Donaci, Signore, il pane della vita.
Lectio divina su Gv 6,24-35
Invocare
Donaci, o Padre, di riconoscere nel Figlio il volto del tuo amore, la Parola di salvezza e di misericordia, perché lo seguiamo con cuore generoso e lo annunciamo con le opere e le parole ai fratelli e alle sorelle che attendono il Regno e la sua giustizia. Colmaci del tuo Spirito perché il nostro ascolto sia attento e la nostra testimonianza sia autentica e libera, anche nei momenti di difficoltà e di incomprensione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.
Leggere
In quel tempo, 24quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
– Facciamo un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa risuonare in noi.
Meditare
Con la domenica della moltiplicazione dei pani, è iniziato il grande discorso del pane di vita, che ci accompagnerà per diverse domeniche.
L’evento-segno dei pani è qui richiamato per essere poi discusso nel suo significato fino al v. 65. La folla, messa in moto dalla straordinarietà del fatto e per il pasto abbondante che ha ricevuto, si mette alla ricerca di Gesù. Ha visto e goduto di un miracolo, ma non è stata in grado di cogliere la portata vera, ciò che sta sotto quel segno. Per questo Gesù invita la folla ad uscire dall’unica preoccupazione del cibo materiale. Bisogna darsi pensiero anche per procurarsi il cibo che non perisce, che pure richiede fatica, quel cibo che “permane in vita eterna”. L’unico che può donare questo cibo, che non solo “dura in vita eterna”, ma produce già ora vita eterna, è il Figlio dell’uomo, perché Dio Padre lo ha mandato per questo scopo e a tale scopo ne ha consacrato la missione. E l’unica opera con la quale l’uomo può guadagnarsi quel cibo è credere in colui che egli ha mandato. La fede è insieme opera di Dio e dell’uomo.
v. 24: Questo versetto vuole riallacciarsi a quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa (Gv 6,1-15). Qui ritroviamo la “folla” che si accorge dell’assenza di Gesù e che va in cerca di Lui.
La “folla” giovannea non è molto dissimile da Israele nel deserto, che pur vedendo i prodigi non comprende e pensa di utilizzare Dio per i suoi scopi. Possiamo dire che è l’equivoco di sempre: l’uomo è alla ricerca di Dio perché in fondo pensa che sia una facile assicurazione sulla vita.
Quest’equivoco è una delle costanti del vangelo di Giovanni, che sottolinea a più riprese la negatività di questo atteggiamento che in fondo rivela il limite costitutivo dell’uomo non ancora rinato “dall’acqua e dallo Spirito”.
vv. 25-26: Alla domanda della folla segue un rimprovero da parte di Gesù. Perché la folla lo cerca? Che cosa si aspetta? Chi desidera? Quale attesa vuole colmare? Qual è il motivo per cui si sono messi sulle tracce di Gesù?
Domande toste per i discepoli di allora, ma anche per noi, oggi. Il Vangelo ci interpella, ci scuote, vuole mettere a nudo la nostra ricerca. E’ meglio fare un solo passo nella direzione giusta, che correre verso un precipizio.
Gesù dà una lettura profetica alla ricerca che si fa di lui. Gesù mette in relazione la ricerca che si fa di lui con la ricerca di chi vive nell’idolatria. Paolo rimprovererà, nelle sue lettere, coloro che hanno per Dio il loro ventre (Fil 3,19). Questa idolatria si contrappone al vero culto gradito a Dio, perché idolatria è anche servirci di Dio per il nostro interesse. Gesù in fondo ci dice: voi fate di me un idolo, perché ciò che a voi preme è l’essere saziati.
