressa da pochi verbi che interagiscono tra loro: ascoltare, ubbidire, trovare, vedere, testimoniare, lodare. E’ importante verificare se e come li coniughiamo nella nostra vita, se e in quale misura sappiamo annunciare la gioia d’avere incontrato il Salvatore.
v. 21: Il testo evangelico prosegue menzionando il rito della circoncisione (attraverso il quale il Bambino è inserito ufficialmente nel popolo di Dio) e l’imposizione del nome, a cui Luca dà un risalto particolare: è Dio che ha voluto tale nome e quindi la missione che esso esprime.
“Gli fu messo nome Gesù”. Il nome nella Bibbia dice l’identità e la missione di chi lo porta. Gesù, infatti, nella lingua ebraica si scrive: Yehôsua‘ e significa YHWH salva (le prime lettere indicano il Nome che i nostri fratelli ebrei non pronunciano mai perciò noi con profondo rispetto, diciamo: Dio salva. Questa attenzione da parte l’evangelista sta ad indicare che il nome imposto è il Nome innominabile, origine di ogni nome. Ora possiamo nominare Dio perché si è donato a noi. Il nome di Dio per l’uomo non può essere che Gesù, cioè “Dio salva”. Dio è per noi, perduti e lontani da lui, perché si chiama Gesù, Dio-con-noi e Salvatore.
Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Il Verbo di Dio, come dice l’Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2, 16. 17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi.
Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2, 7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore, egli fu offerto in sacrificio.
Gabriele aveva dato l’annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente «colui che nascerà in te», perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: «da te» (cfr. Lc 1, 35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l’Apostolo: «Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (cfr. 1 Cor 15, 53).
Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l’umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l’uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.
Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto identico al nostro; infatti Maria è nostra sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
Ciò che leggiamo in Giovanni «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14), ha dunque questo significato, poiché si interpreta come altre parole simili.
Sta scritto infatti in Paolo: «Cristo per noi divenne lui stesso maledizione» (cfr. Gal 3, 13). L’uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.
Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. E’ rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo (Atanasio, «Lettere» Ad Epitetto 5-9).
Oggi il Verbo è apparso rivestito di carne: la natura che mai era stata visibile agli occhi umani, incominciò ad essere persino palpabile. Oggi i pastori appresero dalle parole degli angeli che il Salvatore è stato generato nella natura di carne e anima. Oggi ai pastori del gregge del Signore è stato dato il modello di evangelizzazione, sicché anche noi, uniti alla moltitudine delle milizie celesti, acclamiamo: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama (Leone Magno, Discorso VI per il Natale)
Un prodigio è la madre Tua! Il Signore entrò in essa e divenne un servo. Entrò in essa colui che è l’eloquenza stessa e divenne muto in lei. Entrò in lei il tuono e costrinse la sua voce al silenzio. Entrò il pastore di tutti e in lei divenne agnello. Belando uscì alla luce del giorno. Il seno della madre tua ha sovvertito l’ordine della cose. Il Creatore di tutte le cose vi entrò ricco e ne uscì mendicante; vi entrò eccelso e ne uscì umile. Vi entrò splendore e ne uscì uno ricoperto di sprezzabile colore. (…) Vi entrò colui che nutri tutti e imparò ad avere fame. Vi entrò colui che disseta tutti e imparò ad avere sete. Colui che veste tutti, ne uscì nudo e privo di vesti (Efrem Siro, Inni sulla Natività, 11).
– Alcune domande per la riflessione personale e il confronto:
Quale è il frutto del contemplare con fede l’avvenimento salvifico?
Quale annuncio oggi è capace di mettermi in cammino?
Quale annuncio oggi è capace di smuoverci?
Lo vedo da cosa ho bisogno di essere salvato?
Perché non assumerci l’impegno in questo 2010 che inizia, di ripartire da Dio, di mettere l’ascolto della Parola e la meditazione al centro della nostra giornata?
Pregare
Raccogliamoci in silenzio ripercorrendo la nostra preghiera e rispondiamo al Signore con le sue stesse parole (dal Sal 66):
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
fra tutte le genti la tua salvezza.
Esultino le genti e si rallegrino,
perché giudichi i popoli con giustizia,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio,
e lo temano tutti i confini della terra.
Contemplare-agire
Proviamo a contemplare il presepio per vedere se ha qualcosa da dirci. Per conoscerlo, come i pastori, dobbiamo andare alla grotta e cercare di vedere se c’è una novità, ascoltare cosa ci dice Dio.
Ripeti spesso e vivi questa Parola: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.