La nostra fede è legata a dei segni, non è legata alla sazietà. Un popolo sazio rischia di diventare anche un popolo idolatra, tanto è vero che si può avere con Gesù un rapporto da idolatri. Il vangelo, domenica scorsa diceva: “Gesù, saputo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna tutto solo”. Qui Gesù viene fatto coincidere con la “pancia piena”. C’è un modo di accostarsi a Gesù che è un modo idolatra. Gesù ci invita a vedere in lui “il segno”. Gesù adotta il segno del pane per dire che lui è la presenza del Padre.
v. 27: “Datevi da fare non per il cibo che non dura…”. In greco è scritto ergazomài che significa “lavorare”, “darsi da fare”. Il cibo è offerto, ma si richiede anche uno sforzo per procurarselo: bisogna letteralmente “lavorare” per ottenerlo. È l’idea contenuta in questo verbo che provoca nella gente la seconda domanda: quale lavoro s’ha da fare, quali sono le opere di Dio da compiere? La risposta di Gesù è sorprendente, almeno all’apparenza: il lavoro è “credere in colui che Dio ha mandato”.
Il Cristo biasima la loro ricerca affannosa per il cibo che perisce, ossia per il pane che sfama il corpo, e li esorta a cercare il cibo che dura per la vita eterna. Questo cibo dev’essere qualcosa che assomiglia all’acqua viva che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14). Si tratta quindi della rivelazione del Verbo incarnato, assimilata con una vita di fede profondissima che conduce alla vita eterna. Per questo il Padre ha posto su di lui “il sigillo”. Cioè lo ha contrassegnato con un “marchio” speciale quando nel Battesimo al Giordano lo Spirito è sceso su di Lui (Gv 1,32-34). Gesù ha rivelato la sua relazione unica con Dio, che lo rende in grado di donare il cibo imperituro e divino. Ha esortato a “procurarsi” tale cibo, cioè a darsi da fare con ogni cura pur di avere tale dono.
vv. 28-29: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”. Una domanda che riscontriamo nei Sinottici (Mt 19,17; Mc 10,17; Lc 18,18). È la domanda dell’uomo che si avvicina a Gesù. Questo suo avvicinarsi a Lui manifesta che egli cercava qualcosa, una risposta alle sue domande più vere Egli la cerca da Gesù, e chiede una risposta da Lui. La sua richiesta è precisa e allo stesso tempo autentica: “Che cosa devo fare?”. La sua è una domanda che indica un cuore sincero alla ricerca del bene nella propria vita.
Gesù ha detto “adoperatevi” e quindi gli ebrei gli chiedono quali opere devono compiere per ottenere quel cibo di vita eterna. Questa impostazione è tipica della mentalità giudaica. Quando la mentalità ebraica sente parlare di Dio pensa subito all’osservanza della legge, pensa che Gesù voglia aggiungere qualche ulteriore precisazione alla legge in qualità di profeta degli ultimi tempi. Gesù si oppone a questa mentalità e presenta necessaria per il possesso del regno di Dio una sola opera: la fede nella sua persona.
Noi non siamo abituati a pensare che la fede sia un “lavoro”: forse è ora di incominciare a pensare che lo è. Non si tratta tanto di rivedere il nostro concetto di lavoro, ma piuttosto di ripensare cosa comporti il credere. Il meno che si possa dire è che, se la fede può essere paragonata a un lavoro, non può essere concepita solo come un’operazione intellettuale, ma è azione e gesto che coinvolge il cuore e la volontà e implica la vita nella sua pienezza.
Il fare l’opera di Dio è credere in colui che Egli ha mandato. L’opera è di Dio e la si coglie in Gesù. E Gesù è presentato essenzialmente come colui che il Padre ha mandato. È opera di Dio l’invio del Figlio ed è opera di Dio il credere nell’invio del Figlio; allora la nostra fede viene a coincidere e trova la sua unità in questa opera di Dio. Noi siamo uno con il Figlio perché lui è stato mandato e perché noi crediamo in lui. La nostra fede ci porta a saperci uno con colui che è stato inviato, Gesù. Il nostro credere è comunione con lui.
vv. 30-33: “Quale segno…”. La gente chiede un segno perché si possa operare il primo passaggio, quello che conduce dal vedere al credere. Il segno, in effetti, Gesù l’aveva già dato, ma la gente non l’aveva visto. Ricordiamo che per Giovanni il segno è il modo per poter vedere la Gloria attraverso la carne. La richiesta è anche motivata: si chiede a Gesù che faccia almeno come Mosè e che, come lui aveva fornito la manna per diversi giorni, così anche lui torni a fornire il pane.
La manna, che aveva nutrito quotidianamente gli Ebrei nel deserto, non era dono di Mosè e neppure era “il pane dal cielo”. Era un cibo passeggero, che prefigurava un altro pane, quello vero e genuino. Gesù vuole distogliere l’attenzione dei Galilei dalla manna e orientarla a questo nuovo pane che ora il Padre dà. Vuole destarne il desiderio e l’attesa. Qual è questo pane? “Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. Il pane che viene da Dio, che è dono di Dio ed è pieno della sua forza, è una persona, è “colui che discende dal cielo (= da Dio)”, cioè Gesù stesso. Il pane celeste, identificato con Gesù, dà (attualmente) la vita (la vita di Dio). Come il pane terreno sostiene e alimenta la vita terrena, così il pane celeste, che è Gesù, comunica la vita divina.
Nel pensiero del tardo giudaismo, Mosè è stato il primo “redentore”, il secondo sarà il Messia. Come Mosè ha liberato gli Israeliti dal Faraone, così il Messia libererà i Giudei dalla schiavitù dei popoli pagani che li opprimono (cfr. Ap 15,3).
Gesù parte dalla similitudine stabilita dalla gente, ma per reinterpretarne il senso. Dio, e non Mosè, ha fatto cadere la manna; ora è ancora lui che dà il pane, non quello che perisce, ma quello che viene dal cielo, che “dà la vita al mondo”. Il pane della vita è lo stesso Gesù.
Ormai nel segno del pane a noi è dato di vivere pienamente il mistero della incarnazione, il mistero della condiscendenza di Dio nei confronti degli uomini. Non c’è niente di più condividente con gli uomini che il segno che Gesù sceglie per mostrarsi come il discendente, il mandato, cioè il segno del pane. La comunione al pane benedetto, su cui Gesù ha reso grazie, è la comunione al mistero dell’incarnazione, quindi è comunione al mistero di Dio. Questo poi indica comunione piena con lui nel dono di se stesso.
vv. 34-35: La gente è colpita da questa affermazione, ma in modo piuttosto superficiale. La intende ancora in senso materiale: “Signore, dacci sempre questo pane”, come fu per la Samaritana (Gv 4,15). A questo punto, Gesù esplicita ulteriormente la sua identificazione col pane celeste, affermata poco sopra. E’ una rivelazione di una solennità unica: “Io sono il pane della vita”. Il pane che attivamente dà la vita, produce la vita: vita divina. Si tratta di accoglierlo nella fede: “Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (i due verbi sono sinonimi). La fede è condizione assolutamente necessaria .
“Io sono il pane della vita”. E’ la prima autodefinizione di una lunga serie con cui Gesù ci rivela chi è Lui per l’uomo, per ciascuno di noi: “Io sono la luce…la porta…il buon pastore…la risurrezione e la vita…la via, la verità e la vita…” (Cfr. Gv 8,12.18.23; 10, 7.9; 11, 14.25; 14,6; 15, 1.5).
Come il pane o il cibo consente di sopravvivere, di crescere, e dà sapore e diletto, è cioè necessario per la vita del corpo, così Gesù è l’unico necessario e indispensabile sul piano della vita eterna, che sola merita il nome di vita in senso pieno. Una vita che è già realtà presente di comunione con Gesù e con Dio tutta protesa alla pienezza finale.
Nel seguito del discorso Gesù preciserà che Lui è il pane che dà la vita attraverso il suo insegnamento e l’Eucaristia.
Commuove il fatto che Gesù abbia voluto designarsi come “pane”. Il pane esiste per essere mangiato. Gesù desidera essere “mangiato” perché vuole una unità totale coi suoi. Sa che la sua Parola e l’Eucaristia, se vengono ricevute (“mangiate”!), gli permettono di penetrare in loro e fondersi con loro, col risultato che essi vengono assimilati a Lui e diventano “pane” per gli altri.
Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Chiedi che ti offra quel pane che Egli dà a tutti, ogni giorno, sempre? Sta a te prendere questo pane. Accostati a questo pane e lo prenderai. Di questo pane è stato detto: Tutti quelli che si allontaneranno da te, moriranno (Sal 72,27). Se ti allontanerai da Lui, morirai; se ti avvicinerai a Lui, vivrai. Questo è il pane della vita: dunque, chi mangia la vita non può morire. Come potrà morire chi ha per cibo la vita? Come potrà venir meno chi avrà la vita come sostentamento? Accostatevi a Lui e saziatevi: Egli è pane. Accostatevi a Lui e bevete: Egli è sorgente. Accostatevi e Lui e rischiaratevi: Egli è luce. Accostatevi a Lui e diventate liberi: Dove c’è lo spirito del Signore, là c’è la libertà (2Cor 3,17). Accostatevi a Lui e liberatevi dai lacci: Egli è il perdono dei peccati. Vi domandate chi Egli sia? Ascoltate quello che dice Egli stesso: Io sono il pane della vita… (Ambrogio, Comm. Salmo CXIII 18,28).
Chi non si nutre della Parola di Dio, non vive (Girolamo, Comm. a Mt 1.4.4).
La Parola di Dio è la nostra manna; e la parola divina, venendo a noi, porta agli uni la salvezza, agli altri il castigo (Origene, Omelie sui Numeri 3.1)
– Per la riflessione personale e il confronto:
Il Signore ci pone innanzitutto la stessa domanda che pose alla gente: perché mi cercate?
Per quale ragione cerchiamo il Signore, cosa ci spinge a cercarlo? Forse perché siamo stati saziati nelle nostre preghiere, nei nostri desideri? Di chi o di cosa abbiamo veramente bisogno?
Di quanti segni abbiamo ancora bisogno, di quante testimonianze per credere? Forse che Dio non ci ha colmato a sufficienza di misericordia e di grazia?
Sono convinto/a che solo un’ attenta ricerca di Lui nella nostra vita ci può portare alla sazietà del cuore?
Pregare
Mettiti in silenzio pensa di essere seduto anche tu sull’erba e accogli le parole del Vangelo nel tuo cuore e lascia che Lui ti incontri e ti sfami… alla fine prega Lodando Dio con il Salmo 77:
Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato
non lo terremo nascosto ai nostri figli,
raccontando alla generazione futura
le azioni gloriose e potenti del Signore
e le meraviglie che egli ha compiuto.
Diede ordine alle nubi dall’alto
e aprì le porte del cielo;
fece piovere su di loro la manna per cibo
e diede loro pane del cielo.
L’uomo mangiò il pane dei forti;
diede loro cibo in abbondanza.
Li fece entrare nei confini del suo santuario,
questo monte che la sua destra si è acquistato.
Contemplare-agire
Gesù ci dice chiaramente che Egli è la nostra sazietà. L’andare a lui è l’essere sazi e il credere in lui è il dissetarsi. La fede allora è il nostro nutrimento, è il nutrirci di lui. Ma non ci si può nutrire se non da affamati. Non ci si può rivolgere a lui se non nella condizione di chi ha fame. Così come non si può credere in lui se non da assetati. Proviamo a prendere sul serio quanto in definitiva Gesù vuole dirci: “Io vi sono necessario” “chi viene a me non avrà più fame”.
E ripetiamo con la gioia di chi comincia a capire: “Signore dacci sempre questo pane…Donaci, Signore, il pane della vita”.